UCRAINA: Ripresi i combattimenti, attaccata Marinka

Il fragile cessate-il-fuoco, siglato a seguito degli incontri di Minsk tenutisi il 13 febbraio scorso, sembra essere andato in pezzi. Scontri si sono registrati intorno alla città di Marinka, situata a 30 km da Donetsk, all’interno del territorio controllato dalle forze ucraine. Osservatori Osce segnalano l’ammassarsi di artiglieria e truppe intorno alla città che, nell’aprile 2014. era caduta in mano dei filorussi per poi essere riconquistata dalle forze ucraine regolari, in concerto con il Battaglione Azov, nell’agosto dello stesso anno.

I separatisti hanno dichiarato di avere reagito a un lancio di bombe sulle loro posizioni effettuato dalle forze ucraine che avrebbe lasciato sul terreno sedici miliziani filorussi e cinque civili A Kiev, il presidente Poroshenko ha accusato i separatisti di avere violato la tregua e ha segnalato la presenza di novemila separatisti alle porte della città. Ha inoltre dichiarato che cinque soldati ucraini sono già morti negli scontri. Come sempre, le due parti si accusano a vicenda di quanto accaduto.

Il cessate il fuoco sottoscritto a febbraio nell’ambito degli accordi di Minsk II vietava l’artiglieria pesante nel raggio di 50 chilometri della cosiddetta “linea di contatto”. L’esercito ucraino ha informato l’Osce che sposterà l’artiglieria pesante proprio verso la linea di contatto per affrontare la “minaccia reale” posta dagli scontri a Marinka. Se la situazione è tornata a degenerare è colpa dei “tentativi” di Kiev “di destabilizzare la situazione e creare tensioni”, ribatte dal canto suo il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov.

L’avanzata separatista, tuttavia, sembra cogliere impreparate le forze ucraine che denunciano una “colossale minaccia di ripresa del conflitto su larga scala” e temono anche una ripresa dei combattimenti a Shirokyne, abitato di confine appena fuori Mariupol. L‘ammassarsi di armamenti russi sul confine orientale dell’Ucraina, segnalato nei giorni scorsi, non lascia ben sperare per il mantenimento della tregua e una nuova escalation del conflitto potrebbe essere alle porte. La diplomazia internazionale è al lavoro per cercare una soluzione temporanea, mentre tutti i problemi relativi al futuro assetto del paese e ai destini della Crimea restano inevasi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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9 commenti

  1. Sembra che la richiesta di risarcimento, presentata dall’Ucraina alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), sia considerato come implicito riconoscimento della Crimea come parte della Russia.

  2. Dunque, a fine mese il consiglio europeo deve prendere la decisione se prorogare o meno le sanzioni contro la Russia. Quindi logica vuole che la Russia non abbia nessun interesse alla ripresa delle ostilità proprio in questo momento (seppure possa essere mai interessata ad avere una guerra ai confini, cosa che dubito fortemente). Allora o i separatisti agiscono in totale indipendenza rispetto a Mosca andando così direttamente contro gli interessi russi, oppure … quello che dice il governo ucraino è falso, e siamo in presenza di una palese provocazione dell’esercito di Kiev. Non penso che ci possa essere un’altra ipotesi.

    • Alessandro Cerchi

      Questa è un’interpretazione viziata dall’illusione del controllo, secondo cui ogni azione è interpretabile come razionale.
      In Donbass, dalla parte degli irredentisti, agiscono tanto truppe di Mosca che bande allo sbaraglio di avventurieri, milizie irregolari guidate da signorini-ini-ni della guerra, mercenari, volontari di ogni fede politica (dai comunisti stalinisti ai nazionalisti che tentarono l’assalto al Cremlino vent’anni fa, fino agli euroasiatisti e ai cd rossobruni), ed etnia (ceceni lealisti, bielorussi, ucraini russofoni…) i quali non perdono l’occasione, all’occorrenza, per spararsi addosso gli uni con gli altri. Ovviamente, il fronte di Kiev non è molto migliore, tra truppe regolari, irregolari, una Guardia Nazionale messa insieme alla rinfusa, coscritti, volontari nazionalisti, battaglioni privati di oligarchi, ceceni indipendentisti, polacchi, baltici e bielorussi russofobi, neofascisti e neonazisti di mezza Europa e Dio solo sa cos’altro. L’OCSE testimonia che i primi a colpira Marinka siano stati i separatisti. Perchè? Forse, per nessuna ragione razionale, tranne l’assoluto caos che vige là ora.
      Non c’era alcun dubbio che le sanzioni sarebbero state prorogate, e per due buone ragioni: non intaccano assolutamente nessun rapporto commerciale, anzi, sono poco più che un buffetto in confronto alla più grande violazione di sovranità territoriale dai tempi della II guerra mondiale (Kossovo a parte, ma quello avrebbe dovuto rappresentare un unicum nella storia dell’europa post muro) e servono, al più, come foglia di fico ad un’unione europea che ha dimostrato di non avere alcun visione internazionale, figurarsi una strategia. La Russia incespica per colpa dell’OPEC, per la cessazione della spinta propulsiva del neo-capitalismo di stato putiniano, per i mercati che considerano, a torto od a ragione, il rublo una valuta assolutamente inaffidabile. L’attacco a Marinka? Non un casus belli, ma un caos belli, come ce ne sono state a decine da Febbrario, passati sotto traccia solo per la mancanza di copertura mediatica.

      • caro Alessandro

        grazie per la sua pacata, lucida ed estremamente corretta analisi dei fatti in corso. Saluti

        M.Z.

        • Alessandro Cerchi

          Grazie a voi per aver realizzato questa preziosa finestra in italiano sull’Europa dell’est, recentemente scoperta ma già inserita tra le mie letture quotidiane, tanto per questioni accademiche che per personale interesse.

      • Una bella e ben fatta “istantanea” che però non ci aiuta a capire il perché della “più grande violazione di sovranità territoriale dai tempi della II guerra mondiale” ne, se la Russia incespica, dove Putin e la sua cleptocrazia potrebbe andare a cadere.
        Dato che non penso sia solo questione di sostituire al Cremlino lo champagne francese collo spumante crimeano, perché un pacifista e illuminato (vedi intervista al Corriere…) ex funzionario del KGB si sarebbe lasciato trascinare nel pantano del Donbass?
        Quella nell’Est Ucraina è stata ed è una guerra di informazione e controinformazione e forse siamo arrivati al punto in cui Kyiv vorrebbe congelare il tutto e passare ad altro, mentre Mosca deve soffiare sul fuoco per non far dimenticare chi è il padrone.

        • Alessandro Cerchi

          Purtroppo, più che istantanee, la mia “scienza” non consente di scattare. La previsione di futuri accadimenti a partire dai dati di fatto appartiene all’intuito dei grandi strateghi o alle chiacchere dei visionari, ed io non sono nè tra i primi, nè, almeno lo spero, ai secondi. Azzardando un’ipotesi, sosterrei che il cd Maidan ha colto tutti alla sprovvista, Stati Uniti, Federazione Russa, l’imbelle Unione Europea e, probabilmente, la stessa dirigenza ucraina, filorussa o occidentalista che sia; azzarderei, inoltre, che l’inquilino del Cremlino può anche esser fatto passare dalla borghesia imprenditoriale italiana per pacifista e illuminato, ma di sicuro non per infallibile. Certo, il giudizio sulla ragionevolezza politica (non certo etica) delle sue azioni potrà darlo solo la storia, dopo che i più attenti “fotografi” avranno consegnato agli annali migliaia di istantanee ben a fuoco; non direi, però, che le sue ultime mosse possano essere considerate frutto di una fine strategia e visione poltica, quanto del tatticismo mutuato dalla scuola sovietica, decisamente poco idoneo ad affrontare il XXI secolo. Kiev, d’altro canto, non sembra avere neppure una tattica… Si discuterà a lungo di cosa abbia provocato il declino degli Stati Uniti, se l’avventurismo militare di Bush jr, l’edonismo e il neoliberismo raeganiano all’ordine della crisi economica o quant’altro, ma, credo, pochi storici avranno dubbi su cosa abbia fatto deragliare il putinismo: l’annessione forzosa della Crimea, discussa in una notte nel bel mezzo della più importante e drammatica rivoluzione accaduta in Europa dal 1989.

        • Le mie più che domande erano provocazioni. Con evidente partigianeria e forse minore lucidità, noto che l’essenza del putinismo non viene colta: non abbiamo di fronte un uomo di stato, un ideologo o solo un politico arruffone, ma il padrino di una cupola mafiosa che gestisce la Russia nell’esclusivo interesse (economico) suo e dei suoi compari. Se invece vogliamo “azzardare” una cornice storico-ideologica, direi che è l’ennesimo fallimento del tentativo di rivendicare una alterità e una assoluta specificità della Moscovia, esaurita a metà ottocento l’occidentalizzazione di Pietro, cioè la visione di una Russia grande protagonista della storia e civiltà europee e non appendice europea di una semibarbara Asia.
          Kyiv, disgraziata, non si può permette una tattica, deve sopravvivere giorno per giorno sulla bocca di un vulcano…

  3. Di ipotesi o di letture ce ne sono tante, anche perché possono avere destinatari diversi e paradossalmente alcune possono convivere anche se diametralmente opposte.
    Sia Kyiv che Mosca hanno interesse a pompare sul nazionalismo addossando così sul nemico (per Kyiv) il passo non sempre spedito delle riforme e delle indispensabili, ma socialmente “pesanti”, politiche economiche.
    Per Mosca è fondamentale l’arma della accerchiamento, dell’isolamento e delle sanzioni, così da poter giustificare qualsiasi tracollo dell’economia, tagli alle politiche sociali, impennata nelle spese militari e giri di vite sulle libertà civili e pugno di ferro con le opposizioni.
    Chiaramente proprio in prossimità della discussione su sanzioni e politiche nei confronti della Russia è interesse di entrambi che ci siano un po di morti e che i cannoni tornino a sparare: Kyiv per ri-assicurarsi l’appoggio di USA e UE, Mosca, nella convinzione che tanto le sanzioni sarebbero state confermate, quindi convenga alzare la posta e ingigantire perdite e danni.
    Che gli accordi di Minsk 2 siano nati morti, penso che fosse chiaro fin da subito: Putin non poteva platealmente sbattere la porta in faccia alla Merckel , ma si sono firmate delle previsioni semplicemente impraticabili, anche se oggi come oggi la patata bollente della ricostruzione dell’Ukraina dell’est non la vuole nessuno. Kyiv non ha occhi per piangere nel resto del paese, immaginarsi investire miliardi per l’est, Mosca non ci pensa nemmeno per sogno, quindi le repubblichette “autonome” in fondo in fondo vanno bene ad entrambi.
    Allora Kyiv e Mosca sono uguali? Beh non proprio: non dobbiamo dimenticarci che sono state le paranoie del regime putiniano che hanno scatenato questa situazione e che i costi della guerra nell’est rischiano di azzoppare le riforme in Ukraina, riforme politiche e sociali (forse è necessario ribadirlo) volute e sostenute dalla maggioranza del popolo ukraino.

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