Gay Pride

BOSNIA: Il Gay Pride a Sarajevo, tra speranze e pregiudizi

La Bosnia Erzegovina avrà il suo Gay Pride: sarà l’8 settembre e sarà, soprattutto, il primo nella storia del paese. La Bosnia si allinea così agli altri paesi balcanici, ultimo in ordine di tempo il Kosovo, dove la prima marcia si è svolta nell’ottobre del 2017. L’annuncio, però, ha già innescato reazioni polemiche, che hanno messo in luce i profondi pregiudizi presenti nella società bosniaca.

Le reazioni e le polemiche

A seguito dell’annuncio che l’8 settembre Sarajevo ospiterà la prima parata per i diritti delle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender) della storia del paese, le reazioni non hanno tardato ad arrivare assumendo, spesso, toni negativi se non addirittura apertamente polemici. Il Partito d’Azione Democratica (Stranka Demokratske Akcije – SDA), attualmente al governo e maggioranza in Bosnia Erzegovina, pur dicendosi fautore del superamento di ogni forma di disparità, ha espresso l’auspicio che gli organizzatori “desistano” dal proprio intento al fine di “non creare confusione tra i cittadini della capitale”, dicendosi certo che le marce pubbliche altro non farebbero se non “allargare il divario tra persone con diverse sensibilità senza apportare alcun beneficio per il raggiungimento dei pari diritti”. Fuori dall’ipocrisia dei comunicati ufficiali, la deputata dell’SDA, Samra Cosovic-Hajdarevic, ha definito “terribile” l’idea della marcia, augurandosi che “queste persone siano isolate e spostate il più lontano possibile dai nostri figli e dalla società”.

Una posizione dichiaratamente favorevole allo svolgimento del Gay Pride è arrivata, invece, da Dragan Covic, leader dell’Unione Democratica Croata di Bosnia Erzegovina (HDZ BiH) e attuale membro croato della presidenza di Bosnia Erzegovina, che si è detto “sostenitore di qualunque diversità”. Analogo punto di vista è stato espresso da Dunja Mijatovic, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, lei stessa bosniaca: in un messaggio scritto, la Mijatovic si è detta “costernata dalle reazioni negative” e ha esortato le autorità locali a garantire le condizioni necessarie per mantenere l’orgoglio gay “in un’atmosfera pacifica e dignitosa”, ricordando che “le persone LGBT sono parte integrante di tutte le società”.

I problemi della comunità LGTB: tra percezione e stato di fatto

La necessità di aprire una seria discussione sul tema è implicitamente dimostrata dai risultati di uno studio condotto a cura dello United Nations Development Program (UNDP) e sintetizzati nel rapporto “Being LGTBI in Eastern Europe: Reducing Inequalities and Exclusion (…) in Bosnia Erzegovina” pubblicato nel 2017. In esso emerge che vi è chiara dicotomia tra la percezione comune dei problemi che affliggono la comunità LGBT in Bosnia e le condizioni di vita reale delle persone che appartengono a tale comunità.

Solo un bosniaco su tre ritiene, ad esempio, che le persone LGBT siano esposte ad una qualche forma di violenza psicologica o verbale, a fronte di un dato che indica quanto tale fenomeno sia invece più diffuso, coinvolgendo oltre il 70% degli individui. Analogamente, mentre più della metà delle persone LGBT lamentano di essere state oggetto, a vario titolo, di discriminazioni (sul posto di lavoro, in ambito sociale e, persino nel proprio contesto familiare), solo il 23% dei bosniaci riconoscono l’esistenza di un problema di questa natura. E ancora: quasi il 60% dei bosniaci reputa che essere gay sia una malattia e la metà di essi è convinta che questa “condizione” non potrebbe verificarsi in una “famiglia normale”.

Visto in quest’ottica il prossimo Gay Pride esce dalla prospettiva della mera rappresentazione simbolica per assumere quello della necessaria rivendicazione di un diritto, ancora oggi, parzialmente negato: ovvero considerare la comunità LGBT come parte integrante della società bosniaca. L’esito della manifestazione dipenderà dalla risposta della società civile e da quella delle singole persone, nonché dal coinvolgimento che l’iniziativa riuscirà ad attrarre su di se. Risposta e coinvolgimento che saranno la cartina di tornasole della situazione nel paese, e daranno il polso della situazione di quanto è stato fatto e, soprattutto, di quanto rimane da fare per il raggiungimento di una concreta parità di genere.

Il quadro normativo

Negli ultimi vent’anni la società bosniaca ha portato avanti una serie di iniziative legislative finalizzate al superamento delle disparità, prima tra tutte l’abolizione, nel 1998, della legge che criminalizzava l’omosessualità, seguita nel 2003, dalla promulgazione di una norma sull’uguaglianza di genere con la quale viene vietata ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale. E’ solo del 2009, tuttavia, una legge “sulla proibizione di discriminazione” in tutti i campi della vita pubblica, inclusi l’educazione, l’impiego, la salute e la protezione sociale.

Superare la diffidenza

Ciononostante in Bosnia persiste un clima di diffidenza se non, addirittura, di aperta ostilità verso gli omosessuali, come confermato da Vladana Vasic, avvocatessa impegnata nella difesa della comunità LGBT e membro del comitato organizzatore. Una diffidenza e un’ostilità che, nel sentimento popolare, risulta essere seconda solo a quella che coinvolge la comunità Rom e che induce oltre l’80% dei bosniaci a “non supportare” la marcia, se non addirittura a dichiararsi apertamente contrari (i due terzi dei bosniaci secondo un recente sondaggio condotto da TV N1).

Lo slogan scelto dagli organizzatori “la porta per favore” (“Door, please!”) evoca la necessità delle persone LGBT di fare coming out, aprendo la porta del proprio armadio. Ma a pochi mesi dall’evento il clima appare quanto mai incerto e per nulla scontato che, alla fine, quel motto saprà prevalere sul pregiudizio e sull’indifferenza.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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