ROMANIA: Un secolo di disastri in Moldavia

Fino a qualche anno fa i muri e i pali della luce di Bucarest venivano tempestati di piccoli adesivi neri sui quali troneggiava una scritta tanto lapidaria quanto chiara: “Basarabia este România” (la Bessarabia e Romania). Ancora oggi è possibile vederli. I romeni non si riferiscono mai alla Repubblica di Moldavia con il suo nome officiale; ancora oggi la chiamano Bessarabia, un termine dall’etimologia incerta che deriva verosimilmente dal nome della dinastia medievale dei Basarab. “Basarabia pământ românesc”, “Bessarabia terra romena”. Spesso i romeni chiudono con questa sentenza una qualsiasi discussione sull’identità della Moldavia, sbeffeggiando chiunque cerchi di problematizzare la questione etnico-nazionale del loro vicino nord-orientale. Un vicino, quasi un fratello minore, da proteggere, spesso da prendere in giro, il cui ritorno a casa (prima o poi) è dato quasi per certo. Un atteggiamento paternalistico che nel corso della storia non ha caratterizzato solo l’opinione pubblica, ma anche la classe dirigente, che dal 1918 ad oggi ha mostrato più volte di aver compreso poco della terra tra il Nistro e il Prut. La peculiare auto-identificazione ibrida dei moldavi, sospesi tra mondo romenofono a spazio-post sovietico, non si deve solo a 50 anni di appartenenza all’U.R.S.S., ma anche agli errori (passati e presenti) di Bucarest.

Gli errori di ieri

Quando 100 anni fa, dopo la prima guerra mondiale, la Bessarabia divenne ufficialmente una regione della Romania, pochi la conoscevano realmente. Per più di un secolo essa aveva fatto parte dell’impero russo, periferia sud-occidentale di un regno sconfinato, abitata per lo più da contadini romenofoni che, tuttavia, non sentivano un grande trasporto verso la Romania. Si trattava di uomini e donne analfabeti, dediti ad un’agricoltura di sussistenza in villaggi spesso isolati e difficilmente raggiungibili dall’unico grande centro urbano, Chișinău. Una città costruita da architetti italiani, abitata soprattutto da ebrei, che di romeno aveva poco o nulla.

La popolazione contadina bessarabena veniva però idolatrata nei salotti intellettuali della capitale come elemento portante dell’identità nazionale nella regione, focolare di resistenza dei valori culturali ancestrali. Bastarono poche settimane ai funzionari giunti dalla capitale per smontare i sogni dell’intellighenzia nazionalista. Nel novembre del 1918, a soli otto mesi dall’unione, un delegato del ministro della giustizia descrive in toni pessimistici ai suoi superiori l’atteggiamento della popolazione

Dal mio arrivo nella regione ho potuto constatare che la nostra popolazione romena (moldava) è molto insubordinata e non ha preso per niente bene l’arrivo dei nostri funzionari e della nostra amministrazione

Diversi impiegati pubblici spediti nella regione vi avevano sin da subito visto una terra di nessuno dove poter sfruttare la confusione istituzionale seguita alla prima guerra mondiale, alla rivoluzione russa e al cambio di appartenenza statale per arricchirsi. Frequenti furono i soprusi ai danni della popolazione contadina, vessata dalle tasse e da nuove leggi e istituzioni che essi non comprendevano e, di conseguenza, non accettavano. I russi avevano permesso ai villaggi bessarabeni quasi di autogovernarsi, seguendo ritmi sedimentatisi nel corso dei secoli. L’insediamento del nuovo potere interruppe il lento scorrere della vita contadina. Intollerabile per la popolazione locale fu l’atteggiamento della gendarmeria, che non perdeva occasione per abusare del suo potere.

Emblematico un episodio del 1920, quando un contadino e un maestro vennero picchiati e poi rinchiusi per tre giorni in cella senza cibo o acqua dai gendarmi solo perché avevano chiesto che la legge sull’espropriazione delle proprietà ecclesiastiche venisse applicata in modo corretto.[1]

Una relazione talmente traumatica, quella tra gendarmeria e contadini, che nella Repubblica di Moldavia odierna le forze dell’ordine hanno abbandonato il nome di gendarmeria (che conservano in Romania) per adottare la denominazione di carabinieri.

Bucarest trattò Chisinău per tutto il periodo interbellico come una sorta di colonia interna, ignorando le peculiarità della regione e puntando ad una nazionalizzazione completa della vita pubblica. Se a ciò si unisce l’inefficienza e la corruzione dell’amministrazione, non sorprende che nel 1940, al ritorno dei sovietici, molti contadini non si siano strappati le vesti.

Gli errori di oggi

 Nonostante 50 anni di potere sovietico e la successiva indipendenza, non sorprende che la Moldavia continui a rappresentare una delle principali preoccupazioni strategiche della Romania, in virtù di comunanze storiche e linguistiche. Risulta difficile giustificare, pertanto, il comportamento romeno in occasione della crisi istituzionale moldava del mese scorso. La Romania è stata uno degli ultimi attori internazionali a sostenere il governo Sandu, proponendo fino all’ultimo un dialogo chiaramente insostenibile con l’oligarca Vladimir Plahotniuc. Quest’ultimo ha goduto per anni di numerose e influenti simpatie negli ambienti istituzionali e politici romeni, soprattutto all’interno del partito social-democratico, il più importante del paese. C’è addirittura chi sostiene, come l’analista Sorin Ionita, che Plahotniuc sia stata un’invenzione dei servizi segreti romeni per mettere un piede nelle stanze dei bottoni di Chișinău; uno strumento sul quale, tuttavia, Bucarest avrebbe successivamente perso il controllo.

Certo è che l’ambiguo legame che lega l’oligarca al mondo politico finanziario della Romania è chiaro: questi già nel 2001 era riuscito ad ascendere ai vertici di Petrom, compagnia petrolifera all’epoca di proprietà dello stato, secondo Ionita grazie allo stretto rapporto da lui intrattenuto con il leader dell’epoca del PSD Adrian Nastase. Successivamente Plahotniuc è diventato amministratore delegato della sezione moldava della stessa Petrom. Per anni i governi monopolizzati dai social-democratici hanno individuato in Plahotniuc l’uomo che avrebbe guidato la Moldavia sulla strada filo-europea.

La Romania è rimasta con lui fino all’ultimo, anche quando UE e Stati Uniti lo avevano ormai abbandonato, trovandosi così realmente isolata. Una vicinanza, quella tra l’oligarca e alcuni circoli politici influenti, che addirittura ha spinto alcuni giornalisti a paventare una richiesta d’asilo dell’ex uomo forte proprio alla Romania; indiscrezione poi smentita. L’impressione è comunque che la Romania non riesca a imporsi come attore importante nelle trattative che riguardano il futuro moldavo, venendo quasi sempre messa di fronte al fatto compiuto. L’inconsistenza strategica sul tema è una macchia in un quadro diplomatico che negli ultimi 20 anni è stato abbastanza roseo, con l’ingresso nella Nato, nell’UE e il rapporto sempre più stretto con Washington, che ha proprio nel paese carpatico il suo principale alleato nell’area del Mar Nero.

L’errore compiuto dalla classe dirigente attuale è, pur con tutte le differenziazioni del caso, lo stesso compiuto dai suoi antesignani di un secolo fa: ignorare la complessità della regione. Un’ignoranza che si unisce ad una mancanza di visione sul lungo periodo, e ad una convinzione che, ieri come oggi, non ha mai vacillato: a Bucarest tutti, chi più chi meno, credono che i moldavi vogliano ardentemente tornare a casa, in Romania, where they belong. Non era vero nel 1918, e non è vero neanche oggi. Sebbene non manchino in gli unionisti, il panorama dell’opinione pubblica è ben più frastagliato; c’è chi ritiene indispensabile un legame economico-culturale con la Russia, c’è chi vorrebbe tenere equidistanza, c’è chi è totalmente indifferente al tema. E anche all’interno della compagine unionista, siamo sicuri che questo afflato “romenista” non sia in realtà una ben più banale voglia di occidente, identificato con la Romania in virtù della sua appartenenza all’Unione Europea?

Il legame tra i due paesi resta innegabile, non fosse altro per una comunanza linguistica e culturale innegabile. Non è un caso che il primo capo di stato incontrato dalla premier moldava Maia Sandu dopo la fine della crisi istituzionale sia stato il presidente romeno Klaus Iohannis, al quale ha chiesto soprattutto di perorare la causa del nuovo esecutivo a Bruxelles. Richiesta alla quale Iohannis ha risposto affermativamente, da fratello maggiore. La strada per diventare partner strategico e attore tenuto in considerazione dalle grandi potenze sembra, tuttavia, ancora lunga.

[1] A. Basciani, Dificila Unire. Basarabia si Romania Mare 1918-1940, Cartier, Chișinău, 2018

Foto: Adevarul.ro

Chi è Francesco Magno

Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell'Europa orientale presso l'università di Trento. E' attualmente assegnista di ricerca presso la medesima università. E' stato research fellow presso il New Europe College di Bucharest e professore di storia dell'Europa orientale presso l'università di Messina. Si occupa principalmente di storia del sud-est europeo, con un focus specifico su Romania, Moldavia e Bulgaria.

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