La città di Sloviansk, roccaforte dei separatisti filorussi del Dombass, sarebbe stata riconquistata dalle truppe di Kiev. I separatisti, secondo le fonti ucraine, starebbero ripiegando su Kramatorsk. Tra di loro anche Igor Strelkov, comandante della difesa di Sloviansk, già combattente in Bosnia negli anni Novanta, oggi accusato dall’Unione Europea e dal governo di Kiev di essere un agente dell‘intelligence russa.
L’offensiva dell’esercito di Kiev è stata condotta con l’uso di carri armati e fanteria che, dopo aver sfondato le linee di difesa dei separatisti, sono penetrati in città combattendo strada per strada. Contestualmente l’esercito ucraino starebbe portando avanti un’offensiva, fin qui respinta, intorno alla città di Lugansk.
La presa di Sloviansk è il risultato più importante dell’operazione “anti-terrorismo” promossa da Kiev. La città era un caposaldo dei separatisti dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk dal 14 aprile scorso quando si è trovata, stranamente, al centro degli scontri. “Stranamente” poiché Sloviansk non è (come spiegato da Tatyana Malyarenko, professore di amministrazione pubblica all’Università Statale di Donetsk) uno dei maggiori centri di sostegno politico-elettorale filorusso ma si trova al centro di una serie di campi di prospezione per lo shale gas concessi da Yanukovich alla Shell. L’impressione, quindi, è quella che nel Dombass si stia combattendo una guerra privata della quale i contorni saranno chiari solo a bocce ferme. La speranza è che la riconquista di Sloviansk spinga le parti al tavolo delle trattative evitando ulteriori spargimenti di sangue.
Dato l’uso squisitamente politico che la Russia di Putin ha fatto del ricatto energetico, è chiaro che qualsia opportunità per l’Ucraina di diversificare le fonti di approvvigionamento sia vista dal Cremlino come fumo negli occhi. Nessuna meraviglia che i “separatisti” filorussi fossero in quelle zone.
Circa che cosa succederà ora sul fronte militare, temo i colpi di coda del revanscismo russo “ferito” o “tradito”: andate a leggere la delirante intervista ad un giornale italiano dello pseudoideologo dei falchi eurasiatici, Dugin, che invoca la guerra, la guerra, la guerra….
Mah, dire che i separatisti filorussi fossero soltanto delle creazioni del Cremlino è come dire che Maidan è stata una creazione della CIA. C’è stato il sostegno in termini logistici, è ovvio, ci sono stati gli armamenti (anche se alcuni di questi provenivano dai disertori ucraini), ma l’anima locale del movimento è autentica. Lo dimostra il fatto che Slavyansk (una città il cui 70% della popolazione è etnicamente ucraina!) ha resistito all’assedio delle truppe di Kiev per quasi tre mesi: per fare un confronto, Costantinopoli, capitale di quel che fu un grande impero, dopo sette settimane ha alzato bandiera bianca in quel fatidico 1453.
E’comunque possibile che un motivo cruciale potrebbe essere il contratto con la Shell sullo shale gas, osteggiato (e per buone ragioni) dagli abitanti di Slavyansk. E, come per le sanzioni, anche in questo caso l’economia potrebbe avere avuto un ruolo cruciale nell’influenzare decisioni politiche, questa volta di Putin: la Shell, dopotutto, è anche uno dei maggiori investitori in Russia, e non è improbabile che la decisione di abbandonare il Donbass al suo destino sia avvenuta a seguito degli incontri tra Putin e i top manager della compagnia olandese.
Condivido comunque le Sue preoccupazioni riguardo ai possibili colpi di coda del nazionalismo russo. I combattenti del Donbass, e anche i suoi abitanti, hanno ora tutte le ragioni per sentirsi traditi. Dia un’occhiata al sito di Pravyj Vzgljad, un giornale russo di orientamento ultranazionalista (http://www.rusimperia.info/), e noti i riferimenti ai “traditori” del governo russo e alla “svendita” delle Repubbliche filorusse…
*un motivo cruciale DELLE PROTESTE A SLAVYANSK, I mean
Siamo onesti ma tutto questo movimento separatista è un po’ strano e, per il mio naso, puzza parecchio.
Credo che si possa affermare che prima del marzo scorso, di una questione russa etnica in Ucraina si era sentito parlare pochino: un gruppuscolo insignificante, qualche mugugno, est industriale contro ovest agricolo, ma di faida sanguinosa che si protrae da anni, genocidio etnico, confronto segnato da odi secolari, divisioni ataviche ed insanabili non c’è traccia. Mi ripeto, ma Viktor Janukovyč, è un russo etnico originario dell’Oblast’ di Donec’k, e la base elettorale del suo Partito delle Regioni è proprio nel Donnbass, quindi non vedo come una “minoranza” che esprimeva il presidente della repubblica e il cui partito era al governo, possa essere considerata seriamente discriminata. La famosa disgraziata abolizione del russo come seconda lingua locale era una PROPOSTA che la Rada di Kyiv non ha mai approvato, quindi ad oggi lo status della lingua russa è quello di prima, mai cambiato.
A proposito del Partito delle Regioni mi risulta che sia ancora il maggior partito alla Rada di Kyiv, nessun suo deputato ha pensato di dimettersi, ne è stato arrestato dal governo “nazista”. In verità non mi risultano nemmeno persecuzioni nei confronti dei deputati del Partito Comunista d’Ucraina, anch’essi presenti alla Rada. Strana comportamento per un regime fascista e repressivo.
Che l’anima del movimento sia “autenticamente locale”, bah. Alcuni fatti: possibile che non ci sia un “capo militare”, un “esponente politico” , un “autoproclamato sindaco” che fosse presente in luogo prima del marzo scorso? La famosa roccaforte separatista di Slavyansk è “una città il cui 70% della popolazione è etnicamente ucraina!”, non è che i profughi erano ucrainofoni che scappavano dall’occupazione russa?
Un po’ troppi mercenari, ceceni , uzbeki, siti che promettono la regolarizzazione in Russia ai lavoratori illegali che vanno a combattere in Ucraina. Divise nuove, armamenti standardizzati, “reggimenti” strani…
Poi c’è il precedente dell’anschluss crimeano, prima Putin dice che non c’era un soldato russo, poi ammette che i famosi “uomini in verde” erano militari russi infiltrati. Ormai neanche la più prona propaganda russa ricorda i referendum truffaldini, evidentemente troppo anche per loro. E le folle “oceaniche” convocate a Donec’k, città di poco meno di un milione d’abitanti? Qualche centinaio.
No, mi spiace ma suona sordo.
Purtroppo Lei è troppo arroccato nelle Sue posizioni antirusse per potersi rendere conto che la Russia non è necessariamente quella cattiva e che le sue alternative non sono necessariamente meglio. Cominciamo dall’Ucraina. L’idea di un’Ucraina unita nella sua eterna lotta contro la Russia è una favola creata dalle autorità post-indipendenza al semplice fine di autolegittimarsi e di creare un’identità nazionale forte. In realtà c’è più di un’Ucraina, ed essere Ucraini a Leopoli e a Donetsk significa due cose completamente diverse. Molti Ucraini etnici, poi, sono di madrelingua russa, quelli che non lo sono ufficialmente lo sono di fatto, e anche coloro che sono effettivamente di madrelingua ucraina parlano comunque un russo fluente, seppure con l’accento. E’vero, non c’è mai stata una vera rivalità tra queste due anime (però, durante la Seconda Guerra Mondiale, gli Occidentali erano “banderovcy” mentre da Kiev in poi erano partigiani… come mai?), ma è anche vero che fino a questa crisi molti Ucraini non avevano un’opinione negativa della Russia. E viceversa. Il tutto, però, a livello personale, perché nella politica dell’Ucraina post-indipendenza le differenze interregionali venivano chiaramente alla luce.
Ora, però, ho i miei dubbi che gli abitanti del Donbass vedano gli Ucraini centro-occidentali di buon occhio. Coloro che si sono rifugiati in altre regioni ucraine sono solo 42.000, molti di meno dei 110.000 che invece sono fuggiti verso est. Slavyansk ha centotrentamila abitanti, è impossibile che tutti i quarantaduemila rifugiati vengano tutti di Slavyansk. Anche Kramatorsk è in gran parte etnicamente ucraina. Perché gli abitanti di queste due città non solo non si sono ribellati, ma hanno vissuto per quasi tre mesi sotto i bombardamenti dell’esercito ucraino? Erano circondati, eppure non si sono sollevati per niente: paura dell’ “occupazione russa”, o piuttosto condivisione della causa separatista (sebbene forse solo per paura delle trivellazioni dello shale gas)? Ci rifletta un pò sopra.
Riguardo alla politica, mi associo a quanto detto da Edoardo.
“Purtroppo Lei è troppo arroccato nelle Sue posizioni filorusse per potersi rendere conto che la Russia non è necessariamente quella buona e che le sue alternative non sono necessariamente peggio. Cominciamo dall’Ucraina. L’idea di un’Ucraina eterna sorella minore della Russia è una favola creata dalla propaganda putiniana per delegittimare una reale indipendenza ucraina e negare un’identità nazionale forte ….”
Potrei facilmente continuare a parafrasare il Suo intervento, ma a che pro?
Lei è fermamente convito che QUESTA politica di Putin sia la migliore per la Russia (e per l’Ucraina) e l’unica capace di promuovere un multipolarismo e un contenimento degli USA.
Io ritengo che “l’Ucraina fa benissimo a cercare di allontanarsi dalla Russia putiniana dato che quest’ultima economicamente sta andando indietro, socialmente è sempre più asfittica e soffocante e politicamente sta giocando alla superpotenza senza averne capacità e vocazione”.
Inoltre rimane la domanda di fondo: perché tutti gli stati della cortina di ferro o ex sovietici se ne vogliono andare? E guardi che la peggiore defezione degli ultimi tempi non è l’Ucraina, ma la Serbia.
A questo punto non rimane altro che sedersi sulla riva del fiume e vedere quale cadavere passerà.
Forse mi sono spiegato male (o è Lei che non ha capito). Io non nego il fatto che l’Ucraina sia uno Stato indipendente e che, in quanto tale, ha il diritto di associarsi con chi vuole. Ivi compresa l’Unione Europea. Ciò che contesto è la creazione di un’identità artificiale e troppo spesso fondata sullo stato di vittima (anche fare la vittima è una forza). L’idea che l’Ucraina sia Europa mentre la Russia sia qualcos’altro, e che tra Kharkiv/Kharkov e Belgorod ci sia una sorta di abisso culturale come tra le sponde opposte della Narva (il fiume che divide Estonia e Russia), o tra San Diego e Tijuana, è falsa. Detto questo, il diritto di due “fratelli” di prendere strade opposte resta sacro e inviolabile; dopotutto non sarebbe certamente la prima volta. Uno può avere le proprie opinioni sul tema, ma la libertà di scelta resta. Ciò che intendevo dire non era che “l’Ucraina DEVE entrare nell’Unione Eurasiatica” ma che le divisioni interregionali, in Ucraina, hanno il loro peso e bisogna tenerne conto. C’è una piccola differenza tra le due cose, non trova?
Per quanto riguarda la risposta alla Sua domanda di fondo, Le farò una sorpresa: fino ai primi anni Duemila, anche la Russia voleva entrare nell’UE e nella NATO. Però, come ben sappiamo, ciò non è mai avvenuto, e persino i propositi di creare un’area di libero scambio tra UE e Russia sono rimasti sulla carta. A questo punto Le chiedo: perché? Solo per il recente rigurgito nazionalista russo, o magari c’era qualcos’altro?
Mi spiace nessuna sorpresa.
Se vuole collegare la fine politica di Eltsin e l’ascesa di un oscuro funzionario del KGB, con un cambiamento di clima politico in Russia, sfonda una porta aperta: fu la fine di una approccio “europeo” e un ritorno agli schemi della guerra fredda.
E giustamente proprio da quel momento molti hanno capito che era meglio cambiare aria e trovare compagni di strada meno pericolosi.
Certo che bisogna tenere conto delle specificità etnico storiche e sociali di ciascun paese, ma a) la Russia non mi sembra essere un esempio in argomento… b) bisognerebbe impedire a qualche vicino di essere un po’ troppo “invadente” e usare per il proprio tornaconto la situazione.
Proprio la lunga comunanza tra Ucraini e Russi e la quasi inesistenza, fino a poco fa, di motivi di conflitto fra loro avrebbe potuto portare a migliori risultati, se non fosse intervenuto l’interessato e sguaiato nazionalismo putiniano.
Fossi in Lei ci andrei molto cauto nel dare la colpa della situazione attuale a un singolo uomo. Certo, sarebbe bello se la realtà fosse così semplice, ma il problema è che entrambe le parti sono vittime delle proprie illusioni. La Russia voleva dimostrare che, sull’Ucraina, né l’Occidente né nessun altro si può permettere di sfidarla; l’America che ha un diritto naturale di dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E ora entrambi fanno i conti con le proprie illusioni. La Russia si è ripresa la Crimea e otterrà l’autonomia regionale del Donbass, ma l’Ucraina, per il momento, è persa. Non entrerà nella NATO, ma sicuramente diventerà un vassallo degli Stati Uniti, che la potranno facilmente utilizzare per i propri fini (l’Ucraina, dopotutto, avrà un debito di riconoscenza nei confronti degli States). L’America ha invece dimostrato i propri limiti come superpotenza mondiale. Non è riuscita nel suo intento di riservare alla Russia un trattamento simile a quello riservato all’Iran, né è riuscita con le sue sanzioni mirate a spodestare Putin (anzi, sotto questo punto di vista ha ottenuto l’effetto opposto: la sua popolarità è a livelli stratosferici, quella degli States ha raggiunto i minimi storici, e di sicuro i rifugiati del Donbass non svilupperanno alcun amore per Washington). Inoltre deve riconoscere che Putin non è “una versione ridicola di Mussolini” (cit. Brzezinski), bensì un ottimo giocatore che si è saputo districare con facilità nelle contraddizioni dell’Occidente.
Riguardo alle minoranze, la situazione non è così drammatica. Molte di loro, come quelle ugro-finniche, esistono ormai soltanto a livello di folclore, lingue come il careliano hanno ormai il futuro segnato (dopotutto, a questo punto, molto meglio conoscere il finlandese…), però le minoranze religiose sono generalmente rispettate. Regioni come il Tatarstan hanno un’autonomia reale (il 75% delle tasse pagate nella Repubblica rimane nella Repubblica). E la Cecenia, mi potrebbe dire? Il termine giusto è “protettorato”, ma questo significa che i Kadyrov (ex separatisti passati con la Russia, per intenderci) possono fare quello che vogliono senza dover tener conto di Putin, a cui pure hanno dedicato la via centrale di Groznyj. Compreso introdurre la sharia e imporre alle dipendenti pubbliche di mettersi il velo a lavoro. Inutile dire che non si tratta di usanze russe.
Per quanto riguarda ciò che dice su quanto sia pericoloso intervenire in situazioni come quella ucraina per evitare di trasformare una fiammata in un incendio… sono d’accordo, ma la cosa deve valere per tutti, sia per i sedicenti difensori delle minoranze che non si accorgono che nel loro stesso Paese ci sono zone da cui i Russi etnici sono stati cacciati (una tra queste è la Cecenia), sia per i sedicenti difensori della democrazia che continuano a negare l’evidenza sui danni che l’esportazione della democrazia ha procurato a Paesi come l’Iraq e la Libia.
In verità è Lei che definisce Putin “un ottimo giocatore che si è saputo districare con facilità nelle contraddizioni dell’Occidente.”, io gli attribuisco il merito di rappresentare in questo momento storico, una tradizionale inclinazione della politica russa.
Per il resto giriamo intorno sempre agli stessi (differenti) punti di vista. E noto che Lei mostra radicate convinzioni su come andranno a finire gli eventi in Ucraina, io non ho tutte le sue sicurezze.
Che l’amministrazione Obama sia al suo minimo storico, è evidente e che Putin al massimo altrettanto. Quest’ultimo fatto mi induce a qualche riflessione: ovviamente dal massimo si può solo scendere e non si può pompare all’infinito il pallone propagandistico dell’ultranazionalismo.
La duplice scoperta che la “protezione” dei russi etnici era un pretesto e non una motivazione e che, probabilmente, l’intervento armato diretto russo si allontana sempre più stanno “irritando” le frange nazionaliste e militariste. Soprattutto perché questo spinge nella direzione di una “permanente” e prolungata crisi, una spina nel fianco della cattiva Ucraina colpevole di credersi uno stato sovrano e non una parte della Madre Russia. Si intravvede una somalizzazione della crisi con costi economici e umani grandissimi, ma Lei mi insegna che questo non preoccupa certo Putin o Obama.
Nell’immediato futuro sarà interessante vedere l’evolversi delle dinamiche tra i “leaders” locali e il burattinaio a Mosca, dinamiche mediate (non sempre, sembrerebbe) dai vari nazionalisti, militaristi, tradizionalisti ortodossi e parafascisti russi. Si ha l’impressione che i capetti locali (e i loro sostenitori in Russia) non abbiano capito che la musica sta leggermente cambiando e ogni tanto vorrebbero addirittura essere loro a condurre le danze.
Vedremo
Sono d’accordo con Lei quando dice che “dal massimo si può solo scendere”, ma attenzione! Se nei prossimi mesi la popolarità di Putin diminuirà, il motivo, con ogni probabilità, sarà semplicemente uno: il fatto che Putin non sia intervenuto nel Donbass con il suo esercito. E quindi il fuoco nazionalista diventerà un incendio, ulteriormente alimentato dagli esuli ucraini che rischiano di diventare una facile preda dei gruppi ultranazionalisti (quelli che sfilano ogni 4 novembre con le bandiere bianche, gialle e nere dell’Impero Russo, per intenderci). E Putin dovrebbe stare MOLTO attento, perché si tratta di una situazione PERICOLOSISSIMA, anche per la sua stessa posizione oltre che per la stabilità di tutta l’area eurasiatica. Non mi stupirei se molti ultranazionalisti e pieds-noirs ucraini vorrebbero ora vedere Putin il codardo pendere dallo stesso albero di Poroshenko il nazista e di Obama il guerrafondaio. E, in questo caso, si può facilmente immaginare che a sostituire Putin non sarebbe certamente uno di quei liberali che piacciono tanto all’Occidente ma che, al di fuori di Mosca e San Pietroburgo, non hanno mai riscosso grandi simpatie.
A questo punto si può solo sperare che ciò stimoli Putin a comportarsi come Charles de Gaulle dopo l’Algeria, dedicandosi maggiormente alla modernizzazione economica del proprio Paese: e, a mio avviso, non è improbabile che ciò succeda perché a questo punto lo Zar ha un interesse nel prevenire rigurgiti ultranazionalisti e revanscisti.
E, se sono intelligenti, se ne accorgeranno anche le autorità occidentali.
Mi sembra che una volta di più abbiamo chiuso il cerchio.
Lo statista lungimirante Putin ha innescato un incendio e adesso ha qualche difficoltà a governarlo. La facile vittoria in Crimea ha ubriacato la dirigenza moscovita e ora non è molto chiaro come uscire dal pantano del Novarossia. Purtroppo la soluzione Somalia è quella più facile e prevedibile. I costi in un primo tempo saranno solo sull’Ucraina (va benissimo, in fondo se la è cercata e va punita), anche se c’è il rischio che faville folli caschino in casa e magari appicchino anche lì l’incendio. Per certi aspetti l’unica speranza rimane che gli oligarchi/sanguisughe intorno alla Gazprom facciano quattro conti e decidano che tutto questo gonfiare i petti e sciorinare di sciabole non convengano ai loro affari. Purtroppo, non vedo in Putin quella lucidità di visione alla de Gaulle, mentre ha scelto da tempo l’opzione drogata della dipendenza dall’esportazioni energetiche abbandonando ogni velleità riformista sia in campo economico che sociale/politico. Poi la storia ci dirà quanto in tutto questo c’entri lo zampino USA o se sia riuscito a fare tutto da solo.
Ah, dimenticavo: Oleg Tsarev è di Dnepropetrovsk, Gubarev e Pushkilin sono nativi dell’Oblast’ di Doneck…
Non bisogna dimenticare che questa come altre citta’ e’ stata sottoposta a numerosi bombardamenti con mortai e aerei, che hanno provocato centinaia di vittime tra i civili e migliaia di profughi. E non bisognerebbe neanche dimenticare che il contratto alla shell è stato fatto da Janucovics. Delle due l’una: o Janucovics faceva gli interessi del paese e poi cosi’ male non era, oppure questo contratto e’ una delle tante svendite dell’Ucraina alle societa’ private che hanno funestato questo paese negli ultimi vent’anni e questa guerra condotta contro il popolo potrebbe avere anche l’obiettivo di rendere il territorio “libero” per la shell. I “campi di raccolta” annunciati dal ministro dell’interno per ridistribuire la popolazione sul territorio certamente prospettano degli scenari inquietanti.
O magari Yanukovich ha preso una bustarella dalla Shell, coma da chiunque altro volesse fare qualcosa in Ucraina: in fondo era l’unico che prima di fare il “politico” aveva le pezze al sedere, mentre da presidente aveva la villa con galeone in giardino.
gli antifascisti credo che oggi combatterebbero aberrazioni come quella in atto, qualora ci fossero. Ma sono tutti morti ormai, restano solo epigoni che non distinguono i chiodi dalle broccole e credono che a Kiev ci siano Kappler & friends. Il salame è un insaccato che fa bene agli occhi…
m.
Eh sì, era proprio così semplice e rassicurante il XX secolo nelle sue dicotomie, fascismo/antifascismo, comunismo/anticomunismo. Peccato sia terminato.
Sono d’accordo, non si può vedere la guerra in corso nel Donbass attraverso il prisma del dualismo fascismo-antifascismo. Entrambi i termini sono ormai superati: la realtà è piuttosto quella di uno scontro di natura identitario-nazionalista. Ai fanatici di Maidan, però, vorrei sottolineare che non siamo di fronte a una lotta tra totalitarismo e democrazia. L’esportazione della democrazia è un’utopia (vedi Iraq), e le stesse componenti “democratiche” della società ucraina, dopotutto, stanno mostrando la loro vera natura, e una volta vinta la jihad contro Janukovich sono ora passate alla fitna, ossia alla guerra interna (come dimostrano la recente sparatoria a Maidan). Anche in questo caso, siamo nel XXI secolo e non nel XX.
Vedere il fascismo dappertutto è come non vederlo da nessuna parte: sono solo parole con riempirsi la bocca. Il fascismo è stato un fenomeno ben preciso, chiaro e codificato. Voler mettere nel calderone tutto, non permette un’analisi lucida dei nuovi fenomeni politici in atto. Ma che lo dico a fare, qui c’è chi legge la realtà con le categorie di cent’anni fa e coi simboli delle ideologie passate. Bah…
k.
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