Gli accordi di Minsk sembrano aver aperto una finestra di dialogo nella crisi ucraina, anche se la tregua ed una soluzione al conflitto nel Donbass dipendono da un elevato numero di variabili e da accorte manovre diplomatiche da parte di tutti gli attori interessati. E mentre intorno all’aeroporto di Donetsk si sentono ancora quotidianamente spari ed esplosioni, a Kiev si tessono le trame politiche e ci si prepara ad affrontare un nuovo capitolo della crisi, il lungo e difficile, ma inevitabile, dialogo.
I primi mesi di Poroshenko
Il presidente, eletto il 25 maggio scorso, nonostante le numerose difficoltà che ha dovuto affrontare nei mesi immediatamente successivi al suo insediamento, sembra essere riuscito nel non facile compito di consolidare la propria posizione all’interno della struttura politica ucraina e divenire allo stesso tempo un personaggio credibile per Unione Europea e Stati Uniti. Capace di guadagnarsi il favore (o almeno garantirsi la non rivalità) dei principali oligarchi del paese, come Kolomoiskiy e Akhmetov, Poroshenko è riuscito a promuovere la propria agenda politica grazie all’appoggio non solo del blocco che ha costituito l’opposizione a Yanukovich, ma anche di un cospicuo numero di fuoriusciti dal Partito delle Regioni.
Poroshenko ha sfruttato in questi ultimi mesi l’assenza di un’opposizione capace di risultare credibile e, nonostante la proroga dell’entrata in vigore dell’Area di Libero Scambio con l’UE e il fallimento della campagna militare nel Est del paese (i due punti principali della sua agenda durante la campagna presidenziale), sembra conservare ancora un credito politico piuttosto ampio che permette al suo blocco di rimanere il primo partito nazionale.
Il presidente ha fin qui dimostrato di possedere anche la capacità di giocare contemporaneamente su più tavoli e di modificare le priorità della propria agenda in base all’interlocutore che gli si presenta di fronte. D’avanti al congresso americano Poroshenko, infatti, ha chiesto un pieno sostegno politico, economico e soprattutto militare all’amministrazione Obama, toccando corde particolarmente sentite a Washingnton rievocando con enfasi la crisi cubana e dipingendo la situazione ucraina come una lotta tra “civilizzazione e barbarie”. Toni molto più pacati, invece, sono stati lo sfondo della conferenza stampa di fronte ai media ucraini del 25 settembre, dove è tornato a parlare del piano di pace e della decentralizzazione (da non confondere con la federalizzazione) del potere, presentando il dialogo come l’unica via possibile per la stabilizzazione della crisi politico-militare.
Oltre la guerra. Strategia di sviluppo 2020
Proprio durante la recente conferenza stampa Poroshenko ha presentato ai media nazionali un interessante documento programmatico, ripreso immediatamente dalle principali agenzie stampa del paese. Definito come “strategia del presidente”, il documento presenta in maniera schematica i principali obiettivi da raggiungere entro il 2020, anno in cui l’Ucraina, secondo Poroshenko, dovrà essere in grado di presentare la propria candidatura per l’ingresso a pieno titolo nell’Unione Europea, raggiungendo gli standard socio-economici del vecchio continente. Il piano prevede un numero totale di circa 60 riforme che toccano quattro principali sfere come “Sviluppo economico”, “Sicurezza”, “Settore statale” e “Sviluppo sociale”. Come asse portante della strategia sono indicate la riforma dell’apparato statale e la decentralizzazione del potere, l’elaborazione di un’efficace legge contro la corruzione e le riforme dell’apparato giudiziario, del sistema fiscale e della difesa.
Sviluppo economico
Come appare evidente dallo schema riassuntivo pubblicato dall’account Twitter ufficiale della Presidenza della Repubblica, il programma di Poroshenko è un progetto molto ambizioso che richiederà una serie di importanti interventi riformatori nei principali settori del paese. Sul piano economico una politica di deregolamentazione e promozione delle piccole e medie imprese unitamente alla riforma strutturale dell’apparato burocratico statale e del sistema energetico nazionale dovranno permettere, secondo il documento, un colossale incremento degli investimenti esteri (fino a raggiungere 40 miliardi di dollari), una crescita del PIL procapite ancora più imponente (dai circa 4000 dollari attuali a 16000 nel 2020) e una stabilizzazione dell’inflazione intorno al 1,7% (rispetto all’attuale 19%). In campo energetico, inoltre, nei prossimi 5 anni l’Ucraina avrà l’arduo compito di rompere il monopolio delle compagnie russe, che attualmente detengono il controllo su circa il 68% del fabbisogno energetico di Kiev, diversificando le importazioni e abbassando la soglia di dipendenza da Mosca al 30%.
Settore Militare e difesa
Ad importanti riforme dovrà essere sottoposto anche il settore della difesa. Come affermato a Interfax Ukraina da Dmitriy Shimkiv, vice direttore dell’amministrazione presidenziale, il progetto di riforma parte dal presupposto che l’Ucraina, in seguito agli avvenimenti degli ultimi mesi, debba diventare “uno Stato militare” autonomo. La spesa militare sarà destinata a crescere dall’attuale 1% al 5% del PIL, di pari passo con l’aumento del personale militare che nel 2020 dovrà contare 7 persone ogni mille abitanti. Pur non toccando apertamente il delicato argomento dello status di neutralità militare del paese, le riforme in questo settore si muoveranno, con molta probabilità, parallelamente ad una maggiore cooperazione militare con Stati Uniti, UE e NATO.
Tra utopia e realtà
Secondo la “Strategia-2020” le riforme strutturali nell’apparato statale, politico, economico e sanitario non avranno solo un’inevitabile effetto benefico su molti indicatori sociali nel prossimo quinquennio, ma contribuiranno anche a creare un vero e proprio “marchio Ukraina” riconoscibile e autonomo a livello internazionale, in grado di competere con modelli europei.
Nonostante le grandi ambizioni però, il concreto contenuto delle riforme proposte appare ancora ignoto e permangono numerosi fattori che avranno un ruolo decisivo nell’indirizzare l’effettiva realizzazione del programma di Poroshenko. In primo luogo la disastrosa situazione economica del paese ed il delicato equilibrio nel Donbass rimangono i due dossier principali sul tavolo del presidente che, fino ad una loro stabilizzazione, lasciano pochi margini di manovra in altri campi.
In secondo luogo l’intero peso delle riforme non potrà essere sopportato esclusivamente da Kiev. In questo caso l’Europa e, probabilmente in parte minore, gli Stati Uniti dovranno essere disposti ad investire non solo il loro capitale politico per promuovere riforme strutturali a più livelli, ma anche far sentire la loro presenza economica, fattore mancante negli ultimi anni.
Infine rimane da capire, in questo contesto, la posizione di Mosca che negli ultimi mesi si è seduta al tavolo negoziale insieme a Bruxelles e Kiev ottenendo la proroga dell’entrata in vigore dell’Area di libero scambio e ricoprendo un ruolo fondamentale nei negoziati di Minsk.
Tra meno di un mese a Kiev si vota, e sarà molto probabilmente la nuove Verkhovna Rada a dover discernere tra utopia e realtà del programma di Poroshenko. Il futuro dell’Ucraina rimane legato ad una difficile combinazione di fattori, molti dei quali non dipendenti interamente da Kiev, ma probabilmente, la “strategia del presidente” potrà bastare per vincere almeno le elezioni.
Il più bel libro di favole mai scritto, meglio dei Fratelli Grimm. Da far impallidire il più immagnifico Berlusconi. Non so se qualcuno in Ucraina possa credere a sparate del genere (quadruplicare il PIL pro capite in 6 anni !!). Ha il grande vantaggio di non dover realizzare le sue “promesse”, nel 2020 lui non ci sarà più da un pezzo, se non trova un accordo sul gas con la Russia (cioè se l’Europa non gli paga i debiti) probabilmente non dura nemmeno fino a primavera.