Nelle ben poco avvincenti elezioni europee in Croazia, il maggior partito della minoranza serba – il Partito democratico indipendente serbo (SDSS) – si è distinto con una campagna elettorale che ha scosso l’opinione pubblica con dei messaggi semplici quanto apparentemente rivoluzionari sull’eguaglianza tra popolazione maggioritaria e minoranze, e sulla tolleranza e la sicurezza da garantire a tutti i cittadini a dispetto dell’origine etnica.
Benché l’SDSS non abbia raggiunto la soglia di sbarramento per accedere a un seggio al parlamento europeo, grazie anche ai suoi detrattori, la campagna ha riscosso un considerevole successo mediatico, contribuendo ad aprire un dialogo su una delle questioni insolute del giovane stato croato: il rapporto tra le consistenti e secolari minoranze nazionali e una narrazione esclusivamente nazionalista delle fondamenta dello stato.
La campagna del Partito democratico indipendente serbo
L’avventura elettorale dell’SDSS, guidata al suo presidente Milorad Pupovac e dal noto accademico Dejan Jovic (entrambi serbi di Croazia), ha sfidato sin da subito la sedimentata narrazione sui rapporti tra serbi e croati. Gli slogan principali e della campagna “Znate li kako je biti Srbin u Hrvatskoj?” (“Sapete com’è essere serbi in Croazia?”), “Рођeн у Hrvatskoj” (“Nato in Croazia”) e “Jednaki” (“Uguali”), che accostavano nei cartelloni elettorali enormi bandiere croate e parole in cirillico erano tesi a creare un effetto di straniamento rispetto alla narrazione nazionalista che vede nella minoranza serba un nemico interno manovrato da Belgrado.
Dopo quasi 25 anni dalla fine della guerra in Croazia – originatesi proprio dalla contrapposizione tra la minoranza serba sostenuta e poi manovrata da Belgrado e la leadership secessionista croata – l’SDSS rivendica sia le insegne dello stato croato che l’alfabeto cirillico per sottolineare l’esistenza stessa della minoranza serba e il suo primario attaccamento al territorio in cui vive. Sin dalla sua formazione nel 1997, il Partito democratico indipendente serbo punta a mettersi alle spalle il passato e a rappresentare la minoranza serba come parte integrante dello stato croato, conservando però la propria identità e diversità.
Nelle parole di Dejan Jovic: “La Croazia è la nostra patria. Non siamo né occupanti, né aggressori, né ospiti. Non vogliamo lasciarla e vogliamo invece restarci come popolo, con i nostri cognomi e la nostra identità. Dalla Croazia ci aspettiamo che essa ci tratti come suoi figli, come suoi cittadini, uguali nei diritti e nei doveri”.
L’obbiettivo dell’SDSS non è stato pero’ di riferirsi alla sola minoranza serba, ma di presentarsi come partito civico con un messaggio a favore di tolleranza, eguaglianza e diritti per tutti. Nelle parole dei candidati, “Essere serbi in Croazia è una metafora” che vuole rappresentare tutte quelle minoranze stigmatizzate, ignorate e escluse dal dibattito pubblico nel paese.
Le reazioni alla campagna dell’SDSS
Data l’importanza che ancora oggi riveste nella politica croata la guerra degli anni ’90 come momento fondante dello stato, la campagna dell’SDSS ha attirato da subito curiosità, sostegno, critiche e minacce. Sin da subito, i cartelloni elettorali dell’SDSS sono stati presi di mira, strappati e vandalizzati dai gruppi nazionalisti croati, con la simbologia ustascia o frasi che richiamavano ai momenti più crudi della guerra quali “Ubi Srbin” (“Uccidi il Serbo”) o “Palite traktore” (“Accendete i trattori”).
In particolare, con l’invito ad “accendere i trattori” i gruppi nazionalisti si riferiscono al grande esodo di più di 250.000 serbi di Croazia dalla regione secessionista della Krajina nell’agosto 1995. Quando, a seguito della riconquista di quei territori da parte delle forze croate nell’operazione Oluja, la minoranza serba che vi viveva da secoli fu “incoraggiata” dalle minacce di violenza ad abbandonare proprietà e abitazioni, ad accendere i trattori, e a dirigersi verso Belgrado. A seguito della guerra, il numero dei serbi di Croazia scese dalle 581.000 unità del 1991 – uguale a circa il 13% della popolazione totale della repubblica croata – alle 186.000 del 2011 – più del 4% della popolazione totale.
Gli attivisti e i candidati del Partito democratico indipendente serbo non si sono fatti intimorire dalle minacce dei nazionalisti croati, e hanno risposto con coraggio e ironia. Il presidente dell’SDSS Milorad Pupovac si è fatto fotografare su un trattore dichiarando di essere disposto a guidarlo, non verso Belgrado, ma “nella direzione opposta, fino a Bruxelles”. Mentre, sui diversi cartelloni vandalizzati è stato affisso un messaggio: “Хвала Вам što ste uništavali plakate. Bili ste dio naše kampanje!” (“Grazie a voi per aver distrutto i cartelloni. Ora siete diventati parte della nostra campagna”), a sottolineare come le minacce avessero contribuito alla campagna, sostanziando le denunce di intolleranza, ineguaglianza e insicurezza.
Oltre alle minacce, la campagna elettorale dell’SDSS ha raccolto anche tanti messaggi di sostegno. Tra gli altri, a favore dell’SDSS, di una Croazia più tollerante, e di una maggiore inclusione della minoranza serba nella vita pubblica croata si sono spesi Ciro Blazevic, il noto allenatore della nazionale croata che arrivò terza ai mondiali del ’98, Stjepan Mesic, secondo presidente della Repubblica di Croazia dal 2000 al 2010, e il popolare attore croato Igor Galo.
Aprire un dialogo sull’esistenza della minoranza serba in Croazia
Il 26 maggio scorso alle urne si sono recati circa 1 milione e 104 mila elettori, per un’affluenza pari a solo il 29,86%. Tra questi, 28.597 elettori hanno votato per il Partito democratico indipendente serbo, il 2,66% degli elettori totali: un buon risultato, ma comunque lontano dalla soglia di sbarramento del 5%. Nelle regioni tradizionalmente abitate dalla minoranza serba, come la Lika, la Krajina e le regioni orientali di Vukovar e Osijek, l’SDSS ha toccato punte del 10-12%.
Benché non sia riuscito a valicare lo steccato del partito etnico, l’SDSS è comunque riuscito a portare in superficie la situazione di esclusione e intolleranza in cui versa la minoranza serba di Croazia. La campagna elettorale dell’SDSS segue di qualche mese l’uscita del documentario “Srbenka”, che racconta la storia di alcuni serbi di Croazia nati dopo o durante la guerra, e cresciuti in età infantile all’oscuro delle proprie origini da parte dei genitori.
Più di vent’anni dopo, la scelta coraggiosa dell’SDSS di esporsi, a dispetto delle intimidazioni, in una campagna elettorale che sottolineava apertamente l’esistenza di una minoranza serba in Croazia, è tutta tesa a mostrare come l’unico modo per rivendicare diritti e eguaglianza sia di mostrarsi alla luce del sole piuttosto che di confondersi tra la maggioranza della popolazione.