È arrivato il 1° ottobre l’annuncio che l’Ucraina ha accettato la cosiddetta formula Steinmeier come base di partenza per i negoziati sul conflitto nel Donbass. La notizia era nell’aria da tempo ma arriva in un momento piuttosto complicato per il nuovo presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che si è ritrovato al centro della viscida campagna elettorale americana a causa della sua conversazione telefonica con il presidente statunitense Donald Trump. Alle numerose pressioni internazionali, per il presidente ucraino fanno da contraltare le complesse dinamiche interne che vedono nel presidente uscente, Petro Porošenko, e in una parte della società ucraina dei fermi oppositori di qualsiasi forma di dialogo con Mosca.
Che cos’è la formula Steinmeier?
La cosiddetta formula Steinmeier non è altro che un’idea proposta nel 2016 dall’allora ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, oggi presidente, con l’intento di rivitalizzare la fase negoziale del conflitto in Donbass. Anche se gli accordi di Minsk, firmati nel febbraio 2015 per fermare i combattimenti, rimangono il centro del percorso negoziale, la formula proposta dal ministro tedesco voleva semplificarne i passaggi, rendendo un negoziato tra Kiev e Mosca più praticabile. I punti centrali sono sostanzialmente due: elezioni nelle regioni di Donetsk e Lugansk che dal 2014 non sono sotto il controllo di Kiev e la concessione di uno status speciale al Donbass. Quello che l’idea di Steinmeier aggiunge rispetto a Minsk è la sequenza temporale. Prima le elezioni con osservatori internazionali svolte secondo la legislazione ucraina. Dopo, qualora le elezioni fossero considerate regolari secondo gli standard OSCE, concessione di uno status speciale alla regione e piena reintegrazione dei territori nella giurisdizione ucraina, compreso il controllo sul pezzo di frontiera con la Russia. Da notare che già nel 2015, su forte pressione internazionale, l’allora presidente Porošenko e il parlamento avevano approvato una legge sullo status speciale per il Donbass. La legge è rinnovata ogni anno dal parlamento ed è destinata ad entrare pienamente in vigore solo in seguito a regolari elezioni sul territorio del Donbass. Il prossimo rinnovo è previsto per gennaio 2020.
Capitolazione o passo avanti?
Dal momento della proposta nel 2016, come sappiamo, nessun passo avanti è stato fatto nei negoziati. L’ultimo incontro tenutosi nel cosiddetto formato Normandia, con i capi di stato di Ucraina, Russia, Germania e Francia risale all’ottobre 2016. L’accettazione da parte di Kiev dell’introduzione di uno status speciale subito dopo le elezioni rimane, infatti, una delle condizioni del Cremlino per riaprire la porta al dialogo e per l’organizzazione di un incontro tra Zelensky, Putin, Macron e Merkel previsto, secondo numerose voci, per la seconda metà di ottobre.
A mettere ulteriore pressione su Zelensky sarebbe stata anche la Francia di Macron che negli ultimi mesi sembra aver soppiantato la Germania come il principale sostenitore della risoluzione del conflitto in Donbass. Non è passato inosservato, infatti, il recente incontro bilaterale tra Putin e Macron che, a differenza di quelli precedenti, ha segnalato un’evidente apertura da parte della Francia nei confronti della Russia.
Rimane da capire, però, quale saranno i margini di manovra e la posizione negoziale di Kiev. Durante la conferenza stampa in cui ha annunciato la disponibilità di garantire uno status speciale al Donbass, il presidente ucraino ha rimarcato che il processo avrà luogo solo se le elezioni nei territori occupati si svolgeranno dopo il disarmo, il ritiro delle truppe russe e il ritorno sotto il controllo di Kiev della porzione di frontiera con la Russia. Se queste saranno effettivamente le condizioni di partenza non negoziabili per l’Ucraina, l’apertura di Zelensky è da interpretare come una mossa puramente tattica. Un passo avanti che dimostra la nuova disponibilità al dialogo, dopo che Porošenko aveva chiuso ogni porta ai negoziati con Mosca, ma che difficilmente porterà a passi avanti significativi. La posizione russa infatti sembra invariata. Prima le elezioni e lo status speciale, poi tutto il resto, compreso il ritiro delle truppe e il controllo ucraino sul pezzo di frontiera che de facto (non)separa oggi la Russia dalle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk.
Se invece Zelensky sarà disposto a trattare anche su questi punti, potremo probabilmente assistere a dei passi avanti nei negoziati, ma il costo da pagare per il nuovo presidente ucraino potrebbe essere molto alto sul piano interno. Già l’annuncio della disponibilità ad accettare le linee guida proposte da Steinmeier ha causato una dura reazione da parte dell’opposizione che, guidata da Porošenko, ha minacciato l’organizzazione di un nuovo Maidan.
Proteste in vista?
A Kiev si vocifera da tempo che la principale strategia di Porošenko e dell’attuale opposizione per mettere pressione su Zelensky sia quella della piazza. Non dovrebbe sorprendere che poche ore dopo la conferenza stampa del presidente, qualche centinaio (poi divenuto qualche migliaio) di persone, tra i quali molti sostenitori di Porošenko e membri dei vari gruppi di estrema destra, si siano ritrovati in piazza dell’Indipendenza (Maidan Nezalezhnosti) scandendo slogan contro la “capitolazione”. Anche se Zelensky negli ultimi mesi ha tracciato le direttrici del suo approccio nei confronti di Mosca, con due conversazioni telefoniche con la controparte russa, Vladimir Putin, e il primo scambio di prigionieri dopo molto tempo, il tema della guerra e del reintegro del Donbass rimane ampiamente controverso per la società. Sebbene la stragrande maggioranza consideri la pace – una delle promesse elettorali del nuovo presidente – come una priorità, le modalità del dialogo con i separatisti e con Mosca rimangono inevitabilmente un tema spinoso.
Zelensky è chiamato così a fare da equilibrista tra la necessità (e volontà) di fare passi avanti nel dialogo, la crescente pressione internazionale, la monolitica posizione russa e la difficile situazione interna, con una fetta della società non disposta ad accettare un compromesso che, in quanto tale, vedrebbe premiata, anche se solo in parte, la posizione del Cremlino. A complicare ulteriormente le cose è anche la posizione intransigente dell’attuale opposizione guidata dal presidente uscente Petro Porošenko, che sembra voler cogliere ogni occasione per minare la credibilità di ogni forma di negoziato.
I risultati dell’imminente incontro tra Zelensky, Putin, Macron e Merkel ci potranno dare ulteriori indicazioni sulla forza negoziale di Kiev e sulle possibili direzioni del dialogo, ma la strada da percorrere appare ancora lunga e tortuosa, sia sul piano internazionale che su quello interno.
Articolo bellissimo ottima lettura dei fatti senza faziosità alcuna.Bravissimo