MACEDONIA: Attacco alla frontiera con il Kosovo. Torna l'UCK?

“Siamo l’UCK, consegnateci le armi o nemmeno Gruevski vi potrà salvare, noi vogliamo che questo sia il nostro Paese e lo diventerà senza bisogno degli accordi di Ocrida. E nessun poliziotto sarà permesso di venire in questa zona, se lo cattureremo lo uccideremo “. Con queste parole il capo di un commando si è presentato in una postazione di frontiera della polizia macedone, al confine con il Kosovo, alla testa di quaranta uomini armati.

L’UCK (Ushtria Çlirimtare Kombëtare) anche noto come “UÇK macedone“, era una organizzazione di guerriglia insurrezionale nazionalista attiva in Macedonia tra il 1999 ed il 2001 e che si proponeva la costruzione di una Grande Albania comprendente i territori di Albania, Kosovo e Macedonia. Sebbene alcuni suoi membri fossero affiliati anche all’Esercito di liberazione del Kosovo (Ushtria Çlirimtare e Kosovës), con il quale inizialmente condivise la sigla, si trattava ufficialmente di organizzazioni separate. L’UCK macedone sembrava destinata ai libri di storia e invece sembra essere ricomparso a Goshince, a ridosso del confine tra Macedonia e Kosovo.

Come è stato reso noto dalle autorità a Skopje, gli assalitori hanno catturato quattro agenti macedoni, ai quali hanno messo le manette ai polsi, picchiando uno di loro. In albanese avrebbero detto di essere guerriglieri dell’UCK, di voler combattere per riprendersi il “loro paese”. Dopo un po’ hanno liberato i poliziotti, invitandoli a dileguarsi nel giro di mezz’ora, minacciando in caso contrario di ucciderli. Gli assalitori hanno distrutto gli apparati di radiotrasmissione presenti nella postazione, prima di fuggire. Il ministero dell’Interno macedone ha parlato di “attacco di terroristi”, giunti dal Kosovo. Tuttavia, malgrado le dichiarazioni ufficiale, non si sa ancora chi fossero realmente quei quaranta uomini.

La Macedonia è attraversata da fortissime tensioni politiche che si incardinano su irrisolte questioni etniche tra la comunità albanese, che rappresenta il 25% circa della popolazione, e quella macedone di origine slava. A margine della guerra del Kosovo, anche in Macedonia gli albanesi presero le armi in quella che fu una rapida guerra civile (gennaio-novembre 2001) che si limitò a poche decine di vittime. La pace arrivò con gli accordi di Ocrida, secondo cui il governo macedone avrebbe dovuto garantire maggiori diritti dei cittadini di etnia albanese. Questi diritti inclusero il riconoscimento dell’albanese come lingua co-ufficiale, aumentando la partecipazione degli albanesi nelle istituzioni governative, nella polizia e nell’esercito. Inoltre il governo macedone accettò di attuare un nuovo modello di decentralizzazione. La parte albanese accettò di lasciar perdere tutte le richieste separatiste e riconobbe pienamente tutte le istituzioni macedoni.

Il paese sembrava destinato a diventare una “piccola Svizzera dei Balcani” ma il sogno si è infranto nel nazionalismo, nella corruzione e nel populismo del governo di Nikola Gruevski, eletto nel 2006 e tutt’ora primo ministro macedone. La sua politica, a fronte del disastro economico, è stata quella di far leva sul sentimento nazionale macedone facendosi sempre più autoritario. Un sentimento che non poteva che mettere in allarme la comunità albanese. Da mesi l’opposizione, guidata dell’Unione democratica (SDSM), continua a pubblicare intercettazioni che dimostrano la corruzione nel governo mentre la comunità albanese denuncia discriminazioni ripetute.

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La crisi macedone è estremamente grave: alle tensioni etniche si sommano quelle politiche, al nazionalismo si accompagna l’isolamento nazionale (la Grecia continua a impedire al paese l’accesso all’UE), alla corruzione la crisi economica. 

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La polizia macedone ha lanciato una vasta azione di controlli e bonifica nella regione al confine con il Kosovo al fine di prevenire nuovi attacchi da parte di presunti terroristi albanesi. Secondo alcuni osservatori, l’attacco potrebbe essere stato fabbricato dal partito di governo per distogliere l’attenzione dalla corruzione resa pubblica dall’opposizione. Ecco allora che l’improvvisa ricomparsa dell’UCK macedone assumerebbe contorni diversi, ma non meno inquietanti: se fosse realmente una montatura, il governo avrebbe la responsabilità di soffiare sul fuoco delle tensioni etniche. Una colpa imperdonabile nei Balcani.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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