Domenica 8 settembre 2019 può esser già considerata come una delle date più significative della recente storia bosniaca. Ieri si è infatti svolto il primo Pride di tutta la Bosnia-Erzegovina, ultimo paese della regione ad ospitare una manifestazione del genere. Una giornata storica per un paese in cui la comunità LGBTQ deve fare i conti con gravi discriminazioni e pregiudizi.
L’attesa
Dopo le numerose prese di posizione dei politici bosniaci contrari alla marcia, negli ultimi giorni non era mancato il sostegno da parte dell’ambasciatore USA Eric Nelson che aveva confermato la sua presenza con il proprio compagno. Di “manifestazione di libertà di espressione” aveva parlato anche l’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR), impegnato a sovrintendere all’attuazione dell’accordo di Dayton.
Il ministro cantonale degli Affari Interni di Sarajevo Admir Katica, avevano però provato ad ostacolare lo svolgimento della marcia imponendo agli organizzatori ulteriori vincoli come l’acquisto, a proprie spese, di barriere di cemento per garantire la sicurezza dei partecipanti. L’atteggiamento di alcune istituzioni mostra chiaramente la mancanza di volontà nel garantire il normale svolgimento di un corteo di protesta che rivendica l’estensione dei diritti basilari a tutti i cittadini.
Nel frattempo, alcuni gruppi politici avevano convocato contromanifestazioni. Sabato, l’Associazione Svjetlo aveva organizzato la “Giornata della famiglia tradizionale” che ha visto la partecipazione di qualche centinaio di persone.
Domenica invece, contemporaneamente alla marcia, il teologo e professore Sanin Musa e la ONG “Iskorkak” avevano convocato due piazze distinte per chiamare a raccolta coloro che sostengono la “tradizione fondamentale di una relazione tra un uomo e una donna”.
La giornata
Nonostante i tentativi di impedire la marcia e alzare la tensione per ridurne la partecipazione, il primo Pride di Sarajevo è stato un completo successo da tutti i punti di vista. Le violenze tanto attese non si sono verificate e i circa 2000 manifestanti, di gran lunga superiori rispetto alle previsioni fatte nei giorni precedenti, hanno potuto marciare lungo la via Maresciallo Tito che dalla Fiamma Eterna porta al Parlamento. La giornata si è svolta in un clima di festa e di lotta per i diritti non solo della comunità LGBTQ ma di tutti coloro che vengono costantemente discriminati, compresi i migranti.
Nel corteo non sono mancati infatti cartelli con la scritta “Refugees Welcome”, così come le scritte in cirillico (utilizzato dai serbi) presente anche nello striscione di apertura. Una trasversalità che supera di gran lunga le linee di demarcazione etnica che caratterizzano ancora oggi il paese e che dimostra come la lotta per i diritti fondamentali riesca ad accomunare ciò che il potere politico tende a separare. Alla marcia erano presenti delegazioni dal resto della Bosnia, dalla Serbia, dall’Albania e i rappresentanti delle ambasciate europee (inclusa quella italiana) a dimostrazione dell’attenzione posta dall’Unione Europea al tema della lotta alle discriminazioni di genere nel paese.
Gli organizzatori avevano scelto come slogan della manifestazione la frase “Ima Izac” (“C’è da uscire”) che rimanda sia alla necessità di occupare la scena pubblica bosniaca con una dimostrazione di piazza sia ad un maggior coraggio nel fare coming out per le persone omosessuali.
La grande partecipazione ha dimostrato la volontà di prendere parola e di irrompere nel dibattito pubblico della società civile bosniaca in un momento particolarmente delicato per il paese che, a distanza di un anno dalle ultime elezioni, non ha ancora un governo a causa degli scontri tra le componenti etniche che lo compongono.
La condizione della comunità LGBTQ in Bosnia
Uno dei meriti più importanti della manifestazione di ieri è senza dubbio quello di aver favorito un primo importante cambio di atteggiamento della popolazione bosniaca verso le questioni di genere. Negli anni passati non erano infatti mancati episodi di violenza contro la comunità LGBTQ. Nel 2008 il Queer Festival di Sarajevo era stato preso d’assalto da gruppi di estrema destra e conservatori costringendo gli organizzatori ad annullare l’evento. Stessa sorte era capitata ad una tavola rotonda sul tema “Transessualità in Transizione”, organizzata per la seconda edizione del festival queer Merlinka nel 2014.
In Bosnia, l’abolizione della legge che considerava reato l’omosessualità è avvenuta nel 2008 mentre una legge del 2003 vieta ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Nonostante questo, la percezione della popolazione bosniaca sul tema risulta ancora piuttosto conservatrice. Secondo uno studio condotto nel 2017 dallo United Nations Development Program (UNDP) quasi il 60% dei bosniaci reputa l’omosessualità una malattia.
Nel 2017, il Ministero dei diritti umani e dei rifugiati ha inviato, ai governi delle due entità che compongono la Bosnia, un progetto di legge per l’uguaglianza delle persone LGBTQ. Il piano ha ricevuto parere positivo dal governo della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH) mentre quello della Republika Srpska (RS) ha espresso parere negativo per la mancata consultazione delle istituzioni competenti.
Il Sarajevo Open Center, un’associazione che si occupa della difesa dei diritti della comunità LGBTQ, ha registrato nel 2018 5 casi di discriminazione, di cui uno avvenuto nell’amministrazione pubblica. Il basso numero di denunce raccolte mette in luce le difficoltà e la paura nel denunciare alle istituzioni competenti le violenze e le minacce subite.
La giornata di ieri è stata una dimostrazione di forza nei confronti delle istituzioni reticenti e il primo passo verso un deciso cambio di prospettiva sulle questioni riguardanti la comunità LGBTQ.
Foto: Alfredo Sasso