Una notte particolare quella appena trascorsa in Turchia. I risultati delle tanto attese elezioni amministrative, prima prova del governo dopo l’entrata in vigore del sistema presidenziale, sono stati seguiti al cardiopalma fino all’ultimo voto conteggiato, operazione che sembra solo da poco conclusa. Il dato dell’affluenza alle urne si rivela molto alto (oltre l’84%). L’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi) si riconferma il principale partito del Paese con il 44,32% dei voti, coi repubblicani del CHP (Cumhuriyet Halk Partisi) subito dopo al 30,11%, ma sono questi ultimi ad aver sottratto le roccaforti del potere, Ankara ed Istanbul per la prima volta dopo 25 anni.
Istanbul in bilico
Il momento di più forte tensione si è registrato in tarda serata, appunto, alla fine dello spoglio, con quasi il 99% delle schede scrutinate, quando i dati davano vincitore il candidato del partito repubblicano CHP, Ekrem İmamoğlu, mentre il candidato del partito del presidente Recep Tayyip Erdoğan, Binali Yıldırım (nonchè leader dell’AKP ed ultimo primo ministro prima dell’abolizione della carica avvenuta dopo l’approvazione del sistema presidenziale) si è proclamato altrettanto tale bloccando per ore la diffusione di notizie sia dall’agenzia Anadolu che dallo stesso Consiglio Elettorale Supremo. Una “tattica” utilizzata anche in passato dall’AKP ed ascrivibile ad una vera e propria frode, almeno nelle opinioni dell’opposizione. L’evento ha scatenato il web: la scrittrice Ece Temelkuran ha twittato: “siate responsabili della storia, non giocate col destino di tutti, fate qualcosa che sarete orgogliosi di raccontare ai vostri figli un domani”, più sarcastica è stata Kati Piri, relatrice per la Turchia al Parlamento Europeo: “avete notizie dell’agenzia Anadolu? Chiedo per un amico”. Lo scarto è di qualche migliaio di voti, e questo pomeriggio gli striscioni di ringraziamento di Yıldırım sono stati affissi contemporaneamente alla dichiarazione di vittoria di İmamoğlu, avanti di 25 mila voti. İmamoğlu con il 48,78% per un soffio toglie Istanbul all’AKP che la governa dal 1994, esattamente come per Ankara (e dal 1994 al 1998 proprio sotto la guida di Erdoğan). Resta, tuttavia, una metropoli spaccata, forse difficile da governare, sebbene il neosindaco sia una persona stimata dai più.
La “presa” di Ankara
Oltre alle conferme, (la vittoria dei candidati repubblicani ad Izmir e dintorni e quella dei candidati HDP (Halkların Demokratik Partisi) nelle città a maggioranza curda) l’altra vera notizia è la “presa” della capitale Ankara dopo altrettanti 25 anni dove con il 50,9% dei voti vince Mansur Yavaş, candidato della coalizione CHP-Iyi parti contro lo sfidante Mehmet Özhaseki ex sindaco di Kayseri, riproposto dalla “alleanza del popolo” ovvero l’unione AKP-MHP che ha trionfato nelle ultime presidenziali. Come riportato dall’Hurriyet Daily News, Yavaş sarebbe stato favorito sin dal principio grazie alla sua attività decennale nel quartiere di Beypazarı dove è nato e cresciuto, trasformandolo in una delle aree più turistiche della capitale.
Davanti alla recessione, le promesse non bastano più
Ma facciamo un passo indietro: agli inizi di Marzo, in piena campagna elettorale, l’Istituto turco di statistica decreta che la Turchia è in recessione per la prima volta in dieci anni. Certamente non una sorpresa, ma senza dubbio questo diventa un tema ulteriormente cruciale e per l’espressione della preferenza di voto e per l’indirizzo della campagna elettorale stessa. Sta tutto qui l’eventuale sconforto degli elettori che si sono finora affidati ad Erdoğan perchè gli ha dato una casa e un lavoro o c’è una motivazione ideologica e democratica, una rimonta dei repubblicani, una stanchezza nei confronti di questa leadership sempre più oppressiva ed opprimente? La presenza di Erdoğan nei media e nelle piazze a sostegno dei suoi candidati è stata capillare, basti pensare che, come racconta la testata online Ahval, sia stato in grado di partecipare a ben otto comizi diversi nelle due giornate che hanno preceduto il voto del 31 marzo. Eppure si direbbe che nessun possibile escamotage, neppure la promessa di riconvertire Aya Sofia in una moschea per accaparrarsi le simpatie dei più conservatori, sia riuscito a distogliere l’attenzione dall’inflazione. Parliamo di un governo che ha proposto di stabilire banchetti municipali per la vendita a prezzi contenuti di frutta e verdura che la gente meno abbiente comincia a non potersi più permettere.
Dopo questo susseguirsi di prove a brevissima distanza, Erdoğan assicura che non ci saranno nuove elezioni di fino al 2023. Come si sfrutterà questa tregua da ambo le parti?
(foto credits: Bloomberg)