La terza e ultima votazione per eleggere il nuovo presidente della Repubblica greca è fallita. Come previsto dalla Costituzione greca, si andrà dunque direttamente alle elezioni parlamentari che sono state fissate per il 25 gennaio. Il governo conservatore in carica, guidato da Antonis Samaras, ha cercato di fare eleggere come presidente Stavros Dimas, uomo apprezzato dalle istituzioni europee con un passato da commissario dell’Unione Europea.
Un presidente impossibile
Stavros Dimas non aveva un curriculum tale da poter raccogliere i consensi delle opposizioni, necessari a raggiungere il quorum di 180 voti. Dimas dal 1977 è esponente dei conservatori di Nuova Democrazia, il partito attualmente guidato da Samaras, e l’incarico di Commissario europeo per l’Ambiente lo rende troppo legato a quell’Unione Europea che in Grecia è vista con sempre minore fiducia. Il principale partito di opposizione, Syriza, guidato da Alexis Tsipras, non ha appoggiato la nomina di Dimas e, dopo tre fumate nere, la Grecia si trova oggi a dover affrontare delicate elezioni parlamentari.
L’opposizione di Syriza, attualmente secondo partito per numero di deputati nel parlamento ellenico, si deve anche ai sondaggi che danno in testa il partito di Tsipras con il 30% dei consensi. Molto ma non abbastanza per formare un governo monocolore. Tutti partiti greci, dentro e fuori dalla coalizione di governo, sono uniti nel voler onorare il Memorandum convinti che ormai il peggio sia passato e che sia possibile liberarsi del giogo della trojka per vie incruente. Proprio l’assenza di alleati potrebbe costringere Syriza a un governo di minoranza o addirittura alla rinuncia del mandato vista l’impossibilità di creare una maggioranza parlamentare.
Syriza è descritto da molti osservatori come un partito di sinistra “radicale”, aggettivo che serve a distinguerlo dal Pasok, il partito socialista attualmente in coalizione di governo con i conservatori. Proprio l’alleanza tra socialisti e democratici ha aperto spazi per Syriza che ha saputo proporsi come alternativa: il rifiuto del Memorandum siglato dalla Grecia nel 2010 è il cavallo di battaglia di Syriza che da sempre ne promette una revisione in caso di vittoria.
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Il Memorandum e il giogo dell’UE
Il Memorandum è il documento con cui il governo greco, all’indomani della crisi debitoria, si impegnava in un rigoroso piano di risanamento economico e all’applicazione di misure di austerità. Il controllo su tali misure economiche è indirettamente esercitato da organismi internazionali che, in varia misura, sono diventati creditori della Grecia. E’ la cosiddetta “trojka“, la triade composta da Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Unione Europea. Di fatto è la trojka a controllare l’applicazione del Memorandum e le scelte in materia economica non sono più in mano al parlamento eletto dai cittadini il quali non ha alcuna sovranità nelle decisioni economiche. Il rifiuto del Memorandum da parte del governo ellenico potrebbe aprire una crisi dagli esiti imprevedibili per la tenuta dell’intera zona euro. Tuttavia rimettere in discussione le misure imposte dalla trojka è tanto più necessario oggi che anche il Fmi ha ammesso di avere sbagliato i conti.
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Il nervosismo delle borse
Per questo le borse, dopo la notizia delle elezioni anticipate, hanno registrato un certo “nervosismo”. Lo scenario peggiore, e quindi meno probabile, è che la vittoria di Syriza porti a ricusare il Memorandum aprendo difficili trattative con i creditori e con l’Unione Europea, decisa a far rispettare la linea di rigore. Uno strappo con l’Unione, o l’uscita del paese ellenico dalla moneta unica, sono spettri agitati dai detrattori del partito di Tsipras ma che lo stesso Tsipras ha escluso anche se l’atteggiamento del partito resta ambiguo.
Quei bolscevichi di Syriza
Syriza non è quel partito di bolscevichi che spesso la stampa descrive. Benché contenga elementi minoritari provenienti dal maoismo o dal marxismo novecentesco, Syriza è un partito d’ispirazione social-democratica che intende di coniugare giustizia sociale a democrazia reale. Una sfida ardua per una Grecia sotto commissariamento ma, secondo Tsipras, proprio per questo necessaria. “Oggi è un giorno storico per la democrazia greca” ha dichiarato Tsipras dopo la mancata elezione del presidente. E davvero la Grecia ha bisogno di restituire nelle mani dei cittadini la sovranità che il Memorandum le ha tolto. Finché esisterà il Memorandum nessun governo greco avrà senso se non come ancella della trojka, costretto a realizzare misure economiche decise a Bruxelles e Francoforte. Misure che fanno dormire sonni tranquilli a Italia, Spagna e Portogallo, i primi paesi che risentirebbero di nuovi squilibri europei, ma che minano nel profondo la tenuta sociale del paese ellenico.
Le prossime elezioni greche saranno il campo di battaglia delle opposte forze della conservazione dello status quo (cioè del Memorandum e dell’austerità) e del cambiamento. Un cambiamento che potrebbe essere doloroso non tanto per i greci, stremati dalla crisi, dalla malnutrizione, dai 300 euro di stipendio, dalla carenza di farmaci, dalla montante rabbia sociale, quanto per il resto d’Europa spaventata da nuovi attacchi finanziari alla moneta unica che un’eventuale vittoria di Syriza farebbe sembrare più debole. Senza dimenticare gli interessi tedeschi e francesi che dalla crisi greca hanno guadagnato a piene mani.
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Ma non sarà un vaso di Pandora
Le elezioni greche del 25 gennaio prossimo difficilmente saranno quel vaso di Pandora paventato da molti. E quel che non potrà la fame, potrà la paura: minacciati dalla trojka, intimiditi dalla Merkel, rimbambiti dall’informazione nelle mani di pochi e dalla propaganda della televisione pubblica (di cui, a seguito della privatizzazione, la trojka è diventata azionista) i greci sceglieranno forse l’usato sicuro, come già nel 2012. Ma anche in caso di vittoria di Syriza, e nel caso in cui avesse i numeri per governare da sola (cosa tutt’altro che scontata) il Memorandum verrebbe probabilmente ridiscusso e ridefinito senza particolari scossoni. Solo la cecità della trojka potrebbe portare al disastro. E allora non sarà di Atene che dovremmo temere.
mi sembra che le definizioni di Syriza contenute nell’articolo siano alquanto raffazzonate (d’altronde è tipico di tutta l’informazione italiana).
Syriza tradotto significa Coalizione della Sinistra Radicale. Non fa parte del Partito Socialista Europeo che riunisce i partiti socialisti e socialdemocratici (sarebbe meglio dire ex) e anche il PD che sostengono le politiche neoliberiste come anche – purtroppo – quelle di guerra.
Syriza appartiene al Partito della Sinistra Europea di cui fanno parte partiti comunisti, della sinistra radicale, ecologisti che si oppongono al neoliberismo. Ne fanno parte in Italia Rifondazione Comunista, in Germania la Linke, in Francia Il Front de Gauche e il Partito Comunista, in spagna Izquierda Unida, in Portogallo il Blocco di Sinistra, in Irlanda il Sinn Fein ecc.
Syriza come tutta la Sinistra Europea aderisce al GUE/NGL che è il gruppo parlamentare unitario della sinistra a cui hanno aderito anche Podemos e L’Altra Europa con Tsipras.
La componente più forte di Syriza è Synaspismos che è il partito “eurocomunista” vicino alle posizioni di Berlinguer e poi di Rifondazione. Sono riuniti in Syriza tutti i pezzi della sinistra comunista e radicale greca tranne gli stalinisti del KKE.
Mi sembra che i commentatori siano unanimi o nel criticare Syriza come ‘pericoloso partito radicale’, oppure nel rassicurare del fatto che ‘si tratta di un partito socialdemocratico e non radicale’.
L’assunzione è che i partiti socialdemocratici siano il bene, mentre i partiti socialisi o comunisti fossero il male.
Syriza non è un partito ultraradicale, ma non è neanche un partito socialdemocratico. E aggiungerei: per fortuna.