BOSNIA: Srebrenica, il genocidio permanente

Tra sei mesi, a inizio luglio 2025, si commemoreranno i trent’anni dal genocidio di Srebrenica, quando oltre ottomila uomini e ragazzi bosniaci musulmani furono uccisi in pochi giorni dalle truppe dell’Esercito della Republika Srpska.

Sarà inoltre il secondo anniversario da quando, lo scorso maggio, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato l’11 luglio come Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica.

Un aspetto, apparentemente secondario, del genocidio di Srebrenica è il perché siano ogni anno sempre meno le sepolture al memoriale di Potočari. Nel 2024 sono state 14. L’anno precedente 33. Nel 2020 appena 8. Con l’ultima cerimonia di inumazione del 2024, il memoriale conta 6.756 lapidi. Circa 250 sono invece le sepolture avvenute in altri cimiteri per volere di familiari.

Il numero totale delle vittime del genocidio, scritto anche all’ingresso del memoriale, è 8.372. Le sepolture mancanti sono circa 1400. Ma è difficile che si arrivi al numero 8.372. Si cercano ancora i resti di quasi 800 persone.

Al centro di Tuzla ci sono 85 resti umani “senza nome”, che tali resteranno perché non ci sono familiari che possano dare DNA per identificazione

Ogni anno vengono ritrovati nei boschi della Bosnia orientale i resti di circa 100 persone. E questi vengono trasferiti ai centri per l’identificazione. Il totale delle persone identificate come vittime del genocidio arriva a quasi ottomila.

La Bosnia dispone di tecnologia avanzata e di una prassi consolidata negli anni per l’identificazione dei resti, ma non sempre un’identificazione porta alla sepoltura, che è a discrezione dei familiari. Questo succede perché nella maggior parte dei casi si trovano solo poche ossa.

Uno dei feretri sepolti nel 2024 conteneva solo 4 ossa, quelle di Mehmed Krdžić, rinvenute nel 2006. La moglie ha deciso di non aspettare oltre e acconsentire alla sepoltura. Il rischio infatti è che i familiari muoiano prima di aver sepolto i propri cari. Una situazione che crea un “genocidio permanente” per cui anche le vittime perdono i propri cari.

A Potočari, poi, ogni anno avviene anche una seconda riesumazione, quella per completare i resti rinvenuti successivamente alla sepoltura. Nel 2024 sono stati 78 i feretri riaperti per aggiungere resti mancanti, circostanza per cui il dolore diventa quasi perpetuo.

Ma perché è sempre più difficile trovare i resti? Le vittime del genocidio vennero gettate in 81 fosse comuni, in una vasta regione della Bosnia orientale, specie nei pressi di Zvornik. In molti casi, i corpi furono poi disseppelliti e gettati (in tutto o in parte) in nuove fosse secondarie, per nascondere le tracce.

Oltre alle difficoltà date da un ampio territorio, un altro motivo è la graduale scomparsa delle informazioni dovuta non solo al silenzio e all’omertà, spesso frutto di intimidazioni, ma anche per la morte dei testimoni nonché degli esecutori che potrebbero localizzare le fosse. Anche questo rende quello di Srebrenica un genocidio perpetuo.

Una storia che merita menzione è quella di Ramiz Nukić. Sopravvissuto al genocidio nel ’95, per i successivi vent’anni ha percorso 30-40 km al giorno, tutti i giorni, guadagnandosi la fama di “cacciatore di ossa“. Ramiz ha cercato nei boschi i resti del padre, dei fratelli e dei suoi compaesani in modo del tutto autonomo, contribuendo a rinvenire oltre 300 resti. Ramiz Nukić si è spento a 63 anni a fine 2022, East Journal ha raccontato la sua storia.

Quello di Srebrenica è quindi un crimine che, sebbene i principali responsabili siano stati puniti, in qualche modo resterà sempre aperto, fintanto che le famiglie delle vittime continueranno a cercare ossa dis-seminate dall’odio 30 anni fa.

Foto: Elvis Barukcic/AFP/Getty Images

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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