di Giacomo Danielli
Spesso giornalisti e analisti politici internazionali si interrogano sulla natura del partito di Recep Tayyip Erdoğan, vincitore delle recenti consultazioni generali in Turchia per la terza volta consecutiva. Uno dei primi errori che si commettono, quasi naturalmente, nel cercare di affrontare le questioni politiche di questo paese è quello di utilizzare una “lente”, un approccio e un sistema di analisi prettamente “occidentale”. Al di là degli schematismi ideologici tradizionali (destra/sinistra), che in alcuni casi e su alcune questioni potremmo definire superati anche nella politica contemporanea dei paesi a noi più vicini, affibbiare ai partiti turchi un qualsiasi “bollino” a noi familiare, per semplificare la lettura e la comprensione degli orientamenti politici è spesso limitativo e fuorviante.
Più volte abbiamo letto, anche da fonti nostrane particolarmente “eminenti”, che l’AKP sarebbe una sorta di “Democrazia Cristiana” turca. Questo perché la nostra conoscenza delle questioni storiche e politiche della Turchia è -inevitabilmente- limitata; pertanto, il richiamo ad un riferimento a noi familiare (DC/CDU), si coniuga facilmente con la cosiddetta “ispirazione religiosa moderata” del Partito di Erdoğan.
A nostro personale avviso, questa schematizzazione è fin troppo riduttiva; ci azzarderemmo a trovare solo nelle derive populiste e in qualche tendenza statalista i punti di contatto tra democristiani europei e AKP, tra l’altro in un parallelo un po’ anacronistico tra l’Italia anni ’60-’70 ela Turchia di oggi.
Il grande successo di consensi del partito di maggioranza turco esplose soprattutto per una forte cesura con la politica corrotta degli anni ’90. Le priorità che Erdoğan affrontò nel suo primo mandato furono soprattutto di carattere economico. La forte contrazione dell’inflazione, l’incentivo agli investimenti stranieri, una politica genericamente “liberista”, furono gli elementi di successo che portarono il partito al secondo mandato.
Successivamente, Erdoğan si è occupato del difficile processo di modernizzazione della società turca, cercando di affrontare spinose questioni sociali interne, prima fra tutte quella Curda. Ben lungi, ancor oggi, da una completa risoluzione di tutte le problematiche che ancora lacerano il paese, va riconosciuto al Premier il coraggio di aver, per primo, affrontato questi nodi cruciali nella via della completa democratizzazione del paese.
Non vanno dimenticate, in questa breve analisi, la storia politica personale di Erdoğan e le origini del suo partito. Non affrontare la componente islamica dell’AKP, per di più nel quadro di una moderna Turchia che ha fondato sul laicismo la propria essenza, sarebbe un’imperdonabile mancanza. Senza dubbio sono passati molti anni da quando il Premier, sindaco di Istanbul, veniva arrestato come uno dei leader dell’allora disciolto partito religioso della Refah. Non si può non notare come una buona parte della base odierna del suo movimento politico sia, comunque, religiosamente caratterizzato, anche se le istanze jihadiste sono ormai quasi scomparse, relegate ad appannaggio di gruppetti extraparlamentari (primi fra tutti il Saadet Partisi).
E’ altrettanto interessante osservare come le politiche dei governi Erdoğan, soprattutto in campo economico, abbiano notevolmente aumentato il benessere nel paese, portando in poco tempo alla creazione di una “classe media”, fino a pochi anni fa quasi assente in Turchia. Può apparire contraddittorio, ma molti di quelli che hanno beneficiato di queste politiche e di questa nuova ricchezza sono proprio i più feroci oppositori e denigratori del Premier, sempre pronti a sbandierare il pericolo integralista (quante volte abbiamo sentito, noi stranieri, la frase-tormentone: “diventeremo come l’Iran”!).
Liberale? Integralista? Democratico? Anche noi siamo caduti nell’umana necessità della semplificazione. Forse Erdoğan ci chiarirà le idee durante il suo terzo mandato.
Da quanto (poco) ne ho studiato io, ricordo le parole di un mio stimato professore francese (Burdy), il quale riteneva che la Turchia alternasse democrazia e laicismo: con Ataturk era stato avviato un processo di laicizzazione della Turchia, ex impero ottomano e ultimo califfato se non erro, processo attuato grazie all’esercito, da cui Ataturk proveniva. Dopo la sua morte, nelle fasi di progressivo spostamento della Turchia verso una democrazia più compiuta, avveniva anche un ritorno del paese verso l’Islam. Era sempre l’esercito, auto-definitosi difensore della costituzione kemalista, ad intervenire a tutela del laicismo, con successivi colpi di stato.
In molti temono oggi possibili derive islamiste della Turchia, stupendomi sempre nell’applicare schemi occidentali (in cui democrazia e laicità di solito vanno a braccetto) a paesi con storie e culture differenti, per quanto meno distanti di quanto si affermi.
O forse, sono semplicemente le ottiche proposte dai media occidentali che interpretano e amplificano il sentimento politico contro una Turchia nell’UE, che sarebbe un membro troppo ingombrante.
Ma a mio avviso se il paese democratizzandosi si sposta verso un maggior riconoscimento dell’Islam, non c’è nulla di male. A meno di sperare sempre nel governo dei saggi di Platone..
Sul concetto di laicità in Turchia ci sarebbe da aprire un capitolo a parte. Se guardiamo all’idea che nel 2011 si ha della laicità in questo paese, ci rendiamo conto come questa si coniughi forzatamente all’interno di un monolite “Sunnita al 99%”, come spesso i Kemalisti più accesi ricordano. A parte la valutazione erronea della composizione religiosa del paese (ci si dimentica degli Aleviti), tutti i “laici” più oltranzisti sono anche fortemente nazionaisti e intendono l’essenza stessa dell’essere Turchi proprio nella corrispondenza con l’Islam Sunnita. Questa posizione si è accentuata dopo il colpo di stato del 1980, che ha cercato il più possibile di cancellare qualsiasi istanza anche vagamente “socialista”, oltre alle richieste di autonomia dei Curdi. Sono i militari che hanno reintrodotto l’ora di religione obbligatoria nelle scuole e che hanno condizionato i programmi scolastici per creare nella mente degli studenti un rifiuto radicale di qualsivoglia idea agnostica o atea. Capisco che può sembrare una contraddizione, ma questa schizofrenia è l’essenza stessa del laicismo turco dei nostri giorni, a mio modesto avviso. Quindi, laici sì, ma al tempo stesso refrattari a qualsiasi apertura verso le minoranze religiose, di qualsiasi natura. Va detto che Erdoğan, seppur sporadicamente, ha per primo fatto passi quasi epocali verso l’accetazione e il riconoscimento di queste istanze. Sul pericolo di “derive islamiste” nel governo del paese, concordo al 100% con te.
ehm, non pensi che parlare di tendenze JIHADISTE del Refah e oggi del Saadet sia un tantinello azzardato? anzi, no: diciamo pure che col jihadismo il Milli Görüş (visione nazionale) di Erbakan – da dove tutto e’ nato – non c’entra assolutamente nulla (islamismo e jihadismo non sono la stessa cosa: parliamo rispettivamente di politica e di lotta armata).
Erdoğan comunque non e’ stato arrestato e non si e’ fatto 4 mesi di galera in quanto leader di chissa’ cosa (detta cosa, uno magari pensa a qualcosa di eversivo), ma per aver letto una poesia durante un comizio: e il bello e’ che i kemalisti – spalleggiati da una stampa distratta o connivente – se la prendono oggi contro chissa’ quali violazioni della liberta di stampa da parte del governo dell’Akp (vioelazioni ce ne sono, al di laì del tollerabile: ma sono la diretta conseguenza di leggi previste dal sistema autoritario creato nel 1982.
adesso comunque il leit-motiv non e’ piu’ quello del ‘pericolo integralista’, ma quello altrettanto risibile del ‘rischio autoritario’..
Hai ragione sia sulla semplificazione della definizione “jihadista”, anche se penso che una buona parte della base del saadet abbia quel riferimento, sia sulla poesia di Erdoğan, anche se sai meglio di me che è stata una scusa bella e buona per cercare di toglierlo dalla scena politica turca…
giacomo
continuo a ritenere che utilizzi la parola ‘jihadista’ un po’ alla leggera. ‘jihadista’ e chi utilizza la lotta armata: e’ un guerrigliero, un terrorista. il saadet e’ un partito politico: islamista e radicale magari, ma con la lotta armata non ha nulla a che fare!
per quanto riguarda Erdogan, ovviamente hai ragione: volevo proprio sottolineare il fatto che l’accusa era risibile (quindi un pretesto)…
Guarda, non vorrei aprire un dibattito sulla definizione di “jihad”, o meglio sul suo utilizzo nei media occidentali. Così come ho definito “una semplificazione” l’utilizzo di jihadista al posto di “movimentista” islamico, penso che tradurre il termine “jihad” con lotta armata, terrorismo, ecc. sia altrettanto riduttivo o semplificativo. Jihad in Arabo vuol dire “massimo sforzo”, non “guerra santa” come spesso si crede; questo “sforzo difensivo” è stato storicamente fonte di guerre religiose, su questo non vi è alcun dubbio. Resta che moltissimi movimenti politici musulmani definiscono “jihad” le proprie azioni messe in atto per “difendere i valori dell’Islam”; azioni che possono semplicemente essere cortei di protesta, assemblee, proposte politiche; questo non significa che si auto-definiscano “combattenti islamici”. L’uso che ne fanno i media, soprattutto occidentali, è erroneamente riduttivo dopo che le azioni dei gruppi terroristici legati agli Egiziani della “Jihad Islamica” sono passati alle cronache internazionali. Il mio utilizzo all’interno dell’articolo non voleva essere “alla leggera”, ma solo rimarcare il carattere movimentista, con finalità più o meno velate di creare in Turchia uno stato basato sulla Sharia, del Saadet o dell’arcipelago “fondamentalista” in Turchia. Qui una piccola nota di ARABcomint su “jihad”: http://www.arabcomint.com/jihad.htm
ciao
Giacomo
hai ragione, il termine ‘jihad’ e’ mal compreso e usato abusivamente; e in effetti il termine ‘jihadista’, nel suo uso comune in Italia, ha assunto un significato molto caratterizzato: ed e’ proprio a questo significato che mi riferivo – dopotutto, siamo anche noi ‘media occidentali’, no 🙂 ?
equivoco chiarito, quindi!
in realta’, penso che si debba fare una distinzione tra il Millî Görüş di Erbakan (di cui l’Akp e il Saadet sono il diversificato prodotto) e l’arcipelago fondamentalista: ma magari ne parliamo in separata sede…
Concordiamo su tutto, direi. Nell’articolo cercavo di definire i tratti dell’AKP, cercando di “smarcarlo” da alcuni pregiudizi dei nostri sistemi informativi, che spesso lo definiscono meramente “islamico” con un’accezione tutt’altro che positiva, o lo accomunano a partiti di massa europei, visione altrettanto riduttiva. L’arcipelago fondamentalista in Turchia meriterebbe in effetti una discussione a parte, magari davanti a un çay 😉