Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha posto l’esercito in stato d’allerta dopo che nella giornata di martedì la polizia kosovara ha compiuto una serie di arresti – per la maggior parte poliziotti – nel nord del Kosovo, area a maggioranza serba del paese.
Lotta al crimine o ritorsioni etniche?
Per Pristina, l’operazione è da inserirsi nel quadro della lotta alla criminalità organizzata, senza distinzioni etniche: tra gli arrestati risultano difatti 11 serbi, 4 albanesi e 4 bosgnacchi, appartenenti alle forze di polizia kosovare. Per Belgrado, però, si tratta di un’inaccettabile provocazione ai danni della minoranza serba in Kosovo. Una parte della comunità locale non ha esitato a opporsi all’arrivo della polizia: nel villaggio di Zubin Potok, gruppi di cittadini hanno eretto barricate e dato fuoco a pneumatici per impedire il passaggio alle forze dell’ordine. Quattro poliziotti sono rimasti feriti negli scontri.
Tra gli arrestati, anche un funzionario dell’UNMIK, la missione ONU in Kosovo. Si tratta di un cittadino russo, che secondo i kosovari avrebbe finto di essere un diplomatico per bloccare l’operazione di polizia. Dopo che l’UNMIK ha espresso preoccupazione per la sorte del suo funzionario, il russo è stato rilasciato, mentre le organizzazioni internazionali presenti in Kosovo invitavano la popolazione alla calma. Mosca, storica alleata di Belgrado, non ha mancato di esprimere la sua indignazione. La portavoce del Cremlino Maria Zakharova ha definito l’accaduto una provocazione.
Contrabbando e illegalità nel nord del Kosovo
Dal Kosovo, il primo ministro Ramush Haradinaj e il ministro degli esteri Behgjet Pacolli hanno accusato la Serbia di esagerare i fatti a fini politici, sostenendo che l’operazione non avesse come obiettivo i serbi, quanto la criminalità organizzata e le sue infiltrazioni tra le forze di polizia.
Il nord del Kosovo, a maggioranza serba, rifiuta il controllo di Pristina. Nella regione la criminalità organizzata è piuttosto diffusa, anche grazie al confine molto poroso, che consente ai criminali locali di cercare rifugio in territorio serbo. Il contrabbando è in continua crescita dal novembre scorso, quando Pristina ha aumentato i dazi doganali per i prodotti provenienti dalla Serbia. Quest’ultima, a undici anni dalla dichiarazione unilaterale del Kosovo, non ne ha ancora riconosciuto l’indipendenza.
Immagine: Al Jazeera