L’Iran si regge su un sistema politico ibrido che affianca organi eletti a suffragio universale a istituzioni religiose nominate dall’alto con il compito di controllare che la Repubblica islamica non si allontani dai binari tracciati dalla Rivoluzione del 1979.
L’architettura istituzionale attuale deve molto all’ayatollah Ruhollah Khomeini, che negli anni ’70 raccolse il malcontento popolare contro la secolarizzazione forzata del re Mohammed Shah Pahlavi e teorizzò il velayat-e faqih, la “tutela del giurisperito”. Questa prevede che, nel periodo del Grande occultamento del dodicesimo imam, la tutela degli affari e l’orientamento del popolo siano affidati a un giurista onesto (‘adil) e pio (muttaqi), conoscitore della sua epoca. Gli iraniani infatti sono sciiti duodecimani, ovvero credono che l’imam Mohammad al-Mahdi, scomparso nel 874 d.C., farà ritorno alla fine dei tempi portando pace e giustizia. In attesa del suo ritorno la scena politica è dominata dalla Guida Suprema, il rahbar-e mohaezem.
La Guida nomina le autorità giudiziarie, i vertici dell’Esercito regolare e dei Pasdaran, può destituire il Presidente, oltre a presiedere e controllare tutte le fondazioni culturali e sociali. Inizialmente il rahbar doveva essere riconosciuto come marja-e taqlid, cioè “fonte di imitazione”; nel 1989 però, poco prima della sua morte, l’ayatollah Ruhollah Khomeini rompe con il suo successore designato, l’autorevole ayatollah Montezeri. Improvvisamente quindi l’Assemblea degli esperti, composta da 86 giuristi e accademici islamici con il potere di selezionare ed esautorare la Guida, si ritrova senza un candidato che rispetti questo criterio. Per la nomina di Ali Khamenei si è resa quindi necessaria una modifica della Costituzione; oggi si può dire che le credenziali religiose siano passate in secondo piano rispetto al ruolo politico della Guida.
La riforma costituzionale, entrata in vigore il 28 luglio 1989, ha anche eliminato la figura del Primo ministro trasferendone i poteri al Presidente della Repubblica, carica oggi ricoperta da Mahmoud Ahmadinejad. Il Presidente è a capo dell’esecutivo e viene eletto ogni 4 anni a suffragio universale tra “personalità di rilievo in campo religioso e politico che siano in possesso dei seguenti requisiti: nazionalità iraniana, capacità direttive testimoniate da precedenti esperienze, affidabilità e virtù, lealtà nei confronti dei principi della Repubblica Islamica e della religione dello Stato” (Art.115).
I candidati alla presidenza e al Parlamento devono essere approvati dal Consiglio dei Guardiani, composto da 6 religiosi nominati dalla Guida e da sei giuristi eletti dall’Assemblea legislativa, rinnovati per la metà ogni 3 anni. Il Consiglio ha anche potere di veto sulle leggi del Parlamento ma, in caso di disaccordo tra i due poteri, viene convocato il Consiglio per il Discernimento, le cui decisioni sono segrete e insindacabili. Questo organo, creato nel 1988 e formato da un numero variabile di religiosi nominati dalla Guida Suprema, al momento svolge anche un ruolo consultivo per Khamenei.
Il Parlamento (majles) è composto da 290 deputati eletti a suffragio universale ogni 4 anni. Alcuni seggi sono riservati alle minoranze religiose riconosciute – ovvero agli zoroastriani, ai cristiani assiri, caldei e armeni – e due seggi agli ebrei, di cui l’Iran ospita la comunità più numerosa del Medio Oriente dopo Israele. Nessun seggio è attribuito alla minoranza Baha’i, perseguitata in quanto non riconosce Mohammed (Maometto) come l’ultimo dei profeti.
Per quanto riguarda le forze armate, la Repubblica islamica presenta sia un esercito regolare (artesh), sia le guardie della rivoluzione (sepah-e pasdaran), fedeli alla Guida suprema, che oggi hanno un’influenza pari a quella del clero sciita. Durante la guerra Iran-Iraq (1980-1988) sono istituiti anche i basiji, una milizia paramilitare volontaria alle dipendenze dei pasdaran, composta da uomini troppo giovani o troppo vecchi per il servizio militare regolare. Negli ultimi anni le forze armate hanno difeso la Repubblica islamica più dai dissidenti interni che dai nemici esterni: la ferita più recente risale al 2009, quando diverse migliaia di iraniani sono scesi in piazza accusando Ahmadinejad di brogli elettorali.
La cosiddetta Onda verde si è infranta in poco tempo contro lo scoglio della repressione, ma il movimento continua a operare sotto la superficie nonostante le due figure di riferimento, Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, siano tuttora agli arresti domiciliari. I riformisti moderati però sperano di riuscire a presentare la candidatura dell’ex presidente Mohammed Khatami alle prossime elezioni presidenziali. A questi si oppongono i “principalisti” fedeli a Khamenei, usciti rafforzati dalle elezioni presidenziali del marzo 2012, e gli ultra-conservatori vicini all’Ayatollah Mesbah Yazdi.
I conservatori anti-occidentali, che inizialmente appoggiavano Ahmadinejad, ora definiscono i suoi seguaci “deviazionisti”, in quanto accusati di voler indebolire il ruolo del clero sciita. Queste le correnti principali che concorreranno alle prossime elezioni presidenziali, previste per il 14 giugno 2013; per conoscere i candidati ufficiali bisognerà attendere fino a maggio. Fino ad allora la Repubblica islamica potrà continuare a ostentare un equilibrio tra i poteri che è nei fatti solo apparente.
Un’utile cronologia della Storia iraniana contemporanea può essere trovata qui