Le elezioni semilibere del 4 giugno 1989 in Polonia, frutto di un poderoso lavoro di concertazione e dialogo, non arrivarono come un fulmine a ciel sereno, ma sicuramente rappresentarono uno stravolgimento radicale all’interno di una società avvezza a consultazioni blindate e a una democrazia imbavagliata.
L’evento passò, tuttavia, in secondo piano all’estero perché in quegli stessi giorni l’attenzione dei media internazionali era rivolta a Pechino, in Piazza Tienanmen. Dopo quasi due mesi di contestazione alla leadership comunista da parte di studenti, intellettuali e operai, proprio nella notte fra il 3 e il 4 giugno la protesta fu repressa nel sangue dall’esercito popolare di liberazione, che provocò migliaia di vittime, il cui numero complessivo è ancora ignoto. Con gli occhi puntati sulla Cina, la schiacciante vittoria di Solidarność alle elezioni non ebbe l’attenzione dovuta, ma rappresentò ugualmente un evento epocale che innescò un sommovimento silenzioso quanto irreversibile conclusosi con l’abbattimento del Muro di Berlino, il 9 novembre, e con le transizioni verso la democrazia negli altri paesi dell’Europa centro-orientale.
Le elezioni polacche rappresentarono la felice conclusione di un lungo cammino di dissenso e opposizione, sorto con la morte di Stalin nel 1953 e le denunce di Chruščëv alla sua politica durante il XX Congresso del Pcus nel 1956, ma che ebbe un’improvvisa accelerazione tra il 1988 e il 1989. Durante il XIX Congresso del Partito, nell’estate del 1988, Michail Gorbačëv sancì formalmente la rinuncia all’inferenza negli affari interni dei paesi del Blocco sovietico e, il 7 dicembre, di fronte all’Assemblea dell’Onu, annunciò il ritiro di truppe e mezzi militari dagli stati satelliti.
In questo clima di rinnovamento, che coincise con la ripresa degli scioperi in Polonia, il 6 febbraio 1989 si aprì a Varsavia, presso la sede del Consiglio dei ministri, una lunga discussione che verrà ricordata come la trattativa della Tavola Rotonda per via dell’enorme tavola, attorno alla quale si sedettero esponenti delle istituzioni al potere, della Chiesa e dell’opposizione. I lavori, aperti dopo mesi di trattative segrete fra la parti, affrontarono tre grandi temi: riforma politica, pluralismo sindacale e partitico, obiettivi economici e sociali; presiedettero i dibattiti Lech Wałęsa e Czesław Kiszczak, ministro degli Interni. Fra i rappresentanti di Solidarność presenti al prestigioso tavolo, ciascuno con una propria storia di lotte sindacali, detenzione, isolamento, vi furono nomi di grande rilievo: Tadeusz Mazowiecki, futuro primo ministro, Marek Edelman, unico comandante sopravvissuto all’Insurrezione del Ghetto di Varsavia nel 1943, Jacek Kuroń e Adam Michnik, fondatori nel 1976 del Kor, il Comitato di difesa degli operai.
Le discussioni furono accese e spesso ostiche, con riserve soprattutto da parte governativa, riluttante a cedere parte del proprio potere e assecondare le richieste di pluralismo. Tuttavia si conclusero in maniera del tutto positiva il 5 aprile con la sottoscrizione di un accordo storico: dopo nove anni di illegittimità Solidarność tornava a essere legale – la registrazione ufficiale avvenne il 16 a Varsavia –, fu istituito il Senato e fu introdotta la carica di Presidente della Repubblica in sostituzione di quella di Segretario generale del Partito. Alla denominazione di Repubblica Popolare di Polonia fu tolto l’aggettivo “popolare” quale chiara presa di distanza dall’eredità sovietica. Si stabilirono, infine, le regole delle elezioni indette per inizio giugno: al Sejm, la Camera dei Deputati, il 65% dei seggi fu assicurato ai comunisti, mentre al Senato non furono imposti vincoli. Per la Presidenza della Repubblica fu concessa la sola candidatura di Wojciech Jaruzelski.
Tra aprile e maggio la Polonia si trovò in una inedita e irripetibile congiuntura che le permise non solo di determinare il proprio destino, ma anche di influenzare quello dei paesi fratelli. Infatti, pur trattandosi di elezioni parzialmente libere, aprivano uno scenario di libertà, cui i polacchi erano poco avvezzi, ma che non intendevano sprecare nel nuovo clima di ebbrezza collettiva. Wałęsa concentrò ogni sforzo per recuperare consenso presso i suoi concittadini, a partire da quei dieci milioni di lavoratori che, fra il 1980 e il 1981, si erano iscritti a Solidarność.
La campagna elettorale si svolse fra entusiasmi e incertezze: il regime era ancora in vigore e, nonostante le notevoli aperture, l’esito delle elezioni rimaneva incerto. Per questo la diffusione di volantini e manifesti elettorali non fu così capillare, ma la creatività degli autori dei testi, di grafici e disegnatori raggiunse livelli molto alti.
In maggio, Adam Michnik fondò la «Gazeta Wyborcza», la gazzetta elettorale, nata, come rivela il nome, per le imminenti votazioni, ma che ancora oggi è uno dei principali quotidiani in Polonia. La macchina per la campagna elettorale a favore di Solidarność si mise in moto molto in fretta, cercando di sfruttare tutte le suggestioni più care ai polacchi.
Da sempre il cinema americano aveva esercitato presso molti di loro un fascino particolare. Da qui l’intuizione del grafico Tomasz Sarnecki che riprese per un volantino l’immagine di Gary Cooper nei panni del protagonista di Mezzogiorno di fuoco. Oltre al fotogramma, riportava la scritta di Solidarność in alto e sopra la stella da sceriffo dell’attore, nella mano destra, a coprire la pistola, un foglio con la scritta wybory (elezioni), quindi il titolo del film, che nella versione polacca suona solamente come A mezzogiorno e, infine, la data delle elezioni. In breve divenne il simbolo più vivo della ritrovata democrazia, trasformandosi, in maniera del tutto inaspettata, in un’icona del Novecento. Nel 2010 fu addirittura esposto al Moma di New York per la mostra Polish Posters.
A pochi, però, è noto che le copie del volantino furono stampate a Modena dalla tipografia Coptip, legata a una cooperativa finanziata dal Partito comunista italiano, che offrì buone condizioni economiche e tempi rapidi. I dipendenti vi lavorarono assiduamente con passione. Tutti, ancora oggi orgogliosi del lavoro svolto, ne rimasero coinvolti da un punto di vista emotivo e ideale. La solidarietà internazionale fra lavoratori prevalse sulle convinzioni ideologiche che stavano, in ogni caso, frantumandosi ineluttabilmente.
I risultati elettorali furono forse prevedibili, ma certamente entusiasmanti per quanti avevano lottato per il pluralismo, la libertà e il consolidamento delle istituzioni democratiche appena riconquistate. Al Sejm Solidarność ottenne l’intera percentuale disponibile e al Senato raggiunse il 99% dei seggi. Jaruzelski fu eletto dalle Camere unite presidente della Repubblica per un solo voto di differenza.
Dopo un lungo e articolato dibattito parlamentare, alle 13.09 del 24 agosto 1989, Tadeusz Mazowiecki, di formazione saggista e giornalista, fu eletto primo presidente del Consiglio non comunista dalla fine della guerra. Sulla sua candidatura vi fu la convergenza non solo dei suoi sostenitori, ma anche del partito contadino Zsl, dei 27 deputati del gruppo democratico Sd e di 23 esponenti delle formazioni cristiano-marxiste Pax, Uchs e Pzks, già militanti nella precedente coalizione di regime. Solo 37 deputati su 460 risultarono assenti.