Con voto quasi unanime, il 14 settembre scorso il parlamento della Macedonia del Nord ha ufficialmente rimosso dal suo incarico la procuratrice Katica Janeva, giudice a capo della Procura Speciale. Il voto arriva poche settimane dopo l’arresto della Janeva, accusata d’abuso d’ufficio e corruzione.
E’ questa, al momento, l’unica certezza di una vicenda che, c’è da esserne certi, riserverà altre sorprese nell’immediato futuro e che potrebbe avere ripercussioni politiche, anche ai massimi livelli. Una vicenda che ha del clamoroso, se si pensa che la Janeva era considerata la nuova eroina della lotta alla corruzione e che la Procura Speciale, da lei stessa guidata fin dalla sua istituzione nel 2016, aveva proprio lo scopo di contrastare la corruzione, dilagante in tutto il paese.
I fatti
La ricostruzione dei fatti ci riporta nel cuore dell’estate scorsa, e precisamente al 15 luglio, quando Boki 13, al secolo Bojan Javanosky, ex star televisiva, conduttore di successo e proprietario dell’emittente TV 1TV, viene arrestato con l’accusa di tentata estorsione ai danni dell’imprenditore macedone Jordan Kamchev, l’uomo più ricco della Macedonia del Nord. Kamchev stesso è nel mirino della Procura Speciale e, secondo l’accusa, sarebbe stato indotto da Javanosky al pagamento di una somma di cinque milioni di euro in cambio di un trattamento più mite da parte della procura. Javanosky, infatti, può far leva su rapporti privilegiati con la Janeva e, in particolare, col figlio di quest’ultima, manager di un’associazione di volontariato intestata a Javanosky.
E’ stato il quotidiano italiano “La Verità” a pubblicare per primo le intercettazioni audio in cui si sentirebbe Javanosky millantare ottime relazioni con la Janeva (e persino con l’attuale primo ministro, il socialdemocratico Zoran Zaev, che “non avrebbe certamente causato problemi”) e da cui si evincerebbe che il tentativo di estorsione sarebbe addirittura stato concordato con la giudice. Resta il fatto che il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro ha anche pubblicato il video in cui si vede Javanosky uscire dall’abitazione di Kamchev con una borsa contenente un milione e mezzo di euro. La vera pistola fumante riguardo al coinvolgimento diretto della Janeva sembrerebbe, però, essere un’altra intercettazione audio, quella in cui si la si ascolterebbe rassicurare l’imprenditore sul fatto che “tutto andrà bene”. A ciò si devono aggiungere le perplessità espresse da alcuni dei suoi più stretti collaboratori circa la sua tendenza a prendere decisioni discutibili, senza condividerle, inclusa quella di restituire il passaporto proprio a Kamchev.
La vicenda giudiziaria farà il suo corso e solo le indagini potranno chiarire se si sia trattato, effettivamente, di un tentativo di estorsione e quale sia stato il reale coinvolgimento della giudice che, dal canto suo, ha tentato di derubricare il fatto a una “normale” attività d’ufficio finalizzata alla “estrazione delle informazioni” dagli indagati.
La politica dei veleni e dei colpi bassi
Ma è il piano politico quello ad offrire gli spunti di maggior interesse e, con ogni probabilità, la chiave di lettura più pertinente dell’intero caso. Vicenda giudiziaria e politica si intersecano, infatti, in un legame che pare indissolubile e che, dimostra, qualora ve ne fosse bisogno, quanto “tossico” sia il clima politico del paese balcanico.
Nel 2016, infatti, erano state le intercettazioni rese pubbliche da Zoran Zaev, all’epoca all’opposizione, a provocare un vero e proprio terremoto. Esse fornivano, infatti, le prove delle presunte attività illegali perpetrate da Nikola Gruevski, allora primo ministro e leader del partito conservatore VMRO-DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone). Le proteste popolari che ne scaturirono in tutto il paese portarono alla caduta del governo Gruesvki nonché alla sconfitta alla tornata elettorale dell’anno successivo, consegnando il paese nelle mani dell’acerrimo nemico Zaev e “inducendo” Gruesvki alla sua rocambolesca fuga nell’Ungheria del sodale politico Viktor Orban.
I ruoli si sono ora invertiti e non è da escludere che la regia, più o meno occulta, dell’intero intreccio sia proprio quella “dell’esule” Gruevski. Così come potrebbe non essere una coincidenza il fatto che il caso sia stato scoperchiato da un quotidiano, “La Verità”, vicino alle posizioni sovraniste espresse in Italia da Matteo Salvini e condivise da quest’ultimo proprio con il duo Gruevski-Orban.
Quali conseguenze?
La vicenda butta nuovo discredito sulla politica macedone facendo precipitare la fiducia dei cittadini sulla classe dirigente del paese, come dichiarato dal presidente della repubblica, Stevo Pendarovski. Dal canto loro le opposizioni chiedono le immediate dimissioni di Zaev il quale, di converso, ha tentato nei giorni scorsi di confinare i fatti alla mera sfera giudiziaria, rivendicando i presunti successi del proprio esecutivo e ricordando l’importanza epocale delle sfide che il paese si trova ad affrontare: l’adesione all’UE e alla NATO, in primis.
Il quadro tuttavia potrebbe drasticamente cambiare qualora si dovesse comprovare non solo un coinvolgimento diretto del primo ministro ma anche una qualsivoglia connessione tra alcuni dei ministri del suo esecutivo e la società “Alleanza Internazionale” gestita da Bojan Javanovski.
Sullo sfondo, lo scontro politico si sposta anche sul futuro della Procura Speciale: nata tra mille speranze è, ora, presa tra l’incudine e il martello di chi, come le attuali opposizioni, la considerano un’emanazione del partito di governo responsabile della propria sconfitta elettorale e chi, al contrario, vorrebbe che continuasse ad operare anche oltre il limite, previsto per la fine di quest’anno, per poter portare a termine le decine di indagini ancora in corso.
In tutto ciò l’Europa è spettatrice interessata e considera l’estensione delle attività della Procura come condizione necessaria per l’avvio dei negoziati di adesione alla UE.