90 A EST: Dalla Repubblica Popolare ad Orbán (Parte 2, 1994-1998)

La Repubblica popolare ungherese aveva lasciato in eredità alla nascente democrazia magiara una situazione economica disastrata, figlia del gyuláskommunizmus di János Kádár, che aveva costruito un relativo benessere per la popolazione finanziato attraverso il capitale straniero.

It’s the economy, stupid

Le casse vuote e i debiti contratti con il Fondo monetario internazionale rendevano la transizione verso il libero mercato particolarmente difficile. A questo si deve inoltre aggiungere che il MDF (Magyar Demokrata Fórum) si trovò a cavalcare un processo di privatizzazioni già in parte avviato negli ultimi mesi della Repubblica popolare, colpo di coda del morente regime per favorire gli interessi degli uomini di partito. In secondo luogo, orfana dell’economia socialista, il mercato ungherese si presentava come un boccone appetibile per gli investitori stranieri, interessati in primo luogo a guadagnare il più possibile, senza badare ai costi sociali della conversione.

Già nel 1990 il governo di József Antall si trovò alle prese con forti tensioni scoppiate nel settore dei trasporti, dove si replicò all’aumento dei prezzi (imposto dalla crisi irachena) con un imponente sciopero. Nel frattempo la popolazione, alle prese con l’aumento dei generi alimentari e degli affitti, era costretta a cercare più lavori, sperando in qualche modo di sopravvivere. Solo nel 1991 il paese perse il 18,1% della propria produzione industriale, mentre la disoccupazione, praticamente sconosciuta durante il periodo socialista, schizzò all’8%: questo valeva un esercito di 350.000 persone senza lavoro in un paese già piuttosto anziano, che non superava in totale i dieci milioni di abitanti.

Ancora peggio l’anno successivo, quando il tasso dei disoccupati sfondò il 10%, per attestarsi fra il 1993 e il 1994 al 13%. Di fatto, mentre si avvicinavano le elezioni del 1994, il 20% della popolazione viveva al di sotto della soglia di povertà.

Di nuovo a sinistra

 Non può quindi sorprendere che parte della popolazione vedesse nel partito socialista un’alternativa, una promessa di una gestione più equilibrata della transizione. Il Fórum era poi in netta difficoltà: esaurito da quattro anni di difficile governo e privato del suo principale esponente (József Antall era deceduto nel 1993), subiva anche l’attacco dal nuovo partito sorto alla sua destra, il Partito della Giustizia e della Vita (MIÉP), fondato da István Csurka.

Come prevedibile, le elezioni del 1994 consegnarono il governo al partito socialista, guidato da Gyula Horn, celebre ministro degli Esteri dell’89. Questi accelerò ulteriormente l’inclusione di Budapest all’interno della cornice occidentale, con la sottoscrizione del programma Partnership for Peace della NATO, e la successiva adesione all’alleanza atlantica dopo un referendum (1997).

Malgrado le promesse, sul piano economico le casse vuote costrinsero Budapest a scendere nuovamente a patti con le istituzioni finanziarie, attuando prima una forte svalutazione del fiorino, sia nel 1994 (8%) che nel 1995 (9%), quindi inaugurando una serie di misure di austerità conosciute come “pacchetto Bokros”. La perdita di potere della moneta magiara si accompagnò a drastici tagli sul sociale, nel tentativo di ottenere il credito necessario alla stabilizzazione dell’economia. Malgrado la misura risultasse – comprensibilmente – invisa alla popolazione, i risultati macroeconomici diedero ragione ai socialisti, e dal 1997 i risultati dell’economia magiara migliorarono sensibilmente.

L’attore che (non) ti aspetti

In questa situazione trovò la sua dimensione Viktor Orbán, politico giovane, ma con già grande esperienza politica, noto al pubblico magiaro dal 16 giugno del 1989, quando, leader dell’alleanza dei giovani democratici (FIDESz), attaccò dal palco dei funerali di Imre Nagy i leader socialisti chiedendo il ritiro immediato delle truppe sovietiche. Un giovane proveniente dalla provincia, ma con una buona conoscenza della lingua inglese, formatosi all’università ELTE di Budapest, ma con un breve passato da borsista presso Oxford, grazie all’intervento del filantropo americano (di origine ungherese) George (György) Soros.

Durante la campagna elettorale del 1998 il leader della FIDESz attaccò senza esclusione di colpi Gyula Horn, evidenziando gli alti costi sociali delle manovre governative, e mettendo in risalto le mancanze del governo, specie sul piano della sicurezza. Orbán sembrava incarnare una promessa di svolta nella storia ungherese, una rottura completa con il passato socialista. Non a caso il leader della FIDESz sottolineava la continuità della classe dirigente ungherese anche dopo il 1989, ponendo invece l’alleanza dei giovani democratici su un piano di rottura totale. La FIDESz, del resto, non aveva neanche la macchia dal compromesso: nel 1989, malgrado avesse avuta la possibilità, si era rifiutata di sottoscrivere gli accordi della Tavola rotonda nazionale. Una forza giovane, fatta di ragazzi che portavano barbe spesso incolte, e che prometteva di cambiare il paese.

Il resto è storia nota: a soli trentacinque anni Orbán divenne Primo ministro del paese danubiano, cavalcando il sogno di un’altra Ungheria, di raggiungere lo sviluppo dell’Europa occidentale. In realtà, aprendo una stagione di grandi promesse, destinate ad essere infrante.

Immagine: Radio Free Europe

Chi è Lorenzo Venuti

Dottorando dell'Università degli studi di Firenze, Siena ed ELTE (Budapest), è riuscito a conciliare le sue due passioni escogitando una ricerca sull'uso politico del calcio in Ungheria.

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