La scarsissima presenza della sinistra nell’agone politico turco è un sintomo cronico della scarsa maturità democratica del paese. Le radici di questa condizione vanno ricercate nel golpe del 1980 che, nel corso di una vera e propria caccia alle streghe, ridusse al silenzio quasi tutti i movimenti di ispirazione comunista e socialista che avevano, nel bene o nel male, caratterizzato il decennio precedente. L’ideologia di Stato imposta dai militari non si limitò a colpire i gruppi estremisti ed extra-parlamentari, ma da quel momento ogni discorso che si rifacesse esplicitamente agli ideali della sinistra fu di fatto bandito da un legge non scritta della politica turca.
A 30 anni di distanza la situazione non sembra essere sostanzialmente cambiata: nessuno dei partiti che compongono la variegata galassia della sinistra radicale è presente nel parlamento di Ankara, e il loro peso politico complessivo è del tutto irrilevante. La causa di ciò è spesso individuata nell’altissima soglia di sbarramento del 10% prevista dalla legge elettorale, ma i risultati delle elezioni degli ultimi anni dimostrano come quasi tutti i partiti esclusi dal parlamento sarebbero rimasti fuori anche con un sistema simile a quello presente oggi in Italia. Con una soglia di sbarramento inferiore, il voto sarebbe probabilmente meno polarizzato e i partiti minori avrebbero maggiori possibilità di emergere, ma questo non smentisce la provata incapacità delle sinistre ad unirsi e creare un progetto politico realmente credibile.
Il Partito Repubblicano del Popolo (Cumhuriyet Halk Partisi, CHP), fondato da Atatürk nel 1923, interpreta oggi il ruolo di principale opposizione a sinistra del governo conservatore dell’AKP di Erdoğan. Benché il CHP sia affiliato al Partito Socialista Europeo, esso è stato per lunghissimo tempo egemonizzato dai nazionalisti laici di ispirazione kemalista, di cui Deniz Baykal – segretario nel decennio tra il 2000 e il 2010 – è un tipico rappresentante. Quando Kemal Kılıçdaroğlu, esponente della corrente socialdemocratica del partito, è subentrato a Baykal, qualcosa è cominciato a cambiare, ma definire il CHP come una forza di sinistra rimane quantomeno complicato.
A portare avanti le istanze tipiche della sinistra europea all’interno del parlamento sono rimasti quindi gli indipendenti provenienti essenzialmente dalle fila del Partito della Pace e della Democrazia (Barış ve Demokrasi Partisi, BDP), erede del filo-curdo Partito della Società Democratica (Demokratik Toplum Partisi, DTP) sciolto dalla corte costituzionale nel 2008. Maggiori diritti e autonomia per le minoranze linguistiche e religiose, apertura verso le coppie omosessuali e riconoscimento del genocidio armeno: questi alcuni fra gli obiettivi estremamente audaci che il partito si è posto in questi anni. Il limite principale del BDP nel rappresentare la sinistra di tutta la Turchia, è da rintracciare nella sua connotazione etnica. La stragrande maggioranza dei suoi esponenti appartengono infatti a comunità non turcofone, in particolare curdi e zaza, o a minoranze religiose (un terzo dei suoi componenti sono alevi, mentre tra i rappresentanti sostenuti dal BDP in parlamento c’è anche il cristiano siriaco Erol Dora). Il BDP è generalmente considerato, e con buone ragioni, come il “partito dei curdi” e l’autonomia delle regioni a maggioranza curda dello Stato turco è stato sempre il suo obiettivo principale.
L’improvviso sorgere del movimento di Gezi Parkı può però costituire un punto di svolta importante nella storia della sinistra turca. Per la prima volta dal colpo di stato del 1980, si è assistito all’emergere di un forte movimento generazionale, capitanato in gran parte da giovani che rifiutano tanto le posizioni nazionaliste e stataliste tipiche del kemalismo, quanto ovviamente il paternalismo liberista e conservatore del governo contro cui si sono sollevati. C’è quindi una chiara esigenza, da parte di questo nuovo potenziale elettorato, di seri progetti politici esplicitamente alternativi rispetto al sistema oggi presente nel paese. Il primo ad intercettare questa crescente domanda è stato il chitarrista heavy metal Reşit Cem Köksal, con la creazione del Partito di Gezi (Gezi Partisi), la cui consistenza programmatica, così come la potenzialità elettorale, è però tutta da verificare.
La novità più interessante nel panorama politico turco per ora proviene proprio dalle file del BDP. Il noto regista cinematografico e giornalista Sırrı Süreyya Önder, eroe di Gezi Parkı e tra i pochi membri di spicco del partito ad essere di origine etnica turca, ha infatti annunciato la creazione del Partito Democratico del Popolo (Halkların Demokratik Partisi, HDP), gemellato con il BDP ma che rappresenterà esplicitamente tutta la popolazione della Turchia, prescindendo dalle appartenenze etniche e religiose. Il BDP si presenterà dunque solamente nel sud-est a maggioranza curda, mentre la nuova formazione politica intende rappresentare le istanze della sinistra in tutto il resto del paese. Lo stesso Önder sarà il candidato ufficiale del HDP al fondamentale ruolo di sindaco di Istanbul.
Anche lo stesso CHP deve essersi accorto che il termometro politico della Turchia sta cambiando, e che il vento che soffia da sinistra non può essere ignorato. Per questo, dopo una lunga trattativa, il partito ha riaccolto tra le sue fila Mustafa Sarıgül, popolare sindaco del distretto stambuliota di Şişli, precedentemente espluso nel 2005 a causa delle sue posizioni socialdemocratiche in aperta opposizione con la linea kemalista intransigente di Baykal. È estremamente probabile, a detta dei principali quotidiani turchi, che proprio Sarıgül sarà il candidato del CHP come sindaco di Istanbul. Proprio in funzione pre-elettorale Sarıgül e Önder hanno ingaggiato in questi giorni una battaglia fatta di dichiarazioni volte quasi a stabilire chi è più “di sinistra” fra i due. Queste divisioni nell’immediato potrebbero addirittura favorire il partito di governo, ma sicuramente sono sintomo di un cambiamento nel discorso politico in Turchia.
I riferimenti alla cultura di sinistra sembrano diventati così tanto di moda che perfino il consigliere del governo conservatore Yiğit Bulut ha recentemente dichiarato letteralmente e senza pudore che «Bu ülkede gerçek bir sosyalist varsa o da Recep Tayyip Erdoğan» (se in questo paese c’è un vero socialista, quello è Recep Tayyip Erdoğan). È probabile che questa frase non sia piaciuta né agli elettori di sinistra né al premier a cui questo “complimento” intendeva essere rivolto, ma testimonia come in Turchia dire cose di sinistra non sia più un tabù.