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“L’austerità genera recessione, povertà e angoscia sociale”. Oggi c’è uno sciopero generale, un po’ più che mediterraneo, un po’ meno che europeo. Europea per intero è la “giornata di mobilitazione”. L’ha convocata la Confederazione europea dei sindacati, Ces –l’avevate sentita nominare?- l’hanno promossa soprattutto i sindacati iberici. Scioperano Spagna e Portogallo, dove la signora Merkel ha appena ricevuto la stessa accoglienza che ad Atene, compresi gli sgradevoli baffetti. Scioperano Grecia, dove lo sciopero è pressoché generale in permanenza, Cipro e Malta.
In Italia lo sciopero è indetto per quattro ore dalla Cgil (per l’intera giornata in alcune zone e categorie, e per la Fiom che manifesta a Pomigliano) e per otto dai Cobas. Troppo per alcuni, troppo poco per altri, questo 14 novembre è in realtà una data importante. Che l’internazionalismo del lavoro (di chi ce l’ha e di chi non ce l’ha) si sia indebolito fino a scomparire mentre montava la globalizzazione, che è l’internazionalismo della finanza, è un amaro paradosso. Lo misuriamo nella cronaca quotidiana: la Ford che chiude a Genk, Belgio (4.300 operai, 10 mila con l’indotto) e a Southampton, e promette di trasferire una parte della produzione a Valencia; la Fiat che gioca contro Mirafiori e Pomigliano la Polonia e gli operai serbi di Kragujevac a 280 euro mensili e 12 ore a turno… Bene: è la prima volta che l’organismo che rappresenta i sindacati europei, benché privo di poteri “sovrani”, indice una mobilitazione comune al continente.
Il significato simbolico dell’iniziativa prevale senz’altro sulla sua efficacia materiale: ma il valore simbolico è alto, dopo che così a lungo si è anteposta, alla solidarietà orizzontale del lavoro, la dipendenza del lavoro (compreso quello precario, e quello che non c’è) dai governi nazionali. Istituzioni internazionali, la troika, a disporre, e governi nazionali e popoli rinazionalizzati a eseguire: era il tempo delle distanze dal più vicino di cordata, l’Italia non è la Grecia, la Germania non è la Francia, esorcismi pronunciati dai capi e fatti propri rabbiosamente dai sudditi.
Ancora oggi, fra i lavoratori dei paesi “forti” un riflesso nazionalista, quando non xenofobo, è più pesante che fra molti dirigenti sindacali pur proverbialmente “responsabili”. In un importante convegno europeo di Firenze a fine ottobre il capo del DGB, il più grande sindacato europeo, Michael Sommer, ha detto: “Se l’Europa non sarà sociale e democratica, se non salverà il suo modello di sviluppo sociale, si distruggerà da se stessa. Spesso da noi lavoratori e sindacati si sentono al sicuro e rischiano atteggiamenti xenofobi in difesa dei propri interessi, ma se non salviamo l’idea di un’Europa comune, una volta persa l’idea perderebbero i lavoratori”. Fino alle decine di manifestazioni indette per oggi in tutta Europa (una nazionale a Londra; a Bruxelles Barroso riceverà il premio Nobel per l’austerità…), non era capitato di accorgersi che uno sciopero generale europeo farebbe i conti con legislazioni nazionali che prevedono per esempio una complicata trafila di autorizzazioni e referendum come in Germania, o veri divieti in altri paesi.
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