L’Ucraina ha un nuovo presidente. Il grande favorito, l’oligarca di Odessa, il magnate del cioccolato, il candidato che ha speso un totale di 90 milioni di grivne (oltre 5,5 milioni di euro) per la sua campagna elettorale, ha indiscutibilmente trionfato sui suoi opponenti. La vittoria di Petro Oleksiyovych Poroshenko non è una sorpresa per nessuno.
Nemmeno questa volta alla passionaria della rivoluzione arancione è riuscita l’impresa. Yulia Timoshenko è stata sconfitta per la seconda volta nella sua corsa verso la presidenza, ma se quattro anni fa il suo rivale, Yanukovich, aveva trionfato solo al secondo turno e con un margine minimo, questa volta la disfatta è netta e indiscutibile. Solo il 13 % degli ucraini ha accordato la propria fiducia all’eroina della rivoluzione arancione, liberata dal carcere a febbraio, in seguito alla fuga di Yanukovich. Data la debolezza della concorrenza Poroshenko è riuscito a totalizzare il 54% dei voti già al primo turno, risultato sufficiente per non aspettare altre tre settimane per vedere realizzato un copione già scritto. L’assenza di alternative credibili e il gradimento delle cancellerie occidentali, che non hanno perso occasione per congratularsi immediatamente con il vincitore, hanno spianato la strada a Poroshenko sin dal giorno della sua candidatura.
I risultati e la partecipazione al voto
Nessuna sorpresa quindi e nessun colpo di scena dell’ultima ora. Trionfa Poroshenko, inseguito con un grande distacco dalla Timoshenko. Terzo con circa l’8% dei voti il candidato del Partito Radicale Oleg Lyashko, mentre il primo rappresentante del morente Partito delle Regioni è Sergei Tigipko con solo il 5% di preferenze. Totale fallimento per il candidato del partito nazionalista Svoboda, Oleg Tyagnibok, che si deve accontentare solo dell’1,17% e per il coordinatore del gruppo di estrema destra Praviy Sektor, Dmitri Yarosh, che non è riuscito a totalizzare nemmeno un punto percentuale delle preferenze.
Appare piuttosto difficile dare un giudizio oggettivo sull’effettiva regolarità delle elezioni. Secondo l’OSCE, che aveva messo in campo 1000 osservatori elettorali, si è trattato di “un’elezione genuina e largamente in linea con gli impegni internazionali e col rispetto delle libertà fondamentali nella vasta maggioranza del paese”, nonostante “l’ambiente di sicurezza ostile in due regioni orientali e i crescenti tentativi da parte di gruppi armati in tali regioni di far deragliare il processo elettorale”. La partecipazione al voto riporta una media nazionale del 60,3%, nonostante grandi differenze interne (qui la mappa e un’infografica del FT).
Se la Commissione Elettorale Centrale ha frettolosamente evidenziato la grande affluenza, superiore all’80% in alcune regioni occidentali come quelle di L’viv e Ivano-Frankivsk, i dati che riguardano la parte orientale del paese sono meno incoraggianti. Solo circa il 45% degli aventi diritto si sono recati alle urne ad Odessa e Kharkiv, mentre nel Donbas non si è praticamente votato. Solo una minima parte dei seggi elettorali hanno svolto la propria attività a Donetsk mentre nella Repubblica Popolare di Lugansk quasi nessuna circoscrizione elettorale ha partecipato al voto; nelle due regioni ad attività separatista armata, a fine giornata la partecipazione al voto raggiungeva solo il 15,4% in media.
Non sono mancati casi di intimidazione e pressioni a Kiev, dove la sede della Commissione Elettorale è stata circondata dai volontari di Praviy Sektor, mentre è estremamente complesso verificare lo svolgimento delle consultazioni nelle regioni orientali, non solo a Donetsk, ma anche a Kharkiv, Odessa e Dnipropetrovsk.
Yulia, la passionaria sconfitta
Nonostante la netta sconfitta, Yulia Timoshenko non esce di scena. A differenza di quello che si aspettavano alcuni analisti, non c’è stato il richiamo alla piazza e nessun’accusa è volata nei confronti del rivale vincitore. Ma il lupo perde il pelo ma non il vizio e ci sono pochi dubbi sul fatto che l’eroina di una rivoluzione (e mezzo) giocherà le carte che le sono rimaste nel mazzo. La battaglia politica si sposta ora in Parlamento, dove, come già detto altre volte, la Timoshenko può contare sulla maggioranza del proprio partito, Patria, e su uomini fidati in posizioni chiave. Come prima mossa distensiva, ad esempio, Poroshenko ha già affermato che Yatseniuk resterà il Primo Ministro.
What’s Next?
Sono due i prossimi appuntamenti principali nell’agenda del neoeletto presidente che potranno dare importanti indicazioni sul futuro politico del paese. Spettano a Poroshenko, ma solo previa approvazione del Parlamento, le nomine del Ministro della Difesa, del Ministro degli Esteri e del capo dei Servizi di Sicurezza dell’Ucraina (SBU). Nella lista dei possibili candidati il presidente dovrà accuratamente scegliere nomi fidati, ma nello stesso tempo graditi sia all’attuale coalizione di governo (e soprattutto a Patria, partito della Timoshenko) sia al Cremlino, che guarda con particolare interesse gli sviluppi della situazione politica del paese.
In secondo luogo Poroshenko si dovrà assumere il gravoso compito di aprire una finestra di dialogo con il Donbas e con le autorità delle autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Sembra ancora presto per giudicare quale sia la strada più percorribile da questo punto di vista, e se da una parte il nuovo presidente si dichiara disposto a promuovere il dialogo, dall’altra l’operazione anti-terrorismo ha ripreso vigore a Donetsk nel giorno immediatamente seguente alle elezioni. I prossimi giorni saranno determinanti per capire se davvero il magnate del cioccolato ha la forza politica necessaria per mantenere unito il paese e iniziare a parlare concretamente con Mosca.
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Si la fiducia di Barak Osama e della troika europea. Come si può governare un Paese andando a borbardare le persone, i propri concittadini. Finchè governeranno gli oligarchi nulla di buono maturerà in Ukraina
2 giugno – Nel corso della notte scorsa circa 200 uomini armati continuavano a sparare con mitragliatrici e lanciagranate contro l’edificio del Dipartimento della guardia di frontiera di Luhans’k. Allo stesso tempo i funzionari della Guardia di frontiera erano nel mirino dei cecchini posizionati nelle finestre degli appartamenti dell’edificio di fronte. Le forze dell’operazione antiterrorismo (ATO) hanno mandato in aiuto alle guardie di frontiera di Luhans’k l’aviazione militare che ha eseguito la missione, disperdendo i terroristi, – ha comunicato il capo del centro stampa della ATO Vladyslav Selezniov. La Guardia di frontiera dello Stato ha comunicato che si è trattato di “circa 500 terroristi”, i quali “nel corso dell’assalto avevano fatto uso non solo di mortai, lanciagranate, mitragliatrici e fucili, ma anche della tattica preferita dei russi – si sparava alle guardie di frontiera dalle finestre degli appartamenti dei civili, utilizzandoli come “scudi viventi”.