AGGIORNAMENTO 11.50: Il ministro dell’interno Nicolae Moga si è dimesso. Moga dice di aver preso questa decisione per difendere “il prestigio del ministero.”. L’ormai ex ministro ha chiuso l’annuncio auspicando che “avvenimenti tragici come questi non accadano più in futuro”.
Negli ultimi giorni l’opinione pubblica romena dibatte soltanto del terribile omicidio avvenuto a Caracal, una piccola cittadina del sud, dove una quindicenne, Alexandra Măceșanu, è stata rapita, violentata e infine uccisa da un uomo, tale Gheorghe Dincă, accusato di aver già assassinato un’altra ragazza nella scorsa primavera con modalità spaventosamente simili.
Il delitto ha scosso l’intero paese, non soltanto per la sua efferatezza, ma anche e soprattutto a causa del comportamento delle forze dell’ordine. Prima di essere uccisa Alexandra è riuscita a mettersi in contatto con la polizia, fornendo dati importanti sull’ubicazione della casa dove era sequestrata; la sua disperata richiesta d’aiuto è stata tuttavia ignorata dal funzionario del centralino d’emergenza, che ha scambiato la telefonata per una burla e ha invitato la ragazza, secondo quanto riportano alcune testate, a non tenere la linea occupata.
Le rivelazioni sul comportamento dei poliziotti hanno scatenato un’ondata di indignazione e proteste. Come spesso accade in Romania, il tragico evento di cronaca si è trasformato in un pretesto per lanciarsi contro l’intero sistema politico e istituzionale: la scarsa efficienza, anche se potremmo addirittura parlare di totale incompetenza, dei poliziotti del 112 (il numero romeno delle emergenze) viene imputata alla corruzione e al malaffare che dominano le assunzioni pubbliche ad ogni livello. Dimostrazioni sono state organizzate nei giorni scorsi di fronte al ministero dell’Interno e nelle principali strade di Bucarest. Ieri un gruppo di manifestanti si è radunato di fronte alla sede del partito social-democratico, urlando improperi all’indirizzo di membri del partito, accusati di essere corresponsabili dell’omicidio.
Non è la prima volta che in Romania un evento di cronaca scatena proteste e manifestazioni contro l’intero sistema politico e istituzionale. Nel 2015, a seguito dell’incendio della discoteca Colectiv di Bucarest, che causò la morte di decine di ragazzi, il governo guidato dal social-democratico Victor Ponta fu costretto a dimettersi sotto i colpi delle enormi dimostrazioni di piazza. Anche in quel caso, la morte delle vittime venne imputata alla corruzione e all’inefficienza della pubblica amministrazione di Bucarest, che aveva concesso troppo facilmente la licenza a un locale con chiari problemi strutturali. Ovviamente i responsabili ultimi della tragedia, anche in quel caso, erano considerati i membri del governo e del partito social-democratico, dai più ritenuto l’unico dispensatore di malaffare del paese.
Per quanto ambiguo e spesso corrotto, risulta difficile credere che anche tragici eventi di cronaca possano essere sempre imputati al partito social-democratico, o alla corruzione. La corruzione sta diventando in Romania un’eminenza grigia astratta responsabile di ogni magagna che affligge il paese, e ogni occasione è buona per indignarsi contro le inefficienze del sistema. A ciò va aggiunto l’astio sempre crescente della popolazione nei confronti delle forze dell’ordine, siano esse gendarmeria o polizia; un rancore nato circa un anno fa, a seguito della manifestazione della diaspora terminata in violenza del 10 agosto 2018, quando manifestanti pacifici vennero massacrati senza apparente motivo dalla gendarmeria. Per questo un evento di cronaca nera diventa l’ennesimo pretesto per scendere in piazza e mostrare indignazione contro il sistema. A volte, tuttavia, la spiegazione più banale è anche quella più semplice. La povera Alexandra è stata vittima di un uomo crudele e di un poliziotto incompetente: due tragiche fatalità, di cui difficilmente si può accusare il PSD o il sistema corrotto.
Il modo in cui la gente reagisce a questi eventi ci dice però molto sulla situazione del paese e sul sentir comune: i romeni si sentono vittime di una struttura più grande di loro, alla quale imputano ogni cosa. Un sentimento che è un po’ figlio della storia e del retaggio comunista: lo stato è responsabile di qualsiasi cosa accada, sia essa bella o brutta, e il più delle volte purtroppo è brutta. Abituarsi alla libertà significa anche abituarsi al destino, anche tragico. Il non saper rassegnarsi al fato e il dover cercare sempre una motivazione superiore, più oscura, è un altro segno della transizione post-comunista mai terminata.
Foto. romania.europalibera.org