KOSOVO: Bisogna riprocessare Haradinaj

Nicola Sessa, da Peacereporter

Ramush Haradinaj deve essere riprocessato. Questo è quanto ha stabilito la Camera d’Appello del Tribunale Internazionale dell’Aja per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia (Icty). Sono trascorsi ventisette mesi dalla liberazione dell’ex comandante dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (Uçk) e già Primo ministro Haradinaj: un eroe della libertà per i kosovari albanesi, un criminale spietato per i serbi, un temibile e carismatico avversario per i politici di Pristina. Nell’aprile del 2008, Haradinaj ritornò in patria accolto come un santo patrono: le gigantografie di un “Rambush” in versione doppio petto e in quella, più amata, in mimetica tappezzavano Pristina, la capitale kosovara che nel febbraio del 2008 aveva unilateralmente dichiarato l’indipendenza da Belgrado. Per i kosovari, il ritorno di Ramush fu un secondo giorno di festa, importante alla stessa stregua di quel 17 febbraio che Haradinaj ha vissuto da lontano, da una cella dell’Icty.

Il presidente della Camera d’Appello, Patrick Robinson ha parzialmente accolto mercoledì e dopo due anni di studio processuale, il ricorso presentato dall’ufficio della Procura avverso la sentenza che assolveva per insufficienza di prove Haradinaj per tutti i trentasette capi d’accusa a suo carico. Le motivazioni della Camera d’Appello risiedono in una accertata attività intimidatoria nei confronti di testimoni che si sono rifiutati di deporre in Tribunale e in una deficienza dei giudici di primo di grado “che non avrebbero fatto abbastanza” per assicurarsi le deposizioni di due testi chiave. La decisione dei giudici d’appello deve aver scosso gli avvocati difensori e lo stesso Haradinaj che è stato arrestato il 20 luglio a Prisitna: è la prima volta, infatti, in diciassette anni di attività dell’Icty che il giudice d’appello ribalti – seppur parzialmente – una sentenza del Tribunale censurandone altresì la condotta (in merito al fatto di non aver fatto abbastanza per ascoltare i due testimoni chiave e per non aver tenuto in debita considerazione la seria minaccia a cui erano sottoposti).

Haradinaj è ritenuto responsabile della morte di 58 persone, per lo più serbe, e della tortura di prigionieri nei campi di Decani. Nel corso degli anni diversi testimoni a carico di Haradinaj sono stati minacciati, misteriosamente rimasti coinvolti in incidenti d’auto mortali o più semplicemente uccisi a colpi d’arma da fuoco. I due testi a cui fa riferimento la sentenza della Camera d’Appello sono il testimone protetto “W.” e Scefqet Kabashi, un ex membro dell’Uçk che ha tenuto la bocca chiusa in seguito alle minacce ricevute e nonostante il programma di protezione testimoni offerto dal Tribunale: “La protezione non serve a nulla oltre le mura di questa Corte”, ha risposto Kabashi rifiutando il programma, ritenendo preferibile essere processato per reticenza o oltraggio alla Corte, piuttosto che parlare e rischiare la vita. Già il generale Fabio Mini, comandante della Kfor tra il 2003 e il 2004 aveva raccontato a PeaceReporter quanto fosse difficile proteggere un testimone in Kosovo: “La cosa più difficile da fare in Kosovo è mantenere in vita un testimone”.

La Camera d’Appello non ha fissato una data per la prima udienza del nuovo processo e subito dopo la sentenza è stato ordinato il trasferimento di Haradinaj nella sua cella del Tribunale internazionale dell’Aja.


 

*Le interviste a Ramush Haradinaj e al general e Mini sono reperibili sul sito del webdoc prodotto da PeaceReporter www.theemptyhousewebdoc.com

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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