Per la prima volta dall’inizio della guerra all’ISIS, le forze militari turche hanno attaccato postazioni dello stato islamico varcando il confine siriano. Caccia F-16 sono decollati dalla vicina base in Incirlik colpendo gli jihadisti asserragliati intorno alla città siriana di Kilis. Una reazione dopo che il 23 luglio un soldato turco è stato ucciso al confine con la Siria da colpi sparati da un gruppo di fondamentalisti. E forse anche una replica al terribile attentato di Suruç, nel quale sono morti 32 ragazzi turchi colpiti da un attentatore suicida che si ritiene fosse legato all’ISIS.
Numerosi arresti sono stati inoltre condotti su tutto il territorio turco allo scopo di eliminare le cellule fondamentaliste. Nella sola Istanbul sono state arrestate 251 persone sospettate di essere fiancheggiatori o sostenitori dell’ISIS.
Le operazioni di polizia all’interno del territorio turco, e quelle militari all’esterno, avevano anche lo scopo di colpire i militanti del PKK, il partito curdo dei lavoratori che il 22 luglio scorso ha dichiarato decaduto il cessate il fuoco concordato con le autorità turche segnando così la fine del processo di pace che, con la benedizione dello stesso Abdullah Ocalan, il leader del PKK, in carcere dal 1999, stava faticosamente portando alla normalizzazione delle relazioni turco-curde.
A Sanliurfa, Smirne e Ankara sono stati arrestati numerosi affiliati al PKK e l’attacco aereo a Kilis ne ha distrutto alcune postazioni. Non è la prima volta che l’esercito turco conduce un attacco fuori dai confini nazionali allo scopo di colpire i miliziani curdi. Già nel 2013 un’operazione militare su larga scala nel Kurdistan iracheno aveva impegnato ben 22 battaglioni d’élite dell’esercito turco in quella che fu un’invasione via terra in piena regola di uno stato sovrano, l’Iraq, indebolito però già allora dall’offensiva jihadista. L’avanzata dei fondamentalisti e lo scoppio della guerra civile siriana costrinsero Ankara a cambiare strategia, e i curdi divennero – non già degli alleati – una presenza utile a tenere il sedicente “stato islamico” lontano dai confini turchi. Quando le potenze occidentali decisero di appoggiare la lotta dei curdi in chiave anti-islamista, la Turchia – pur aderendo formalmente all’iniziativa – non fece nulla per appoggiare i curdi lasciando che le due parti, entrambe avverse agli interessi di Ankara, si annientassero a vicenda. Per questo i curdi accusarono il governo turco di appoggiare l’ISIS, accusa peraltro mai provata.
L’offensiva di oggi conferma la doppia finalità dell’intervento militare turco, che bombardando l’ISIS ha gioco facile nel colpire il nemico di sempre, quel PKK che da trent’anni ha dichiarato guerra ad Ankara. Una guerra fatta di attentati che non ha mai portato a nulla e che oggi, con l’affermarsi in Turchia di partiti democratici curdi, ha perso l’appoggio di gran parte della popolazione curda residente nel paese.
“Per questo i curdi accusarono il governo turco di appoggiare l’ISIS, accusa peraltro mai provata” Beh, non proprio. Esistono diversi reportages e testimoni, ma non credo che alcun tribunale internazionale portera’ il governo turco sul banco degli imputati. Chi se ne e’ occupato e’ passato a miglior vita, come Serena Shim, o rischia di farlo.
ciao Riccardo
le testimonianze addotte vanno prese con beneficio d’inventario, come tutte le testimonianze provenienti da contesti di guerra. L’inganno è sempre dietro l’angolo ed è spesso confezionato per gli occhi della stampa internazionale (ricorderai il “massacro di Timisoara” del 1989, quando non ci fu nessun massacro e si capì solo anni dopo). Voglio dire, la prudenza non è mai troppa. Esiste poi una “propaganda curda” (passami il termine, un po’ forte invero) che ha molta presa in Europa e dalla quale bisogna diffidare, come da tutte le fonti “partigiane”. Negli anni mi è capitato spesso di leggere di morti, abusi, arresti di giornalisti e attivisti curdi o filo-curdi. Poi indaghi e dopo settimane scopri che no, non era proprio un attivista, o un giornalista. Alcuni sì, certo, ma altri no. Scrivere per un giornale e mettere bombe non fa di te un giornalista minacciato dalla repressione di Ankara, ecco. Senza voler qui discutere della legittimità o meno di quelle bombe, non sta a me giudicare. Ma l’attività terroristica, foss’anche per la più nobile delle cause, è ovviamente punita da chi la riceve. Ed è punito il supporto a quella causa “terroristica”. E quindi spesso in Turchia si finisce in carcere anche solo per reati d’opinione. Non intendo in alcun modo sostenere che i curdi non siano vittime della discriminazione politica turca (basta andare nel Kurdistan turco per vedere qual è la situazione). Dico però che i gruppi politici e combattenti curdi hanno saputo, negli anni, costruire un’immagine di martirio che andrebbe di molto sgrossata. Quindi ritengo sia bene prendere con le pinze le loro dichiarazioni, così come quelle turche sia ben chiaro. Ed è per questo che ho scritto quella semplice frase. Un saluto
Matteo
Ciao Matteo, sono d’accordo che una buona dose di scetticismo sia sempre necessaria, ma il rifornimento di armi all’ISIS da parte di Ankara (e di diversi stati mediorientali) sembra ormai un dato di fatto. Le ragioni invece le possiamo solo immaginare. Riguardo ai giornalisti, non mi riferivo ai curdi ma a giornalisti stranieri. Non mi risulta che Serena Shim abbia messo delle bombe ma fosse semplicemente una giornalista americana che lavorava per una TV iraniana. Hai informazioni in merito? A presto
Ciao Riccardo
su Serena Shim so quello che si legge sui giornali. Non me ne sono occupato (mi occupavo di giornalisti minacciati nel 2014, per un giornale, ma ho smesso) e non voglio dire cose che non so. A voler pensare male, in Turchia sappiamo che il “deep state” è molto forte, e agisce talvolta in opposizione al potere politico. Ma, ripeto, non so nulla della questione e non mi pronuncio. E’ verissimo che in Turchia i giornalisti non se la passano bene, specie se si occupano di certi argomenti…