Sembrano allontanarsi i tempi in cui Tudjman rifiutò di collaborare con il Tribunale dell’Aja. La Croazia avanza nel suo percorso di elaborazione del recente passato e comprensione delle proprie (gravissime) responsabilità storiche: pulizia etnica, campi di concentramento, uso criminale della forza. Dopo i casi eclatanti, come la consegna di Ante Gotovina al Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia, il lavoro della magistratura croata è proseguito grazie al supporto sempre maggiore dell’opinione pubblica, della stampa e della politica.
Il tribunale di Zagabria ha recentemente condannato cinque ufficiali e soldati croati a pene da uno a tre anni e mezzo di reclusione per aver torturato prigionieri di guerra di etnia serba, durante le guerre jugoslave dei primi anni Novanta. Stjepan Klaric, ex comandante del campo di raccolta per i prigionieri di guerra (leggi: campo di concentramento) situato dal dicembre 1991 al maggio 1992 nella base militare croata di Kerestinec, nei pressi di Zagabria, è stato condannato a tre anni e sei mesi di carcere perché trovato colpevole di aver ordinato e partecipato ad atti di tortura fisica e psicologica, anche con uso di elettroshock e sevizie sessuali, di almeno trentaquattro prigionieri serbi, tra i quali c’erano anche civili. Quattro suoi soldati subordinati sono stati condannati a pene da uno a due anni. Nel corso del processo sono stati sentiti settanta testimoni, tra i quali anche molte vittime.
Sevizie, tortura, campi di concentramento. Quello di Zagabria non è certo stata una Norimberga ma testimonia come il vento sia cambiato. Anche grazie alle pressioni dell’Unione Europea. La Croazia dovrebbe infatti entrare a pieno titolo nell’Unione dal prossimo primo luglio, e uno dei prerequisiti fondamentali per l’adesione durante i negoziati è la volontà e l’imparzialità della magistratura croata di giudicare per crimini di guerra apparentati dell’esercito di Zagabria. Le pene inflitte sono ridicolmente basse e tutti, con l’eccezione del comandante Klaric, sono già a piede libero: gli ex soldati si trovano in detenzione preventiva dal momento dell’arresto, nel novembre del 2010, e di conseguenza tutti sono stati rilasciati poiché il tempo trascorso in carcere verrà contato nelle pene da scontare. La difesa ha annunciato un ricorso dato che i soldati continuano a dichiarare la propria innocenza.
Leggere questa condanna come un contentino da dare all’Unione Europea sarebbe errato, benché non si possa nascondere l’estremo bisogno di Zagabria, la cui economia in stagnazione già necessita gli aiuti di Bruxelles. In Croazia effettivamente qualcosa sta cambiando. Dopo l’era Tudjman, morto nel dicembre del 1999, si è aperta per la Croazia una fase di crisi politica: l’Hdz, il partito che ha sempre governato a Zagabria, ha proseguito (aggravandola) la prassi mafiosa, clientelare e corrotta che contraddistinse l’era di Tudjman. In questo contesto, chi cercava di far luce sui crimini di guerra come sugli intrallazzi del potere, fu ucciso o minacciato. Uno su tutti, il giornalista Ivo Pukanic, ucciso nel 2008 da un attentato nel centro di Zagabria: stava indagando su una rete di potere che coinvolgeva narcotrafficanti, banchieri senza scrupoli e politici di alto bordo come il primo ministro Ivo Sanader.
Nel 2010, con l’arresto di Sanader, sembra essersi aperta una nuova fase: oggi governo e presidenza della Repubblica sono espressione dell’opposizione socialista. I veti che hanno finora impedito di far luce sulla storia passata e presente della Croazia sembrano cadere. Anche l’informazione che da sempre si batte per ristabilire la verità, invece di essere intimidita, è premiata. Queste condanne, seppur simboliche, sono il segno di questo rinnovamento. E si sa che i simboli valgono molto di più dei fatti su cui poggiano.