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AZERBAIGIAN: La presidenza del Consiglio d’Europa e lo scandalo dei prigionieri politici

Lo scorso 14 maggio l’Azerbaigian ha assunto ufficialmente la presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, organizzazione pan-europea con sede a Strasburgo composta da 47 membri, dal Portogallo alla Russia [ne è esclusa solo la Bielorussia, ndr]. Secondo la norma, Baku manterrà questa carica per un intero semestre.

La scelta di assegnare [per rotazione, ndr] questa carica all’Azerbaigian ha però suscitato non poche polemiche da parte di numerosi attivisti e delle maggiori associazioni a difesa dei diritti umani, le quali hanno evidenziato le gravi criticità che affliggono il paese dal punto di vista del sociale, e denunciato al Consiglio d’Europa l’”illegittimità” della presidenza dell’Azerbaigian, il quale non avrebbe i requisiti necessari per assumere il comando del Comitato dei Ministri, in quanto la problematica situazione del paese caucasico contraddice quelli che sono gli stessi valori fondanti del Consiglio d’Europa.

Il Comitato dei Ministri è il principale organo decisionale del Consiglio d’Europa, uno dei cui obiettivi è il rispetto dei princìpi fondativi dell’organismo europeo, che si basano sulla Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali. Nonostante tutte le problematicità che il paese caucasico riscontra proprio sotto il punto di vista dei diritti umani e civili e delle libertà individuali, nel 2001 l’Azerbaigian venne ammesso all’interno del Consiglio d’Europa, con la speranza che questo ingresso potesse, nel giro di qualche anno, portare a una liberalizzazione della politica e a un miglioramento generale della condizione dei diritti umani. Così però non è stato, e l’Azerbaigian, dal punto di vista della democrazia e delle libertà civili, dopo oltre un decennio di governo di Ilham Aliyev, si trova attualmente in condizioni addirittura peggiori rispetto a tredici anni fa.

L’Azerbaigian viene classificato da Freedom House come paese “non libero”, unico caso tra le tre repubbliche del Caucaso, a causa del bassissimo indice di democrazia che caratterizza la nazione. Si calcola che attualmente in Azerbaigian ci siano più di un centinaio di prigionieri politici, tra i quali si contano membri dell’opposizione, attivisti, blogger o giornalisti, arrestati spesso grazie a false accuse come il possesso illegale di sostanze stupefacenti o di armi, e incarcerati in seguito a processi farsa. Le ultime sentenze risalgono a pochi giorni fa, quando otto membri del movimento giovanile N!DA (nida in azero è il punto esclamativo) sono stati condannati a scontare pene che vanno dai 6 agli 8 anni di carcere.

In seguito alla decisione di assegnare all’Azerbaigian la presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, c’è stato chi, come l’ESI (European Stability Initiative) ha voluto esprimere la propria contrarietà riguardo alla nomina di Baku. L’istituto si era già occupato del paese caucasico nel gennaio 2013, quando l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) respinse una proposta di risoluzione sulla questione dei prigionieri politici in Azerbaigian, accusando alcuni parlamentari di corruzione e di praticare la cosiddetta “diplomazia del caviale”.

Per denunciare la problematica situazione dei diritti umani nel paese caucasico, l’ESI ha dunque inviato a 125 membri ed ex membri dell’Assemblea del Consiglio d’Europa una lettera aperta, nella quale ha esortato a trovare in fretta una soluzione riguardo alla questione dei prigionieri politici in Azerbaigian. Secondo la lettera inviata ai parlamentari del Consiglio d’Europa, infatti, “l’Azerbaigian che si prepara ad assumere la presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa non ha mai avuto più prigionieri politici di ora […] e in uno stato membro del Consiglio d’Europa non dovrebbero essercene. […] il Consiglio d’Europa pare aver voltato il proprio sguardo altrove”.

Foto: Sebastiaan ter Burg

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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