L’incaricato d’affari dell’Ambasciata USA, André Goodfriend, bersagliato dai media, passa da una conferenza stampa a uno studio televisivo, senza trascurare la comunicazione sui social. Nemmeno una parola sull’identità dei coinvolti, la cui privacy deve essere tutelata. Dopo un incontro con Goodfriend, il 27 ottobre Antal Rogán, braccio destro di Orbán, ha confermato alla stampa che il diplomatico non è autorizzato a dire niente sui nomi, ma aggiunto che “non sono politici – membri del governo o altre figure politiche”.
A partire dall’articolo del Nepszabadság, la stampa e soprattutto i blog politici locali si sono sbizzarriti nell’ipotizzare l’identità dei soggetti in causa, arrivando persino a fare nomi, nomi importanti come quello di Árpád Habony, uno dei consiglieri di Viktor Orbán (lo ha scritto 444.hu), ma anche Péter Heim, presidente di Századvég, istituto di analisi e ricerca attivo da 20 anni e legato alla Fidesz di cui fino al 2010 faceva parte anche András Giró-Száz, poi diventato portavoce dell’ufficio del primo ministro: un altro dei politici interessati secondo gli articoli circolati la settimana scorsa. Tra questi, inoltre, figura addirittura il direttore dell’Autorità Fiscale.
Voci di corridoio, pare, visto che gli Stati Uniti hanno ribadito in tutti i modi possibili che
la legge americana proibisce la diffusione dei nome degli individui coinvolti. L’incaricato d’affari dell’Ambasciata americana a Budapest
André Goodfriend, ha convocato già tre conferenze stampa dedicate all’argomento e non rifiuta appuntamenti singoli: ad ogni convocazione la sala è piena, l’interesse è altissimo. Più che conferenze stampa sono interviste multiple: il
chargé d’affaires si presenta con la propria storia professionale, rilascia una breve dichiarazione e poi risponde pazientemente alle decine di mani alzate. Ogni convocazione ha un ampio seguito perché i giornalisti sperano in qualche ghiotta novità: un nome o una decisione forte, una dichiarazione che faccia intravedere un attacco al governo Orbán di cui si chiacchiera molto nelle ultime settimane, per effetto delle
parole di Bill Clinton, molto dirette, e di quelle molto più generiche di Barack Obama.
André Goodfriend, diplomatico ma schietto
Goodfriend, un diplomatico con la “d” maiuscola, nei toni e nella capacità di fiaccare senza però aggirare le domande, rispondendo sempre, in qualche modo; conosce bene il contesto politico e mediatico in cui lavora a Budapest e ha studiato l’ungherese. Goodfriend interagisce di frequente con la controparte locale, anche a colpi di
tweet come è successo in questi giorni con il portavoce internazionale del governo,
Zoltan Kovács, che domenica 26 ottobre lo ha interrogato direttamente (e pubblicamente, via twitter) dopo che il
Chargé d’Affaires aveva condiviso alcune foto della
protesta contro la legge su Internet: “Sta controllando l’umore delle persone, André? A una manifestazione organizzata dall’MSZP e dai “liberali”? Come
Chargé d’Affaires? Interessante”. I due, entrambi ottimi comunicatori, hanno scambiato diverse battute, in sostanza dibattendo se un personaggio pubblico possa davvero pensare di comparire “in piazza” per tenersi aggiornato su quanto succede senza influenzare in qualche modo il comportamento altrui e lanciare un segnale. Goodfriend ha risposto semplicemente:
“Quando voglio influenzare, parlo. Altrimenti, ascolto. A volte c’è carenza di ascolto”.
La sua strategia è chiara ed è quella che applica con i media. Ascolta tutti, mai stanco di ribadire il messaggio “chiave”, che lancerà poi anche via Twitter: vogliamo lavorare con il governo ungherese, contro la corruzione. La questione dei cittadini ungheresi che non possono ottenere il visto per gli USA riguarda dei singoli individui, non la nazione ungherese. L’ultima conferenza stampa si tiene durante il fine settimana festivo per l’Ungheria, il giorno dopo il 23 ottobre, e davanti all’Ambasciata Americana in Szabadság Tér c’è ugualmente la coda per entrare: si sentono tante lamentele per la giornata libera rovinata, ma anche la certezza che stavolta Goodfriend voglia rivelare qualcosa. Al contrario, il funzionario spiega subito di aver convocato media per essere sicuro di aver dato a tutti la possibilità di presentare le proprie domande e di aver messo in chiaro che il caso non compromette i rapporti con l’Ungheria, rientrando nella sfera privata di alcune persone la cui privacy sarà mantenuta. Alla domanda se il governo ungherese possa o debba fare qualcosa in questo rispetto, Goodfriend spiega che gli Stati Uniti hanno i loro requisiti di idoneità per l’ottenimento dei visti: se una persona non rientra può essere per molti motivi e l’Ungheria non deve fare niente, saranno gli USA a decidere se e quando concedere l’idoneità. Se il governo chiederà di intervenire, aggiunge, valuteremo tale possibilità. In tanti provano a chiedere informazioni sui cittadini “messi al bando”, con giri di parole sempre più ampi, invano. “Se mi voleste chiedere se in Ungheria ci sono casi di corruzione, vi direi che sì, probabilmente ce ne sono; se mi domandaste se nella scena politica ungherese ci sono persone corrotte, direi lo stesso. Se mi chiedeste se negli Stati Uniti e nei loro governi ci sono corrotti, vi direi che sì, immagino ce ne siano.”
Anche sui possibili risentimenti americani verso l’accordo con Mosca per l’ampliamento della centrale nucleare di Paks, svicola: molti paesi lavorano con la Russia, anche il nostro, non c’è niente di male. Nella parte finale dell’incontro, qualcosa di interessante emerge. Un giornalista chiede se l’alleanza tra Ungheria e USA sia a rischio. Goodfriend risponde di no, ma sottolinea più volte che “ci sono dei trend negativi che il governo ungherese non deve ignorare”. Il riferimento è agli indici sulla trasparenza e sulla percezione della libertà. “Il popolo ungherese – afferma, con riferimento al 23 ottobre ricordato appena un giorno prima – è stato il primo a sapersi alzare e a cercare di liberarsi dal dominio sovietico. Più volte gli ungheresi hanno dimostrato di voler essere liberi e questo Paese è diventato una guida per molti altri, dimostrando come una nazione possa spostarsi e vivere come una democrazia occidentale. Per questi motivi delle tendenze in calo come quelle sulla trasparenza e la libertà fanno pensare che chi comanda debba prestare attenzione a ciò che fa: non sono opinioni, i dati parlano chiaro”. Sembra un attacco, ma lo chiude con una nota positiva e propositiva: “noi possiamo offrire la nostra disponibilità a lavorare insieme per farvi recuperare posizioni in questi indici”.