Il 5 aprile scorso il parlamento della repubblica de facto dell’Abcasia ha approvato una legge che prevede la pena di morte o l’ergastolo con confisca dei beni per chi si renda colpevole di traffico di droga su vasta scala. La nuova legge, che entrerà in vigore a partire dal 1 gennaio 2020, stabilisce anche l’impossibilità per i condannati di chiedere la grazia.
Una decisione preoccupante sul piano dei diritti umani (la cui situazione nel territorio de facto è già precaria), ma che va incontro alle richieste cittadine di misure più severe contro il traffico e il consumo di droga.
Pena di morte e diritti umani in uno stato de facto
Tra i paesi dello spazio post-sovietico, la pena capitale è ancora in vigore solamente in Bielorussia. In tutte le altre ex-repubbliche sovietiche, questa è stata ufficialmente abolita o sospesa attraverso una moratoria (come nel caso di Russia, Kazakistan e Tajikistan). Tra le repubbliche de facto post-sovietiche, la pena capitale è stata abolita nel 2003 in Nagorno-Karabakh, mentre una moratoria è in vigore in Ossezia del Sud, Abcasia e Transnistria. In Abcasia, la moratoria era stata ufficialmente adottata nel 2007, ma la pena di morte non viene più praticata già dal 1993.
Come scrivevamo qui, in Bielorussia le esecuzioni continuano ancora oggi (sono state almeno 4 nel 2018), in piena violazione del diritto alla vita e in condizioni degradanti e inumane per i condannati, ma nell’indifferenza quasi totale dell’opinione pubblica. Lo status non riconosciuto della repubblica separatista dell’Abcasia, che all’inizio degli anni novanta si è autoproclamata indipendente dalla Georgia con il sostegno di Mosca, lascia prevedere un disinteresse ancora maggiore nel caso in cui la nuova legge dovesse veramente essere applicata a partire dal prossimo anno.
Le informazioni sui diritti umani in Abcasia sono infatti molto limitate (il dettagliato rapporto pubblicato nel luglio 2017 dagli esperti Thomas Hammarberg e Magdalena Grono è una delle rare fonti di riferimento). Lo stesso monitoraggio della situazione dei diritti e delle libertà fondamentali nel paese rimane un compito praticamente impossibile da svolgere sia per gli osservatori indipendenti che per le organizzazioni internazionali, date le restrizioni fisiche legate all’ingresso nel territorio della repubblica de facto.
Le conseguenze del conflitto
L’abuso di droga e il narcotraffico sono dei problemi molto importanti per la società abcasa. Già da diversi anni gli abitanti della repubblica de facto hanno lanciato una campagna con lo slogan “Abcasia senza droghe” per attirare l’attenzione su una problematica che avrebbe raggiunto “livelli allarmanti”. Durante alcune proteste tenutesi nell’ottobre 2017, i cittadini abcasi avevano chiesto al governo di rinforzare la lotta alle droghe per “salvare le generazioni future”. Già allora il presidente abcaso Raul Khajimba si era detto favorevole alla pena di morte per reati legati allo spaccio. Ma è proprio con l’inasprimento delle pene, fino alla reintroduzione della pena capitale, che l’Abcasia troverà una soluzione al problema?
La risposta, ovviamente, è no – e non solo per considerazioni legate ai diritti umani: il traffico di droga e la tossicodipendenza sono infatti conseguenze del conflitto protratto che da oltre 25 anni affligge l’Abcasia. A causa del suo status non riconosciuto dal diritto internazionale, l’Abcasia – come altri territori contesi dello spazio post-sovietico – è diventata un zona grigia in cui traffici illegali di qualsiasi tipo possono fiorire con facilità. La maggior parte della droga venduta in Abcasia sarebbe importata da Soči, porto russo sul Mar Nero, e il business del narcotraffico sarebbe molto lucrativo – visto anche l’alto tasso di corruzione presente nel paese. Invece di scoraggiare il narcotraffico, un inasprimento delle pene rischia in realtà di rinforzare ulteriormente gli schemi di corruzione già presenti negli organismi doganali, investigativi e giudiziari. Per sfuggire all’ergastolo o alla pena di morte, basterà forse pagare di più.
Inoltre, alla disponibilità dei traffici si affiancano delle problematiche di tipo sociale, anch’esse conseguenza del conflitto: lo stato di precarietà generato dal protrarsi della guerra, l’isolamento della popolazione e la mancanza di prospettive (l’emigrazione dei giovani dall’Abcasia – principalmente verso la Russia – è in costante crescita) fanno sì che un numero sempre crescente di cittadini abcasi trovi occupazione o consolazione nella droga. Come riportato da DF Watch, secondo fonti locali il numero di tossicodipendenti aumenterebbe di 200 persone ogni anno.
Sebbene un’istituzione specializzata nell’ambito della tossicodipendenza sia stata aperta a Sukhumi (la capitale abcasa), questa avrebbe bisogno di ulteriori risorse tecnologiche e umane per riuscire ad affrontare questi problemi su più vasta scala, e soprattutto dal punto di vista della prevenzione. Risorse che per ora non sembrano essere nella lista delle priorità del governo de facto, convinto invece che il “pugno di ferro” contro lo spaccio sia la soluzione migliore per quello che in realtà è un disagio più strutturale e profondo.
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Immagine: Okan Iscan (Abkhazworld)