SERBIA: ICTY, assolto anche Perišić. Solo pallottole vaganti?

La Corte d’Appello del Tribunale Penale Internazionali per l’ex Jugoslavia (ICTY) ha assolto Momčilo Perišić, ex capo di stato maggiore dell’esercito jugoslavo (Vojska Jugoslavije – VJ).  Momčilo Perišić era stato giudicato colpevole in primo grado e condannato a 27 anni di reclusione per il suo ruolo di supporto ai crimini commessi dagli eserciti dei serbi di Bosnia (Vojska Republike Srpske – VRS) e di Croazia (Српска војска Крајине-SVK), in particolare per il genocidio di Srebrenica, l’assedio di Sarajevo e il bombardamento di Zagabria.

Come notato da diversi osservatori, il Tribunale dell’Aia, nella sua fase finale, sembra essersi dimenticato di quello che erano la sua missione e il suo mandato iniziali. Infatti, anziché difendere le vittime delle guerre jugoslave, ha difeso coloro che si sono macchiati di gravi crimini. Guardando alla giurisprudenza del Tribunale negli ultimi anni, Cristophe Solioz si chiede, con ironia, se la maggior parte delle vittime nei Balcani hanno trovato la morte per via di pallottole vaganti o gruppi paramilitari, dato che nessun alto rappresentante di uno stato belligerante è stato condannato all’Aia. Infatti, con il suo verdetto, la Corte ha rafforzato la retorica nazionalista di guerre puramente difensive, ignorando coloro a cui dovrebbe rendere conto, vale a dire le vittime di queste guerre. Solioz accusa il Tribunale di giudizi politici, volti ad assolvere la maggior parte degli imputati per ottenere una politica più accondiscendente delle élite nazionalistiche al potere nei Balcani verso la Comunità Internazionale. In altre parole, la Comunità Internazionale, basandosi non sulla verità, ma su una giustificazione della parcellizzazione delle diverse verità storiche dei diversi popoli ex-jugoslavi, opterebbe per una facile via d’uscita dai i complessi problemi dei Balcani.

È interessante notare, come sul piano tecnico, il Tribunale mette in atto questa strategia attraverso delle interpretazioni sempre più restrittive del concetto di colpa.

In estrema sintesi, la condanna a 27 anni in prima istanza di Perišić si basa sul fatto che l’esercito jugoslavo ha fornito supporto logistico agli eserciti serbi in Bosnia  (VRS) e Croazia (SVK). La VRS si è macchiata di crimini contro l’umanità per le 11.541 persone uccise durante l’assedio di Sarajevo e le circa 8.000 persone uccise a Srebrenica. Perišić, in quanto capo di stato maggiore dell’esercito jugoslavo, era, secondo solo a Milošević, il più alto rappresentante dello stato jugoslavo accusato dall’Aia.  I giudici della Camera hanno condannato Perišić a 27 anni, perché forniva armi, uomini e supporto logistico  a eserciti strettamente affiliati al suo, i quali hanno compiuto crimini di guerra e contro l’umanità a Sarajevo e genocidio a Srebrenica, fatto di cui Perišić era a conoscenza. Nella terminologia della Corte si parla di “aiding and abetting” – vale a dire aver «aiutato» ed essere stato «correo» in gravissimi crimini di guerra. Questa tesi è del tutto verosimile e condivisibile, dato che senza l’appoggio delle armi e degli uomini gli eserciti della Republika Srpska e delle Repulika Srpska Krajina mai avrebbero potuto ottenere una supremazia militare schiacciante fino al 1995. Anche il fatto che Milošević stesso abbia negoziato la pace in Bosnia è espressione del fatto che gli eserciti dei serbi di Croazia e di Bosnia erano fortemente interconnessi con l’esercito jugoslavo. Nelle parole di Radovan Karadžić, «nulla sarebbe accaduto senza la Serbia», perché «non avevamo le risorse per combattere». Non così per la Corte, secondo cui la VJ e la VRS erano eserciti completamente indipendenti l’un dall’altro, de iure e de facto (par. 46).

La Corte d’Appello, nei casi più recenti, si sta rifugiando in interpretazioni giuridiche sempre più astratte per giustificare l’assoluzione di vari imputati di alto calibro militare e politico (Gotovina, Haradinaj, Perišić). In pratica, nel caso di specie, la Corte d’Appello ritiene Perišić non responsabile, dato che non aveva un controllo diretto (in termini di gerarchia) sui crimini commessi dagli eserciti serbi in Bosnia e Croazia. In altre parole, se Perišić non ha impartito direttamente l’ordine di commettere crimini alla VRS (“specific direction”), non c’è responsabilità penale per lui. Poco importa alla Corte che Perišić fosse il capo di stato maggiore dell’esercito jugoslavo che co-adiuvava lo sterminio della popolazione civile a Sarajevo e Srebrenica. Ma la Corte d’Appello va addirittura oltre. Per la maggioranza dei giudici, il generale Perišić non forniva armi, soldati e soldi ad eserciti che stavano compiendo crimini di guerra, ma semplicemente li aiutava “per i fini generali della guerra”. Per la Corte, “specific direction” vuol dire appunto questo: gli aiuti (“aiding and abetting”) devono essere specificatamente diretti ai crimini commessi. Secondo la Corte, le azioni militari dell’esercito della Repulika Srpska a Sarajevo e Srebrenica “non erano per loro natura criminali” (par. 53). Infatti, dato che l’esercito della Repubblica Srpska “conduceva, “fra l’altro, anche azioni militari legali” (par. 60), il supporto di Perišić non era diretto “specificatamente” alla commissione di crimini, ma ai fini generali di guerra della VRS. Secondo Florian Bieber, questo è come dire che il sostegno alla mafia non è illegale, dato che anche la mafia ha attività legali.

In altre parole, i giudici della Corte mettono l’asticella per i procuratori molto in alto: se c’è un’altra ragionevole spiegazione che il supporto non era diretto specificatamente (e direttamente) alla sola commissione di crimini di guerra, l’imputato è giudicato non colpevole (par. 57). In prima istanza, la Corte definì questi finalità della guerra per quello che erano, vale a dire crimini contro l’umanità e pulizia etnica. In appello, niente di tutto ciò; si parla, in maniera neutrale, solo di “fini generali della guerra”, come se tutti gli attori fossero equamente responsabili per le guerre nei Balcani. Non sorprende, perciò, che il primo ministro serbo, Ivica Dačić, abbia preso la palla al balzo. Dačić dichiarò infatti che la Serbia non “ha mai compiuto una campagna di aggressione militare contro Bosnia e Croazia”. E la Corte con questa sentenza gli dà ragione. Chissà chi è colpevole di tutti quei morti nei Balcani, saranno state le pallottole vaganti, come dice Solioz.

Chi è Stefan Graziadei

Dottorando in diritto internazionale all'Università di Anversa

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