La notizia era nell’aria da mesi e aveva cominciato a girare già l’indomani delle elezioni dell’ottobre scorso, ma la conferma ufficiale è arrivata solo pochi giorni fa con un comunicato pubblicato direttamente sul sito della presidenza bosniaca: Emir Kusturica è stato nominato consigliere del membro serbo della presidenza collegiale di Bosnia, ovvero di Milorad Dodik. Allo stato non è ben chiaro quali saranno i suoi compiti né di che cosa si occuperà in questo contesto.
La parabola di Kusturica
Non una sorpresa, per la verità, quanto il completamento, anche formale, della parabola di avvicinamento di Kusturica alle istanze nazionaliste incarnate dal presidente serbo-bosniaco: il presidente negazionista del genocidio di Srebrenica, definito come “la più grande impostura del XX secolo”, ma anche il presidente che, non più tardi di tre anni fa promosse provocatoriamente il referendum nella Republika Srpska (RS, l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina) per il mantenimento del 9 gennaio come festa nazionale identitaria della RS. E ancora, il presidente che periodicamente brandisce la minaccia di un altro referendum, ben più destabilizzante: quello dell’indipendenza della RS dalla Bosnia Erzegovina.
Non una sorpresa si diceva: nato a Sarajevo in una famiglia musulmana, Kusturica si allinea inizialmente al partito liberale e jugoslavista di Ante Markovic, salvo poi abbandonare la propria città natale alla vigilia dell’assedio serbo-bosniaco, per rifugiarsi nella Belgrado di Slobodan Milosevic, ovvero del “mandante” politico di quella carneficina. Durante quegli anni non spende una sola parola in sostegno dei propri ex-concittadini e diserta sistematicamente le piazze che, anche a Belgrado, protestano per quanto sta accadendo. Un scelta che lo allontana, definitivamente, da Abdulah Sidran, poeta sarajevese e sceneggiatore dei suoi primi successi cinematografici “Ti ricordi di Dolly Bell?”, del 1981 e “Papà…è in viaggio d’affari”, del 1985 , pluripremiati nei festival europei più prestigiosi. Sidran rimarrà sotto le bombe ed ebbe a definire “insana” l’ossessione di Kusturica che in quegli anni si dedicò alla ricerca delle presunte “radici serbe” della propria famiglia. Ossessione che lo ha portato, nel 2005, a farsi battezzare secondo il rito ortodosso scegliendo di rinominarsi “Nemanja”, volendo con ciò evocare la dinastia reale serba dei Nemanjic.
Non è, però, tanto nella sua opera di regista che traspaiono le proprio convinzioni politiche, in senso stretto. In “Underground”, film uscito nelle sale nel 1995 nel pieno della guerra in Bosnia e unanimemente considerata l’opera principale di Kusturica, molti critici hanno voluto vedere in filigrana il tentativo dell’autore di descrivere il macello reciproco come l’unico e ineluttabile possibile esito della convivenza forzata dei popoli balcanici, volendo con ciò indirettamente sgravare la Serbia dalle responsabilità di quanto, proprio in quegli anni, succedeva nei paesi dell’ex-Jugoslavia. Questa interpretazione resta però controversa.
Il peggio di sé fuori dai set cinematografici
Ciò che è incontrovertibile, al contrario, è quanto Kusturica fa e dice al di fuori della sua attività di cineasta. E’ qui, infatti, che le proprie posizioni ultra-nazionalistiche si manifestano in tutta evidenza. La saldatura del duo Dodik-Kusturica è andata consolidandosi negli anni e ha trovato il suo apice nella realizzazione di Andricgrad, la città di Andric, un agglomerato di una cinquantina di edifici tirati su dal nulla (secondo modalità poco limpide) alla periferia di Visegrad: città dove fu violentissima l’azione delle milizie serbo-bosniache ai danni della popolazione musulmana, al punto che i bosgnacchi sono, oggi, solo il 10%, mentre erano maggioranza assoluta prima della guerra (62%). Finanziato per un cifra di 10-12 milioni di Euro da Dodik su “idea” di Kusturica, Andricigrad è un grottesco monumento-kitsch e rappresenta il goffo tentativo di accreditare il premio Nobel per la letteratura, Ivo Andric, come scrittore esclusivamente serbo. Tentativo che è, invece, un vero e proprio plagio: per storia e biografia, infatti, Andric incarna proprio quella multi-culturalità che l’esasperazione nazionalistica vorrebbe invece negare.
Ma il peggio di sé Kusturica lo dà nel corso dei concerti che tiene in giro per il mondo con la sua ethno-rock band, la No smoking Orchestra: attività cui si dedica quasi a sublimazione della smarrita vena da regista (le sue ultime prove cinematografiche sono, diciamo, “dimenticabili”). Tra una canzone e l’altra non manca mai il riferimento al Kosovo considerato come parte integrante della Serbia, il tutto mentre riecheggiano le note di “Wanted Man”, la canzone dedicata a Dragan Dadic, al secolo Radovan Karadzic, l’ergastolano riconosciuto colpevole di Srebrenica e, soprattutto, delle sofferenze inferte ai cittadini della sua città natale, Sarajevo.
Dal canto suo il rappresentante croato della presidenza tripartita, Zeljko Komsic, ha nominato per lo stesso ruolo un “altro” serbo, Cedomir Javanovic, leader del Partito Liberal Democratico, uno dei pochi politici serbi a riconoscere Srebrenica come genocidio. Sicuramente meno noto del suo omologo, Kusturica, Javanovic si è però presentato dicendosi determinato a rilanciare le relazioni tra Bosnia e Serbia per favorire una nuova fase di dialogo tra i due paesi.
Come dire: a volte il talento cinematografico non è tutto.
Foto: Slobodna Bosna