La vittoria di Zuzana Čaputová nel ballottaggio presidenziale dello scorso fine settimana ha consegnato alla storia la prima donna presidente della Slovacchia. Con il 58% dei voti validi, l’avvocatessa si è imposta sul candidato socialdemocratico Maroš Šefčovič. Un risultato all’apparenza memorabile, salutato da molti come un cambio di passo nella politica interna slovacca e forse nell’intero assetto governativo dell’Europa di Visegrád.
L’esito proveniente delle urne sembra figlio di una protesta antigovernativa più che di un cambiamento in senso progressista della società slovacca. Un chiaro segnale di allarme per il governo e per il partito socialdemocratico guidato dall’ex premier Robert Fico.
Le reali proporzioni della vittoria
Per capire meglio le proporzioni del risultato e i motivi che hanno portato alla vittoria di un profilo liberale come quello di Čaputová è necessaria un’analisi dettagliata del contesto elettorale slovacco. Innanzitutto, il presidente uscente Andrej Kiska condivide un identkit politico molto simile a quello di Čaputová, avendone sostenuto anche la candidatura. Al palazzo presidenziale di Bratislava non vedremo quindi nell’avvocatessa una novità politica in termini assoluti. Più continuità che cambiamento.
L’affluenza in questa tornata di ballottaggio si è fermata al 41%, in calo rispetto al 48% del primo turno e in netta controtendenza alle presidenziali di cinque anni fa, quando al secondo turno andarono a votare molti più elettori rispetto al primo. Čaputová ha raccolto la preferenza di un milione di slovacchi sui circa quattro milioni e mezzo di cittadini aventi diritto di voto. Numeri certamente rilevanti ma non eccezionali (Kiska nel 2014 raccolse oltre un milione e trecentomila voti).
Come prevedibile, numerosi elettori slovacchi con pulsioni politiche vicine alla destra hanno preferito astenersi piuttosto che scegliere tra un candidato progressista e il candidato socialdemocratico dell’ex premier Robert Fico. A Čaputová è perciò bastato riconfermare il bottino di voti ottenuti al primo turno, pescando qualche preferenza tra i candidati minori e mettendo al sicuro la vittoria grazie al piuttosto sorprendente appoggio del partito di governo della minoranza ungherese, sempre abile a negoziare politicamente gli interessi dei suoi allogeni.
La disfatta di Fico
Se la vittoria di Čaputová non è sentore di una società divenuta improvvisamente liberale e progressista, la sconfitta di Šefčovič è certamente la disfatta dell’ex premier Robert Fico, ulteriore segno che la Slovacchia è stanca della reggenza del vero mattatore della politica interna del paese. Il movimento di protesta che dai primi mesi del 2018 ha riempito le piazze di tutto il paese domandando trasparenza, verità e giustizia contro la corruzione e il malgoverno, si è riversato nelle urne per votare contro l’odiato partito socialdemocratico. A Čaputová va il merito di aver saputo raccogliere questa richiesta “per una Slovacchia decente”, a Fico la responsabilità di averla ignorata.
Le avvisaglie per una disfatta socialdemocratica vi erano tutte. Dopo la lunga ricerca per un candidato che accettasse di correre alla presidenza, il nome di Maroš Šefčovič, commissario europeo per l’energia, era sembrato un profilo adatto perché abbastanza lontano dalle trame del partito, ma non aveva acceso gli entusiasmi nemmeno tra i fedeli socialdemocratici. Šefčovič non si è comportato male: è arrivato al ballottaggio e ha aumentato le preferenze rispetto al primo turno, ma non è riuscito a distaccare la sua immagine da quella ben più ingombrante del leader del suo partito.
Il commissario europeo ha conquistato un numero maggiore di città rispetto a Čaputová, perdendo però tutti i duelli nei principali centri urbani – in Slovacchia nell’ordine dei cinquantamila abitanti – che hanno dimostrato nuovamente la loro tendenza verso il voto progressista e liberale. Šefčovič ha vinto invece nelle aree rurali, dove la popolazione è tradizionalmente più conservatrice. Stesse zone dove al primo turno si era affermato il candidato nazionalista e conservatore Štefan Harabin, in passato molto vicino a Fico, che ha quindi traghettato voti verso il candidato socialdemocratico.
Analizzando i flussi elettorali, tanti altri voti conservatori sono però andati persi. La maggioranza di quanti avevano scelto il candidato di estrema destra Marian Kotleba si sono astenuti, lasciando Šefčovič a percentuali troppo basse nelle zone interne del paese per competere con la netta affermazione di Čaputová nelle aree più urbanizzate, e in particolare nella capitale Bratislava dove si è imposta con oltre il 75% dei consensi.
Il successo di Čaputová rimane un risultato importante e piuttosto sorprendente dopo le incertezze politiche generali emerse nella corsa alla presidenza. Molto più prevedibile è stata invece la sconfitta politica di Robert Fico, frutto della volontà degli elettori slovacchi di sbarazzarsi politicamente di qualsiasi cosa identificabile come in continuità con l’ex premier e con gli ambienti socialdemocratici. La vittoria di un candidato poco quotato fino a pochi mesi prima del voto testimonia ulteriormente la natura di una consultazione decisamente improntata sul voto antigovernativo. Ha vinto la novità, ha perso il governo.
Prospettive future cupe
La popolarità di Fico è in continuo calo da oltre un anno. Quattro cittadini slovacchi su cinque non si fidano dell’ex premier, numeri che lo rendono il politico meno amato del paese secondo i sondaggi. Gli stessi, vedono il partito di Fico (Smer-SD) in discesa ma ancora in testa alle preferenze degli elettori grazie al 20% dei voti, con cinque punti di vantaggio sulla coalizione espressione del nuovo capo dello stato. Le destre restano invece divise ma comunque politicamente competitive.
Il declino socialdemocratico, già piuttosto evidente dal 2016, ha subito quindi un’accelerazione con la crisi politica dello scorso anno. Fico ha troppi fronti aperti che nel tempo ne hanno logorato la credibilità: dalle accuse europee sullo stato di diritto in Slovacchia, alla diatriba sulla nomina dei giudici della corte costituzionale, passando per i dissapori interni dovuti alle continue accuse di corruzione, e arrivando alle mobilitazioni popolari contro i presunti rapporti del governo con gli ambienti della criminalità organizzata.
All’indomani della sconfitta, la reazione di Fico è stata quella di negare l’evidente crisi del suo partito e della sua figura. La posizione ufficiale vede Smer-SD soddisfatto di aver portato un suo candidato al ballottaggio, al contrario dei partiti di opposizione i quali profili si sono arresi al primo turno. Secondo questa poco convincente lettura i socialdemocratici uscirebbero rafforzati dalle consultazioni presidenziali, nonostante la sconfitta comunque indolore dato il ruolo abbastanza marginale del presidente in una repubblica parlamentare come quella slovacca.
La realtà evidenzia altro. Fico e il partito socialdemocratico stanno attraversando una grave crisi di consenso che sembra ormai irreversibile. Inviso alla maggioranza dei suoi cittadini, all’ex premier rimangono apparentemente poche carte da giocare per risollevare i suoi destini politici.
Se la profondità di analisi socialdemocratica continua a limitarsi a negare l’evidente crisi interna, c’è da scommettere che gli elettori slovacchi torneranno presto a esprimere il loro dissenso per sbarazzarsi definitivamente di Fico e del suo partito. In attesa del rinnovo del parlamento nel 2020, le consultazioni europee di maggio saranno probabilmente un passaggio importante per testare la forza politica di Fico e dei partiti di opposizione.
Foto: TASR