Il 28 maggio scorso, mentre i paesi dell’Unione europea erano ancora alle prese con l’analisi delle elezioni, in Kosovo tornava a salire pericolosamente la tensione. Quasi a ricordare che il futuro dell’Unione non dipenderà solo dagli equilibri interni ma anche dalla capacità di gestire il difficile percorso di adesione dei suoi vicini balcanici.
Gli arresti
Motivo dell’ennesimo scontro tra Belgrado e Pristina è stato l’arresto da parte della polizia kosovara di 28 persone tra cui 19 poliziotti (11 serbi, 4 albanesi e 4 bosgnacchi), nella città a maggioranza serba di Nord Mitrovica.
Per il governo kosovaro, gli arresti non hanno nulla a che fare con questioni politiche ma rientrano in una normale operazione contro la corruzione. Per i serbi kosovari e il governo di Belgrado l’operazione rappresenta invece un esempio di persecuzione nei loro confronti. Questo ha scatenato una violenta reazione in tutta l’area con barricate e persino una sparatoria nella città di Zubin Potok.
Il governo serbo – su mandato del presidente Aleksandar Vucic – ha reagito mettendo in stato di allerta il proprio esercito, pronto ad intervenire nel caso in cui i cittadini arrestati non fossero stati rilasciati. Il rilascio è avvenuto in seguito ad una grande manifestazione nella città di Nord Mitrovica, stemperando così la tensione.
Il contesto generale
L’episodio si inserisce in un momento storico particolarmente delicato. Proprio mentre la polizia eseguiva gli arresti, a Belgrado il parlamento serbo presentava un rapporto sul Kosovo per discutere un piano d’azione alla luce degli eventi degli ultimi mesi. Piano d’azione che, al momento, non è chiaro quale sia: il presidente Aleksandar Vucic, cosciente di aver ormai perso il controllo del Kosovo, non ha ancora presentato nessuna reale proposta in grado di superare lo stallo. Da notare che alla seduta parlamentare ha partecipato anche Milan Radoicic, ricercato da Pristina con l’accusa di essere coinvolto nell’omicidio del leader del partito serbo kosovaro SDP Oliver Ivanovic.
Dall’altro lato, negli ultimi mesi il governo kosovaro guidato dal primo ministro Ramush Haradinaj ha adottato una serie di misure volte ad imporre de facto un nuovo equilibrio ad esso più favorevole. Ne sono esempi la decisione di dare vita ad un proprio esercito e l’applicazione di dazi al 100% per i beni prodotti in Serbia.
Le dichiarazioni
La situazione si è ulteriormente inasprita i giorni successivi agli arresti. Durante una conferenza stampa, la premier serba Ana Brnabic ha rilasciato una dichiarazione considerata chiaramente razzista, in cui denunciava di avere a che fare, in Kosovo, con “il peggior tipo di populisti, persone che sono letteralmente uscite dal bosco”. Nonostante le dure critiche, Brnabic ha ribadito di non dover chiedere scusa e di riferirsi esclusivamente ai leader politici kosovari.
Il 31 maggio, invece, il presidente kosovaro Hashim Thaci ha ulteriormente rincarato la dose dichiarando che se l’Ue non darà il via alla liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari il governo prenderà in considerazione la possibilità dell’unificazione con l’Albania. A questo ha aggiunto la sua totale contrarietà alla creazione della Associazione dei comuni a maggioranza serba nel nord del paese, prevista dall’accordo di Bruxelles del 2013, da lui stesso firmato.
La diplomazia al lavoro
Dopo il fallimento del summit di Berlino dello scorso 29 aprile, in cui la proposta di scambio di territori tra Serbia e Kosovo è stata accantonata, il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno convocato un nuovo vertice per il primo luglio a Parigi. I due leader auspicano che quel giorno le parti giungano al tavolo delle discussioni con uno spirito propositivo e dialogante.
In vista di quell’appuntamento si sono già svolti importanti incontri tra la diplomazia tedesca e i rappresentanti del governo kosovaro e della Srpska Lista, vincitrice delle recenti elezioni nei comuni a maggioranza serba del Kosovo, boicottate dal resto dei partiti serbi per paura di ritorsioni da parte di Belgrado. Giovedì scorso il premier Haradinaj ha incontrato la Merkel, proprio mentre i rappresentati serbi erano a colloquio con il responsabile del ministero degli esteri tedeschi per l’Europa sud-orientale Christian Hellbach.
Venerdì scorso, invece, Vucic e Thaci hanno avuto modo di discutere in occasione della conferenza Globsec di Bratislava. Mentre il presidente kosovaro ha espresso fiducia nella possibilità di giungere ad un accordo entro la fine dell’anno, Vucic si è detto invece piuttosto preoccupato per la situazione attuale, ribadendo che fino a quando non verranno eliminati i dazi imposti alle merci serbe non sarà possibile avviare nessuna trattativa seria. E per questo motivo potrebbe saltare proprio il meeting di Parigi, come dichiarato dallo stesso Vucic lunedì scorso in una sessione speciale del parlamento.
Sembra piuttosto difficile che dopo mesi di provocazioni reciproche i due riescano a trovare un punto di incontro al prossimo summit di Parigi, a meno di importanti concessioni reciproche. Ad oggi, purtroppo, questa prospettiva sembra alquanto lontana.
Foto: European Western Balkans