ROMANIA: La visita del papa in un focolare ortodosso

Il 31 maggio prossimo papa Francesco arriverà in Romania per una visita di tre giorni. Dopo un pranzo di benvenuto nel palazzo presidenziale insieme al presidente Klaus Iohannis e alla premier Viorica Dancila, il pontefice incontrerà il patriarca della chiesa ortodossa romena Daniel, e successivamente celebrerà messa nella cattedrale cattolica di San Giuseppe. Nei due giorni successivi Francesco si recherà a Miercurea Ciuc (nella regione a maggioranza seclera) e a Blaj, dove procederà alla beatificazione di sette vescovi greco-cattolici morti durante le persecuzioni comuniste. Francesco è il secondo pontefice a visitare la Romania, dopo Giovanni Paolo II nel 1999.

La Romania: un mare ortodosso

Più del 90% dei romeni si dichiara ortodosso. L’ortodossia in Romania, tuttavia, non è una questione confinabile alla sfera religioso-privata. Al contrario, essa è da sempre parte integrante del discorso pubblico, vista come uno degli elementi chiave che caratterizzano l’identità romena; una commistione, quella tra confessione ortodossa e identità nazionale, abbracciata da movimenti e partiti politici che nel corso della storia si sono posti agli estremi dello spettro politico. Non è un caso che i fascisti romeni avessero in San Michele arcangelo il loro simbolo principale.  Oggi è spesso il partito social-democratico (PSD), erede del vecchio partito comunista, a farsi portatore di posizioni politiche vicine a quelle della chiesa ortodossa, e a definire l’ortodossia come uno degli elementi cardine dell’identità romena. Forse anche per questo papa Francesco non passerà molto tempo a Bucarest, spostandosi quasi subito in Transilvania, dove al contrario il cattolicesimo (nelle sue diverse forme) ha costituito e costituisce tutt’oggi un elemento fondamentale nella vita delle persone che abitano la regione. 

La visita nella terra dei secleri

Sabato 1 giugno il pontefice si recherà a Miercurea Ciuc, cittadina di circa 40.000 abitanti che sorge nella cosiddetta “terra dei secleri”, una popolazione di lingua ungherese a maggioranza cattolica che abita da secoli la regione. A Miercurea Ciuc più dell’80% della popolazione è composto da secleri, e l’ungherese gode dello status di lingua ufficiale insieme al romeno. Si tratta di un’area da sempre al centro di roventi polemiche politiche, a causa delle reiterate richieste di maggiore autonomia amministrativa da parte della popolazione locale, prontamente negate da Bucarest. I romeni temono che le richieste dei secleri possano prima o poi sfociare in vere e proprie istanze secessioniste, tanto da creare una vera e propria psicosi collettiva. Proprio il mese scorso il principale quotidiano romeno ha diffuso la fake news riguardante l’arrivo di Viktor Orban a Miercurea Ciuc proprio in occasione della visita di papa Francesco. Un articolo che ha suscitato aspre reazioni da parte di analisti e lettori, indignati per l’arrivo del leader straniero sul territorio romeno in occasione di un evento così importante. La notizia è stata prontamente smentita dal portavoce di Orban nelle ore successive. In ogni caso a Miercurea Ciuc, ad oggi, non risulta annunciata la presenza neanche di alti rappresentanti istituzionali romeni: né il presidente Iohannis, né esponenti del governo. Un’assenza che dice molto più di mille parole. 

I greco-cattolici e il loro ruolo nella storia romena

Il 2 giugno Francesco si sposterà a Blaj, dove terrà una messa all’aperto nel suggestivo scenario del Campo della Libertà. Blaj è un piccolo centro della Transilvania centrale, sede della metropolia greco-cattolica. La regione ospita infatti una cospicua comunità greco-cattolica, o uniate, che affonda le sue origini addirittura al 1700. All’inizio del XVIII secolo l’impero asburgico, che aveva appena riconquistato il controllo sulla Transilvania dopo la parentesi ottomana, desiderava controbilanciare il peso della forte nobiltà ungherese protestante, e propose alla popolazione romena (ortodossa) di abbracciare il cattolicesimo mantenendo il rito orientale. Vienna avrebbe così portato avanti la sua attività centralizzatrice anche attraverso le chiese, mentre i romeni potevano sperare di ottenere così un miglioramento della loro condizione sociale rispetto agli ungheresi e ai tedeschi cattolici o protestanti, che godevano dei pieni diritti politici. Attraverso la chiesa greco-cattolica idee illuministe giunsero fino alla “remota” Transilvania; gli Asburgo infatti offrivano spesso la possibilità a preti e seminaristi di perfezionare la loro preparazione teologica nella capitale dell’impero, dove essi venivano a contatto per la prima volta con concetti come “l’eguaglianza naturale degli esseri umani” o con l’idea del “contratto sociale” come garanzia universale di diritti. Tornati in Transilvania questi preti adattavano quanto appreso in Austria alle condizioni locali: l’eguaglianza di tutti gli uomini si trasformava così in un’uguaglianza tra “nazioni”, diventando quindi base delle rivendicazioni dei romeni, fino ad allora sottomessi e bistrattati. Non è un caso che in Transilvania i più importanti difensori dei diritti dei romeni nel XIX e XX secolo fossero tutti greco-cattolici. 

La beatificazione dei vescovi martiri

Proprio a Blaj avverrà la beatificazione di sette vescovi greco-cattolici uccisi dal regime comunista: si tratta di Valeriu Traian Frentiu, Ioan Suciu, Titu Liviu Chinezu, Ioan Balan, Alexandru Rusu, Vasile Aftenie e Iuliu Hossu. Tutti morirono o in carcere o agli arresti domiciliari, alcuni (come Chinezu) a seguito di atroci sofferenze. Il regime comunista romeno nel 1948 aveva sciolto per decreto la chiesa greco-cattolica, invitando più o meno forzatamente i suoi fedeli ad aderire a quella ortodossa, l’unica tollerata. La chiesa ortodossa, autocefala, era molto più malleabile e disposta a scendere a patti con le autorità, specialmente dopo la nomina a patriarca di Giustiniano, passato alla storia come “il patriarca rosso”.  Inoltre, risultava problematico inimicarsi buona parte della popolazione che continuava a professarsi orgogliosamente ortodossa. I comunisti non sopportavano l’idea di un’istituzione, come la chiesa greco-cattolica, che rispondesse a un’autorità esterna tanto potente quale il Vaticano. Per questo ne decretarono lo scioglimento e arrestarono tutti quei prelati che continuavano a rifiutare la conversione all’ortodossia. Tutte le proprietà della chiesa greco-cattolica vennero confiscate: la sede della metropolia a Blaj passò sotto il controllo dello stato, mentre le piccole chiese locali vennero acquisite dalla Chiesa ortodossa romena. I romano-cattolici evitarono la conversione forzata ma furono costretti a interrompere ogni rapporto e relazione con il Vaticano. La visita di papa Francesco riaccende la memoria su una pagina spesso dimenticata nella storia del Novecento europeo.

Foto: Cotidianul.ro

 

 

Chi è Francesco Magno

Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell'Europa orientale presso l'università di Trento. E' attualmente assegnista di ricerca presso la medesima università. E' stato research fellow presso il New Europe College di Bucharest e professore di storia dell'Europa orientale presso l'università di Messina. Si occupa principalmente di storia del sud-est europeo, con un focus specifico su Romania, Moldavia e Bulgaria.

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