Se aprile è il più crudele dei mesi, per una volta nei Balcani si è trattato di un aprile di buone notizie. Siamo sempre in prima linea quando c’è da criticare, senza sconti, la condotta politica delle leadership balcaniche ma è giusto vedere il bicchiere mezzo pieno quando ce n’è ragione. Un buon bicchiere di rakjia da bere alla salute dei Balcani e del loro futuro.
La normalizzazione delle relazioni col Kosovo e la pressione sui serbi di Mitrovica
Eppure sembrava non dovesse essere così: il mese si era aperto con il fallimento dell’ennesimo round negoziale (l’ottavo) dietro mediazione dell’Unione Europea per arrivare ad una normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo, tanto che qualcuno aveva proposto che l’UE passasse il mandato negoziale all’ONU. Ma l’avvicinarsi della scadenza del “rapporto di primavera” della Commissione europea deve aver convinto i due governi a raggiungere un compromesso, difficile seppur positivo per entrambi. L’accordo, raggiunto in extremis il 19 aprile, permetterà tanto a Pristina quanto a Belgrado di proseguire in parallelo il cammino di integrazione europea. Le reazioni sono state generalmente positive in entrambe le capitali, mentre l’opposizione più forte è montata da parte dei serbi del Kosovo che si sentono traditi da Belgrado.
Proprio ai serbi del Kosovo è tornato a riferirsi il vice primo ministro serbo, Aleksandar Vučić. Vučić indica come Belgrado non intenda piegarsi alle richieste dei serbi di Mitrovica e dintorni, che vorrebbero un referendum sull’accordo legato alla Costituzione serba, nella parte in cui essa definisce il Kosovo ”parte inalienabile della Serbia”.
Accettare l’accordo significa anche accettare il futuro per la Serbia e sono convinto che la maggioranza dei cittadini serbi lo approverebbe in un eventuale referendum”. “Il quesito referendario non sara’ definito dalla piazza, il governo non accettera’ mai questo tipo di ricatti”.
Dossier Bosnia: Belgrado e Bruxelles sulla stessa linea d’onda verso la revisione di Dayton
I serbi del Kosovo di oggi, come i serbi di Bosnia del 1995, prima coccolati dai nazionalisti e poi abbandonati dai pragmatici di Belgrado. E così, il governo serbo arriva oggi a spingere la leadership della Republika Srpska, l’entità bosniaca a maggioranza serba, ad accettare una revisione degli accordi di Dayton che garantisca il rispetto dei diritti politici di tutti i cittadini bosniaci e il progresso del paese verso l’integrazione europea. Secondo Ivica Dacic,
Settecento anni fa, la Serbia era composta dalla Vecchia Serbia, dal Kosovo e dalla Raška, ma oggi ci sono ben pochi serbi in queste regioni. Oggi, gli interessi strategici della Serbia vanno oltre le nostre frontiere nazionali. In Bosnia-Erzegovinia, ci sono più di un milione di serbi. Noi dovremo spingere Banja Luka ad emendare gli accordi di Dayton”, ha dichiarato il pirimo ministro serbo Ivica Dačić alla televisione di Belgrado. Sempre secondo Dačić, “negli anni ’90 la Serbia ha sovrastimato il proprio potere reale. Neanche la Russia è riuscita a modificare le sue frontiere dopo la caduta dell’URSS”. “Abbiamo sovrastimato le nostre capacità nel caso del Kosovo, e questo non deve avvenire una seconda volta. Non possiamo combattere da soli contro tutto il mondo.”
Il partito serbo al governo nella Republika Srpska, l’SNSD di Milorad Dodik, è oggi uno strenuo difensore del compromesso di Dayton, che garantisce ai serbi un’entità autonoma con potere di veto all’interno dello stato bosniaco. Ma lo status quo della Bosnia daytoniana è stato condannato nel 2009 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Sejdic e Finci per una questione apparentemente minore – il diritto di candidarsi ad alcune elezioni dei membri delle minoranze nazionali. Da allora, l’Unione europea richiede la revisione della Costituzione di Dayton come prerequisito per accettare la candidatura della Bosnia all’Unione, e ultimamente ha minacciato di non riconoscere i risultati delle elezioni del 2014 se l’attuale status quo dovesse continuare.
Le ultime dichiarazioni di Dačić si pongono sulla stessa linea d’onda di quelle del Commissario UE all’allargamento, Štefan Füle, e dell’ambasciatore americano a Sarajevo, Patrick Moon. D’altronde, che i rapporti tra Belgrado e Banja Luka potessero cambiare nel senso di una maggiore fermezza della Serbia sui propri interessi nazionali, quando in contrapposizione a quelli dei serbi di Bosnia, era un fattore apparso a molti subito dopo il cambio di governo a Belgrado. Come scriveva Alfredo Sasso,
basta che chi comanda a Banja Luka impari la singolare regola enunciata da Tomislav Nikolić (che si riferiva a Dodik per condannarne l’irruenza politica): “Le porte non si possono aprire tutte a calci”. Non perché sia sbagliato di per sé, ma perché il diritto di dare i calci spetta ai serbi dell’est della Drina. Non a quelli dell’ovest. A meno che questi non chiedano prima il permesso a Belgrado”.
Le scuse di Nikolić per Srebrenica. L’ultimo tassello del nuovo corso della Serbia?
Ecco, m’inginocchio, chiedo perdono per i crimini commessi a Srebrenica. E mi scuso per quanto avvenuto in nome della nazione serba, per i crimini perpetrati da qualunque persona appartenente al popolo serbo”.
Non le parole di chiunque, ma quelle di Tomislav Nikolić, oggi presidente della Repubblica di Serbia e al tempo della guerra numero due dei nazionalisti di Vojislav Seselj. Nulla di nuovo nel contenuto – l’ex presidente Boris Tadić aveva ripetuto più volte la stessa cosa – ma molto di nuovo nel nome di chi le pronuncia. Lo stesso che, subito dopo la sua elezione, si era fatto notare per una serie di commenti poco felici, che avevano fatto sollevare diverse sopracciglia tra Zagabria, Sarajevo e Bruxelles. Inutile forse chiedersi quale sia la sincerità di Nikolić nel pronunciare oggi tali parole – crediamo davvero che un politico debba o possa essere sincero?, – e forse anche inutile, dopo le ultime sentenze dell’ICTY, richiedere che la Serbia faccia uso del termine “genocidio”. Piuttosto, sembra necessario oggi rimarcare come anche la destra nazional-conservatrice di Nikolić e del suo Partito Progressista abbia interiorizzato la realtà dei fatti: che l’unica politica estera possibile per la Serbia è quella che la porta verso l’Unione Europea, e che questa passa per un riavvicinamento con i propri vicini, Sarajevo e Pristina incluse, malgrado i costi necessari a ciò. In questo, molti serbi, specie i più giovani, sono già molto più avanti della propria leadership politica.
Le relazioni Zagabria-Belgrado, prossimo asse dell’allargamento UE nei Balcani
E verso lo stesso obiettivo sembra diretto il dialogo tra Serbia e Croazia sulle questioni ancora aperte dopo la guerra degli anni ’90. Sempre il vice primo ministro serbo Vučić si è recato in visita a Zagabria, il più alto funzionario del governo a farlo sin dall’inizio del mandato di Nikolić e Dačić. Secondo il ministro degli esteri e vice-premier croato, Vesna Pusić,
Per la prima volta nei rapporti tra la Croazia e la Serbia sono stati fatti dei passi concreti per la soluzione del problema delle persone scomparse durante la guerra degli anni Novanta, circostanza che apre uno spiraglio per una possibile rinuncia congiunta alle reciproche denunce per genocidio”.
Nel corso del mese, le autorità serbe hanno fornito al governo croato diverse informazioni de-classificate che hanno permesso di scoprire una fossa comune nei pressi di Vukovar con i resti di almeno dieci vittime civili croate scomparse nel 1991. Secondo Vučić,
Nessuno ha interesse nascondere le informazioni sugli scomparsi, e’ giusto che le famiglie sappiano la sorte dei loro famigliari”. ”Questa non e’ una questione facile per la Serbia, ma Belgrado e’ aperta per il dialogo e spero riusciremo a trovare una soluzione soddisfacente”.
La Croazia entrerà a far parte dell’Unione Europea il 1° luglio, e potrebbe trasformarsi in un importante alleato a Bruxelles per la Serbia, se le questioni bilaterali saranno risolte.
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Foto da Travel the unknown
La verità è che tra alti e bassi il cammino è segnato: Europa. La cosa interessante è che, pur se in crisi economica, di governance e di leadership, l’Europa in questi anni è riuscita a proseguire l’allargamento e a dare più profondità all’integrazione dei Balcani. Slovenia e Croazia hanno risolto i contenziosi, la Croazia entra in Europa il primo luglio, il Montenegro ha avviato i negoziati per l’accesso, presto lo farà anche la Serbia. E, infine, anche se non risolve la questione kosovara, l’accordo Belgrado-Pristina, mediato da Bruxelles, ha un suo significato indiscutibile.
Matteo
Vero: nonostante la crisi dell’eurozona, l’allargamento procede senza scosse e non è rimasto sepolto sotto i detriti, come diversi avevano pronosticato. Anche questa è una buona notizia cui brindare con un bicchierino di rakija 🙂
Finalmente,finalmente qualche risultato almeno a livello diplomatico!
Sve bit će bolje!
Scrive Pavese: “Ora che ho visto che cos’é la guerra, cos’é la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: e dei caduti che facciamo, perché sono morti?
I Balcani?