In principio fu il Blocco
Il decano della destra fiamminga fu il Vlaams Blok. Nato negli anni ’70 da due correnti scissioniste della Volksunie (VU, Unione Popolare), il maggior partito néerlandofono del tempo, in dissidenza col passaggio della Volksunie dal secessionismo al federalismo, il Blok era un partito fiammingo secessionista e di estrema destra, con una piattaforma anti-immigrazione. L’ideologia del Vlaams Blok prendeva avvio con il radicale rifiuto di un compromesso sulla questione dell’autonomia fiamminga, e in seguito si concentro sempre più su immigrazione e sicurezza, e la difesa dei valori tradizionali. A partire dal suo debutto alle elezioni del 1978, il Vlaams Blok ha mantenuto un alto livello di preferenze nelle Fiandre, sorpassando nel 1991 la Volksunie (6,6% a 5,9%) e arrivando a raccogliere le preferenze di un elettore fiammingo su quattro (24,2% alle elezioni regionali del 2004, 11,6% su scala nazionale nel 2003). La sua esperienza di successo nella costruzione di un movimento populista di estrema destra venne presa ad esempio già dagli anni ’80 da altri partiti autonomisti, quali la Lega Nord.
In contrapposizione al Blocco, dal 1989 gli altri partiti dell’ “arco costituzionale” belga adottarono una politica del “cordone sanitario”, rifiutando ripetutamente di entrare in coalizione col Vlaams Blok ad ogni livello di governo. Tale politica di marginalizzazione ha avuto i suoi effetti nel medio periodo: se negli anni ’90 il Blok ha mantenuto i suoi consensi, questi si sono poi erosi molto velocemente all’inizio degli anni 2000. Gli elettori del blocco erano ormai disillusi dalla condanna all’opposizione subita dal partito e sapevano che un voto per il Blocco sarebbe stato un voto buttato.
Belgium strikes back: dal Blok al Belang
Il colpo finale al Blocco Fiammingo venne tra il 2001 e il 2004 dal processo per violazione della legge contro il razzismo. Secondo il tribunale di Ghent, il partito era “un gruppo che chiaramente e ripetutamente commette[va] discriminazione e segregazione”. Il partito venne chiuso per il suo “incitamento ripetuto alla discriminazione”.
A seguito della sentenza di Ghent, il partito si riorganizza sotto un altro nome, Vlaams Belang (Interesse Fiammingo) e modifica alcune parti del proprio statuto. Il suo leader Frank Vanhecke mette tuttavia in chiaro: “Cambiamo nome ma non cambiamo strategie. Cambiamo nome, ma non programma”. Il partito cerca di ripulire la propria immagine e presentarsi come un normale partito conservatore ed euroscettico, ma gli altri partiti belgi proseguono nella loro politica di cordone sanitario. Attraverso una “legge di drenaggio” votata su scala nazionale nel 2005, il Belang ha perso l’accesso ai fondi pubblici come partito “antidemocratico”.
Il partito ha comunque mantenuto i suoi consensi al 12% alle elezioni belghe del 2007, 15% nelle Fiandre nel 2009, e 10% alle elezioni europee dello stesso anno, scendendo al 7,7% nel 2010 a favore della N-VA.
Bart de Wever e l’ascesa della Nuova Alleanza Fiamminga
Mentre l’estrema destra subiva la reazione delle istituzioni federali belghe (cordone sanitario, bando del Vlaams Blok, blocco dei fondi pubblici al Vlaams Belang), il nazionalismo fiammingo subiva un processo di radicalizzazione. Un tempo riferimento di un quarto dell’elettorato di lingua fiamminga, la Volksunie subì il peso delle divisioni interne e della competizione del Blok, subendo un costante declino dai primi anni ’80. Nel 2001 il partito si frantumò tra una componente di sinistra, Spirit, che si alleò coi socialisti di SP.a, e una componente di destra, la Nieuw-Vlaamse Alliantie (N-VA, Nuova Alleanza Fiamminga). Alle elezioni del 2003 la NVA superò la soglia di sbarramento del 5% solo a Bruges, provincia d’origine del leader del partito Geert Bourgeois, e privata dei fondi pubblici si trovò a rischio irrilevanza. La salvezza le venne dall’alleanza a partire dal 2004 con i democristiani fiamminghi del CD&V (il partito di Herman van Rompuy) e dalla nuova leadership di Bart De Wever.
La coalizione fiamminga N-VA/CD&V, che ottiene con una lista unica il 19,5% dei voti, diviene l’ago della bilancia alle elezioni nazionali del 2007, con una campagna incentrata sul buon governo, la riforma dello Stato e la scissione del distretto elettorale misto di Bruxelles-Halle-Vilvoorde. La N-VA ottiene cinque seggi alla Camera e due al Senato, e il leader del CD&V, Yves Leterme, viene incaricato di formare il nuovo governo di coalizione, cui la N-VA dà appoggio esterno, per poi ritirarlo dopo un anno. Alle elezioni fiamminghe del 2009, la N-VA ottiene un inaspettato 13% dei voti, entrando al governo della regione assieme al CD&V, mentre l’anno successivo alle elezioni nazionali il partito di De Wever (17,4%) erode buona parte dell’elettorato del CD&V, che scende al 10%, e del Vlaams Belang. Pur divenendo il maggiore partito in Belgio, la N-VA rimane esclusa dalla coalizione del governo Di Rupo e dalla coalizione che decide la sesta riforma dello stato.
L’ideologia della N-VA
L’ideologia della N-VA, basandosi sulla tradizione della Volksunie, intende ridefinire il nazionalismo fiammingo in senso contemporaneo, non xenofobo e filo-europeo. De Wever, che si definisce conservatore e nazionalista, sostiene la necessità di una secessione delle Fiandre e della sua trasformazione in un nuovo stato membro dell’Unione Europea. In comune con l’estrema destra rimangono le sue posizioni sull’immigrazione, e sulla necessità per gli immigrati di assimilarsi alla cultura dominante attraverso l’apprendimento della lingua olandese. Per fare un esempio, le istituzioni pubbliche nelle Fiandre hanno l’obbligo di usare solo l’olandese nelle relazioni con i cittadini.
Una Fiandra di destra? Il ruolo della narrativa identitaria
Diversi politologi si sono dedicati allo studio della destra nazionalista fiamminga e delle sue relazioni con il resto del Belgio. Secondo Henk de Smaele, dell’Università di Anversa, sin dal XIX secolo le regioni fiamminghe votavano maggiormente per i partiti cattolici (predecessori della Volksunie e della N-VA) rispetto alla regioni valloni, a parità di tasso di industrializzazione. Ciò non avrebbe a che fare con l’arretratezza e il conservatismo di tali regioni, o con la vicinanza tra politici cattolici e interessi fiamminghi, secondo de Smaele, quanto con il fatto che “una Fiandra di destra si venne a creare quando i cittadini delle città provinciali fiamminghe (come Bruges, Louvain o Ypres) abbandonarono il partito liberale e i loro sogni di cultura urbana, e crearono invece il mito della Fiandra rurale“, celebrando l’incolto contadini come il vero uomo fiammingo. Per loro, “la Fiandra consisteva solo di prati, pittoreschi villaggi, e morte città medievali“. Tale traslazione nell’identificazione di una classe media fiamminga, e la coltura di un nuovo discorso della “Fiandra rurale”, è vitale secondo de Smaele per spiegare la storia elettorale belga del XIX e XX secolo: “votare per la destra è diventato un elemento nel compimento di una identità fiamminga“. Votare per la destra nelle Fiandre ha mantenuto la stessa connotazione di voto contro l’establishment, dal XIX al XXI secolo, “una ‘coraggiosa’ forma di resistenza contro le irresistibili forze del ‘progresso’ e del ‘cambiamento'”, incarnato dall’élite cosmopolita e francofona di Bruxelles. Nonostante le Fiandre siano oggi una ricca regione post-industriale, la destra nazionalista continua a coltivare l’immagine di una Fiandra oppressa, sminuita e ridicolizzata, vittima di condiscendenza ed arroganza del potere.
La difesa dei piccoli produttori contro i parassiti sociali: una narrativa legittimante
Jérôme Jamin, dell’Università di Liegi, nel suo studio ha riallacciato l’ideologia della N-VA e della destra fiamminga al filone narrativo populista d’origine americana del producerism. Secondo Berlet e Lione (2000), il producerism suggerisce l’esistenza di una classe media nobile e laboriosa (agricoltori, artigiani, operai) che è costantemente in conflitto con dannosi parassiti sociali che si trovano sia nella parte superiore sia nella parte inferiore dell’ordine sociale. Tali parassiti sono costituiti, da una parte, dall’élite dominante (nel caso belga, l’élite francofona di Bruxelles e i socialisti valloni), e dall’altra dagli approfittatori del sistema, che vivono dell’assistenzialismo finanziato dai produttori: stranieri, immigrati, falsi disoccupati (“valloni”), ma anche i “ceti improduttivi”, intellettuali, artisti, attivisti, femministe. Per chiudere il certo, il producerism vede una alleanza naturale tra questi due tipi di parassiti sociali: i ceti improduttivi hanno bisogno dell’élite per ottenere sovvenzioni, l’élite ha bisogno dei voti dei ceti improduttivi per essere rieletta. “Il merito della gente laboriosa, gli sforzi dei fiamminghi nei confronti dei valloni, la responsabilità e il perseguimento dell’efficacia contro lo spreco sono onnipresenti nel discorso della N-VA”, e si sustanziano nella questione dei trasferimenti fiscali nord-sud.
Attraverso un discorso che loda il popolo contro l’élite, il populismo producerist sostituisce il divario destra/sinistra con una contrapposizione tra chi aderisce al sistema e chi lo rifiiuta, cui si integra la classica opposizione comunitarista fiamminga al governo centrale. Una tale narrativa politica sarebbe impossibile in Vallonia, dove l’identificazione nazionale e regionale sono molto più correlate, e dove lo stato federale è visto come garante di una serie di meccanismi di solidarietà sociale.
Foto: Presseurope / Afp