UCRAINA ELEZIONI /2: Poroshenko, il Willy Wonka ucraino che piace anche a Mosca

A meno di colpi di scena dell’ultima ora, e sempre che nell’est del Paese non torni ad impazzare la guerra civile, il futuro presidente dell’Ucraina sarà Petro Poroshenko, il re del cioccolato.

Con circa il 40% dei consensi secondo i sondaggi più cauti, oltre al 55% stando a quelli più ottimistici che tengono in considerazione anche coloro i quali presumibilmente non si recheranno a votare, per Poroshenko c’è solo il dubbio di capire se vincerà al primo turno, come tutto ormai fa presumere, o se dovrà attendere qualche settimana in più: i suoi inseguitori sono a non meno di trenta punti percentuali di distanza.

Nato nei pressi di Odessa nel 1965, laureato in economia, il Willy Wonka ucraino è stato scaltro negli anni successivi alla dissoluzione dell’Unione Sovietica a mettere le mani su varie aziende dolciarie che sono state privatizzate per pochi spiccioli ed in seguito a saperne fare un impero al quale ha dato il nome “Roshen” (Po-Roshen-ko). Con un patrimonio di circa 1,3 miliardi di dollari (Forbes), è ad oggi il 7° uomo più ricco d’Ucraina ed il proprietario, oltre che dell’azienda dolciaria e di alcune altre imprese, anche di Kanal 5, l’emittente televisiva che è stata capace di coprire la Rivoluzione Arancione del 2004 e gli eventi del Maidan di pochi mesi fa.

Di notevole interesse la sua esperienza politica, che non può certo essere definita lineare. Eletto per la prima volta nel 1998 alla Verkhovna Rada, il Parlamento, nelle fila del Partito Socialdemocratico, fonda due anni dopo il Partito della Solidarietà, che però abbandona nel giro di pochi mesi per essere tra i fondatori del Partito delle Regioni, lo stesso del quale è stato fino a pochi mesi fa leader indiscusso l’ex presidente Yanukovich.

Fino a questo momento della sua carriera Poroshenko è stato un fervente sostenitore di Leonid Kuchma, a quei tempi presidente ucraino, del quale ha appoggiato in tutto e per tutto la linea politica fino al 2001. Avendo compreso, prima di molti altri, che la parabola dell’allora despota ucraino volgesse al termine, anche considerato che non avrebbe potuto gareggiare per il terzo mandato, Poroshenko decide nel 2001 di cambiare casacca e di salire sul carro di colui che appariva l’astro nascente del firmamento politico: Viktor Yushchenko, del quale seguirà tutta la campagna elettorale fino a quando quest’ultimo sarà eletto presidente, mentre lui otterrà l’incarico di Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale e di Difesa, posto di grande prestigio.

Resosi conto nel 2009 che Yushchenko, di cui è stato per anni anche finanziatore, inizia a dare segni di debolezza, è ancora una volta scaltro riuscendo a farsi nominare Ministro degli Esteri, posizione con maggiore visibilità politica, che gli permette di avvicinarsi al primo ministro di allora, la Timoshenko, con la quale, nonostante ufficiali smentite, inizia a collaborare sperando che l’iron lady ucraina possa diventare il futuro presidente. Tuttavia la sua scommessa nel 2010 fallisce, la Timoshenko non riesce a vincere le elezioni per un soffio, e Poroshenko – ben lontano dal disperarsi – prima si fa mettere “in castigo” da Yanukovich come capo del Consiglio della Banca Nazionale ucraina e poi si riabbraccia con il Presidente ottenendo la nomina nel 2012 a Ministro del Commercio e dello Sviluppo Economico.

Ancora una volta capisce prima di molti (sempre che non sia fortuna!) che Yanukovich sta perdendo consenso e si allontana lentamente da lui, per prenderne fortemente le distanze durante le manifestazioni di fine 2013 ed inizio 2014 a Kiev, che lo vedono fisicamente, oltre che attraverso la sua televisione e le sue dichiarazioni, in prima fila con i manifestanti su posizioni sempre moderate.

La corsa alla presidenza sembra spianata quando, dopo aver annunciato la candidatura, Klitscho, l’ex pugile che sembrava poter avere possibilità di vittoria, rinuncia alla candidatura dichiarando il suo appoggio a Poroshenko dopo che i due si sono incontrati a Vienna con Dmitry Firtash, uomo vicino all’ex presidente Yanukovich, che ha gestito per anni i traffici di gas tra l’Ucraina e la Russia e che, dopo essere scappato nella capitale austriaca dopo la fuga del suo protettore, è stato catturato su richiesta delle autorità americane con l’accusa di corruzione. Si potrebbe dire che Poroshenko negli anni sia diventato amico di figure poco raccomandabili.

I punti fissi del programma presidenziale di Poroshenko sono pochi. Innanzitutto la modernizzazione del paese e la stabilità economica. È conscio degli sforzi richiesti (o imposti) dal Fondo Monetario Internazionale, e sapendo che porteranno malcontento ha già annunciato che saranno i più ricchi coloro che pagheranno gran parte del conto: peccato non abbia detto in che modo. La lotta alla corruzione è forse il suo più grande cavallo di battaglia, che sventola ad ogni occasione, ma anche in questo caso non si è capito come intenda fare, e soprattutto se i suoi colleghi oligarchi siano d’accordo. L’accordo di associazione con l’Unione Europea, per la parte non ancora sottoscritta, è un altro obiettivo dei cento giorni, come ha avuto più modo di ribadire, ma anche il riavvicinamento alla Russia non può che stargli a cuore: negli scorsi mesi i prodotti della sua azienda erano stati banditi dalla Russia con il classico pretesto sanitario ed i conti della Roshen erano finiti in rosso mostrando chiaramente che buona parte del mercato della sua azienda, attorno al 40%, è proprio nel paese di Putin. Finora ha seguito la filosofia, sulla scia di Sun Tzu, che se un nemico non si può sconfiggere, allora è meglio abbracciarlo: farà così anche con Putin?

Chi è Pietro Rizzi

Dottorando in Relazioni Industriali presso l’Università degli Studi di Bergamo, collabora con l’OSCE/ODIHR come osservatore elettorale durante le missioni di monitoraggio in Est Europa. Redattore per East Journal, dove si occupa di Ucraina, Est Europa e Caucaso in generale. In passato è stato redattore ed art director del periodico LiberaMente, e si è a lungo occupato di politica come assistente parlamentare e consulente giuridico per comitati referendari. Ha risieduto, per lavoro e ricerca, a Kiev e Tbilisi.

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Un commento

  1. ………….”……..saranno i più ricchi coloro che pagheranno gran parte del conto…….”.

    La cosa mi pare logica perché gli altri non hanno di che pagare. Quindi è inutile illudersi che possano farlo.

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