Si sperava che la tregua olimpica reggesse, e che governo e opposizioni trovassero un compromesso in grado di invertire la tendenza all’intensificazione della crisi politica ucraina. Le prospettive c’erano: dall’abrogazione delle leggi dittatoriali del 16 gennaio, alla discussione sulla legge sull’amnistia, condizionata alla liberazione dei palazzi occupati in centro a Kiev – cosa che i dimostranti stavano iniziando a fare, a partire dal palazzo del municipio.
E invece, era solo la quiete prima della tempesta. Le olimpiadi in corso a Sochi e il rischio di un danno d’immagine alla Russia stessa non sono bastate a convincere il Cremlino a far pressioni perché il governo di Kiev tenesse a freno la forza bruta, e agli atleti ucraini oggi il Comitato olimpico internazionale ha proibito di portare una banda nera di lutto sul braccio.
La sera del 18 febbraio è scattata di nuovo la repressione, la più violenta degli ultimi 25 anni in Ucraina, ancora più di quella del 30 novembre, anche perché si trovava a fronteggiare gruppi anche paramilitari ben attestati. Una repressione che scatta in coincidenza con l’esborso della prima rata dell’assegno russo a Kiev, per 2 milioni di dollari. Secondo il Washington Post, le autorità russe avrebbero fatto pressioni sul governo ucraino perché prendesse un’azione decisa per mettere fine alle proteste e condizionato a ciò il proprio sostegno finanziario al governo di Yanukovych; l’assalto da parte della polizia è avvenuto nel giro di ore dal trasferimento dei fondi.
Gli scontri violenti del 18 febbraio
Martedì più di 20.000 dimostranti fronteggiavano l’edificio del parlamento ucraino, la Rada, chiedendo che i legislatori portassero avanti una riforma costituzionale per riportare il paese ad un regime parlamentare, com’era prima che nel 2010 la Corte suprema ucraina restaurasse la Costituzione presidenzialista che era stata modificata negli anni della rivoluzione arancione. La manifestazione è presto degenerata in scontri con la polizia nell’area centrale di Kiev, con lanci di gas lacrimogeni, granate stordenti e spari ad altezza uomo, a cui i manifestanti hanno risposto con corpi contundenti ed esplosivi. Nello stesso giorno, venivano assaltati e ri-occupati la sede del Partito delle Regioni al governo e il palazzo del Municipio di Kiev. Il bilancio è di almeno 25 morti, tra cui 9 poliziotti, e almeno 1100 feriti, di cui più di 200 ospedalizzati.
Tra i morti, uno soffocato dal fumo all’interno dell’edificio del Partito delle Regioni, tre morti nella Casa degli Ufficiali (due con ferite d’arma da fuoco, uno investito per strada), un morto per ferite d’arma da fuoco in un’ambulanza su via Mazepa, due per un attacco di cuore su via Instytutska, secondo Interfax Ukraine. E ancora, il giornalista di Vesti Vyacheslav Veremiy, trascinato fuori da un taxi e battuto a morte; il cittadino georgiano 53enne Zurab Khurtsia; il consigliere comunale di Ivano-Frankivsk per il partito Svoboda Serhiy Didyk; Volodymyr Naumov dei corpi di autodifesa del Maidan, Volodymyr Tishchuk di Zaporyzhia, Serhiy Shapoval di Kiev; Antonina Dvoryanets. Questi solo alcuni dei nomi delle vittime, a cui vanno aggiunti quelli delle forze dell’ordine.
In serata, la polizia è quindi passata ad invadere il campo base della protesta su piazza Indipendenza, Maidan Nezalezhnosti, dove ancora permanevano più di 20.000 manifestanti. Nonostante l’uso di cannoni ad acqua e l’incendio delle tende dei dimostranti, le forze governative sono riuscite a riprendere il controllo solo di alcuni settori della piazza. Allo stesso tempo 5 Kanal, la tv dell’oligarca Poroshenko già sostenitore di Yanukovych e oggi suo critico, che trasmetteva in diretta dal Maidan, è stata oscurata.
A tarda notte, il presidente Yanukovych ha incontrato i leader dell’opposizione, Arseniy Yatseniuk e Vitali Klitschko, dopo averli fatti attendere per più di un’ora. Secondo Klitschko, Yanukovych avrebbe accusato l’opposizione di essere responsabile dei più di venti morti, e avrebbe intimato loro di abbandonare piazza Indipendenza, se non volevano rischiare un’incriminazione penale. Al rifiuto del presidente Yanukovych di accettare una tregua e il ritorno ad un dialogo pacifico, il leader dell’opposizione Arseniy Yatseniuk ha dichiarato “ci troviamo veramente sull’orlo della pagina più drammatica della storia del nostro paese”.
La situazione nel resto del paese
Nel resto del paese, soprattutto ad ovest, gli eventi di Kiev non sono rimasti senza conseguenze. A Ivano-Frankivsk i dimostranti hanno assaltato e occupato gli edifici del ministero degli interni e dei servizi segreti (SBU), a Ternopil i locali del Procuratore capo sono stati occupati e le cartelle penali bruciate, mentre le truppe del ministero degli interni hanno disertato e si sono unite agli insorti. Anche a L’viv 10.000 dimostranti hanno occupato gli edifici del procuratore capo e dello SBU, e dato fuoco alla sede del ministero degli interni. Pare che anche una caserma e un deposito di munizioni siano stati svaligiati.
Al contempo, ad est, manifestanti filogovernativi hanno cercato di appiccare il fuoco alla sede del partito Svoboda a Kharkiv e del partito UDAR di Klitschko a Kryvyi Rih. Episodi che mostrano come, seppur non esista una chiara frontiera tra l’est e l’ovest, esiste un gradiente geografico, con le città occidentali del paese in cui il governo di Kiev stenta a mantenere un controllo anche solo formale, e quelle più orientali in cui al contrario la protesta non è mai riuscita a raccogliere più di qualche centinaio di persone. Ad ovest i consigli regionali autoconvocatisi hanno messo al bando il Partito delle Regioni e il Partito Comunista, mentre ad est al contrario è Svoboda ad essere stato bandito. Anche per questo le strade di accesso a Kiev sono state bloccate, per il timore che, soprattutto da ovest, arrivino rinforzi alla protesta, galvanizzati dalla nuova repressione.
Le reazioni internazionali: in arrivo sanzioni Ue
La recrudescenza degli scontri a Kiev non ha mancato di causare le proteste di Usa e Ue, e il sostegno invece della Russia al governo Yanukovych.
Catherine Ashton, responsabile della politica estera Ue, ha convocato una riunione straordinaria dei rappresentanti dei ministeri degli esteri dei paesi membri, per valutare le reazioni da prendere. «Chiedo a tutti i responsabili di cessare immediatamente la violenza. Esorto le autorità e tutte le forze politiche ad assumersi le loro responsabilità e a cercare una rapida de-escalation, riprendendo un vero processo politico». «Saranno esplorate tutte le opzioni possibili, comprese misure restrittive contro i responsabili della repressione e delle violazioni dei diritti umani», si legge in una nota da Bruxelles.
La possibilità di applicare velocemente sanzioni ai responsabili delle violenze, da parte tanto del livello Ue quanto di quello degli stati membri, è stata ventilata anche dal presidente della Commissione Josè Manuel Barroso. Anche il Consiglio europeo, nel pomeriggio, ha annunciato che la riunione di domani dei ministri degli esteri prenderà le misure necessarie, incluse “sanzioni finanziarie e restrizioni ai visti contro i responsabili delle violenze e dell’uso eccessivo della forza.”
I capi di governo di Francia e Germania, François Hollande e Angela Merkel, si sono detti a favore dell’introduzione di sanzioni personali, con un cambio della posizione tedesca, finora contraria. Il vicepresidente americano Joe Biden è stato l’unico in grado di contattare al telefono Yanukovych nella notte per chiedergli di mettere fine alla repressione violenta, dopo i tentativi infruttuosi delle diplomazie europee.
Dall’altra parte, la Russia ha denunciato i fatti di Kiev come un tentato colpo di stato, “esigendo” dai leader dell’opposizione la fine delle violenze. «Fondamentalmente, si tratta di un tentativo di colpo di Stato. La parte russa esige che i leader (dell’opposizione) mettano fine allo spargimento di sangue nel loro Paese e riprendano senza indugio il dialogo con il potere legittimo, senza minacce o ultimatum», ha dichiarato il ministero degli esteri russo.
Foto di ©Olga Jakimovich, photographer
Siete veramente sicuri che siano tutti “bravi ragazzi” quelli che stanno mettendo a ferro e fuoco una città? Non vi dice nulla l’interessato sostegno che viene dato -anche con presenze fisiche dirette- ai rivoltosi da parte di esponenti europei ed americani di alto rango? Siete veramente sicuri che altrettante manifestazioni di dissenso che ci sono in altri paesi -anche in Italia!- abbiano lo stesso sostegno e lo stesso interessamento che stanno avendo quelle di Kiev? Fino a che punto conta veramente la libertà della gente, oppure quella dei mercati è la vera libertà che si vuole ottenere anche in Ucraina?
Secondo me (non sono l’autore dell’articolo) ci sono almeno due piani della vicenda ucrauna che vengono mischiati ma bisognerebbe tenere separati almeno in parte. Il primo è il dissenso (che sia dissenso pacifico, come nei primi giorni, o violento; che sia “democratico” o autoritario; filo-europeo o nazionalista) e il secondo è la partita geopolitica tra Russia, da un lato, Germania e Unione Europea dall’altro, e Stati Uniti.
Non è affatto detto che il dissenso vada nella stessa direzione della geopolitica. Ed è vero che c’è molta retorica su questa faccenda.
Sulla “libertà dei mercati” però dissento: non credo sia la giusta chiave di lettura in quanto l’Ucraina è già un’economia di mercato di stampo liberista. Come lo è la Russia. Sono paesi liberisti. La Russia fa parte del WTO. Insomma, non è una lotta tra ideologie economiche come fu tra socialismo e liberismo. Semmai ci si contende una preda ambita – l’Ucraina – che farebbe comodo avere sia alla Russia che all’Europa che alla Nato. E questa contesa si gioca, in buona misura, sulla testa di chi protesta.
Matteo Z.
Penso che la situazione sia più complessa di un semplicistico “sistema repressivo dello Stato”. C’è un livello politico da analizzare: ad esempio, che il governo ha la legittimità di elezioni democratiche (punto opinabile, ma un dato di fatto); che nessuno Stato occidentale accetterebbe poliziotti ammazzati senza mettere in campo il sistema repressivo (stiamo scrivendo in una lingua – l’italiano – che viene usata per celebrare poliziotti che non reagiscono col manganello se chiamati “pecorella”); che il partito Svoboda, tra gli organizzatori delle proteste, è un partito fascista; che i sindacati di sinistra si sono schierati “contro il governo e contro i fascisti in piazza”.
Poi c’è il livello economico: il rifiuto del patto commerciale con l’Europa e l’occidente, che includeva la ristrutturazione del debito del paese secondo i dettami del FMI, che questo governo aveva tutto il diritto – e diverse ragioni – di rifiutare; che per questo enormi pressioni europee e americane si sono abbattute sul Paese concedendo a Putin gioco facile nel concedere un prestito a migliori condizioni economiche; l’enorme debito del Paese è frutto di una transizione post-comunista in cui si sono formate le giovani oligarchie strizzando l’occhio ai capitali occidentali; in tempi di crisi, il FMI ha cambiato tattica e dal buonismo post-sovietico è passata a esigere il debito: la stessa tattica utilizzata, per dire, negli anni Ottanta in Jugoslavia, lanciando il Paese in una crisi economica che non ha poche responsabilità sulla guerra civile; la posizione strategica dell’Ucraina come cerniera con l’Europa per il gas russo, di cui l’Europa ha – fino a prova contraria – necessario bisogno.
La dicotomia buoni/cattivi non si applica necessariamente a manifestanti/polizia. Purtroppo gli ucraini sono nel tritacarne della politica internazionale, che ha soffiato sul fuoco fino a questo punto.