Lo scorso 16 marzo, pochi giorni prima dell’inizio delle festività del Novruz – il capodanno persiano, celebrato tradizionalmente in Iran, ma anche in Azerbaigian e nei paesi dell’Asia Centrale – il presidente azero Ilham Aliyev ha concesso l’amnistia per 431 prigionieri. Tra questi, 399 sono stati scarcerati, mentre gli altri hanno ricevuto uno sconto sulla pena.
Secondo quanto riportato da varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani, 52 tra i detenuti che hanno ricevuto la grazia di Aliyev sono rappresentanti di partiti politici d’opposizione, blogger, giornalisti ed altri esponenti della società civile, considerati prigionieri politici. Si tratta di un segnale di relativo ammorbidimento da parte delle autorità azere che è stato accolto positivamente dalla comunità internazionale; tuttavia, i difensori dei diritti umani nel paese così come altri osservatori restano scettici riguardo all’apparente benevolenza di Aliyev.
Le reazioni
Non è la prima volta che il presidente Aliyev approfitta del Novruz e di altre festività per concedere l’amnistia a centinaia di detenuti nel paese. Ad essere però anomalo nel caso dell’amnistia del 16 marzo scorso è il fatto che tra le centinaia di detenuti perdonati ci sia un numero molto significativo di prigionieri di coscienza. Con l’ultima amnistia, firmata nel maggio 2018 (in occasione della Festa della Repubblica dell’Azerbaigian) Aliyev aveva liberato oltre 600 persone, tra le quali solo 12 erano prigionieri politici.
La comunità internazionale, tra cui il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea, hanno accolto la decisione del presidente azero in maniera molto positiva. Maja Kocijančič, portavoce dell’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri Federica Mogherini, ha definito questo gesto “un gradito passo avanti”, ribadendo che l’Unione “si aspetta sviluppi simili in futuro, conformemente agli impegni assunti dall’Azerbaigian a livello internazionale”.
Lo scorso 17 gennaio 2019, il Parlamento Europeo aveva adottato una risoluzione sull’Azerbaigian riguardante il caso di Mehman Huseynov, giornalista e blogger che si trovava in carcere dal marzo 2017 per diffamazione, e che aveva rischiato di ricevere un’estensione della pena fino a sette anni per ulteriori accuse infondate. La pressione internazionale e le proteste tenutesi anche nel paese avevano convinto le autorità azere a rilasciarlo, il 22 gennaio. Nella risoluzione, il Parlamento Europeo esortava le autorità azere a liberare anche i numerosi altri prigionieri politici nel paese.
La scarcerazione di Mehman Huseynov, così come l’importante amnistia firmata pochi giorni fa sono segnali di un parziale ammorbidimento delle autorità azere nei confronti dell’opposizione che, come scrivevamo qui, vanno però letti nel contesto di una crescente pressione internazionale sul paese. Questa è anche legata ai negoziati che l’Azerbaigian sta portando avanti per un accordo di associazione con l’Unione Europea, che ha posto il rispetto dei diritti umani come condizione per la firma del documento (la prossima riunione del consiglio di cooperazione UE-Azerbaigian è prevista per il 4 aprile).
A questi fattori si va ad aggiungere la crescente crisi economica che affligge il paese: secondo l’analista Arastun Orujlu, intervistato da Eurasianet, il malcontento della popolazione e le tensioni socio-economiche starebbero giungendo al culmine.
Queste interpretazioni dei fatti sono però state smentite dai sostenitori del regime di Aliyev: il caporedattore del giornale azero Yeni Musavat, Rauf Arifoglu, ha scritto che l’amnistia va interpretata non come un “cedimento” ma come un segno di forza da parte del presidente, dichiarando che “la rivoluzione nel nostro paese si sta compiendo dall’alto. Possiamo chiamarla “Rivoluzione bianca”, e il suo architetto è Ilham Aliyev”. Altri commentatori pro-Aliyev hanno elogiato la decisione del presidente e le altre riforme che egli avrebbe intrapreso nell’ambito della liberalizzazione dell’economia, della lotta alla corruzione e al nepotismo, e del settore bancario.
Chi rimane dietro le sbarre
Secondo una lista compilata nel febbraio 2019 da un gruppo di ONG azere sarebbero 127 i prigionieri politici nel paese, mentre il governo continua a negare la loro esistenza. Con l’amnestia dello scorso 16 marzo resterebbero quindi dietro le sbarre almeno altri 75 prigionieri di coscienza, tra cui attivisti, giornalisti e rappresentanti dell’opposizione. Uno su tutti è il giornalista Afgan Mukhtarli, che nel maggio del 2017 era stato sequestrato nel centro di Tbilisi, dove viveva in esilio, per riapparire pochi giorni dopo in stato di arresto a Baku.
Sebbene numerose organizzazioni internazionali per i diritti umani tra cui Amnesty International e Human Rights Watch abbiano commentato positivamente la notizia dell’amnistia, esse hanno però sottolineato come questa costituisca un cambiamento relativamente minore nel “contesto generale di repressione” che contraddistingue l’Azerbaigian. Una campagna sui social media chiamata “#hamısınıazadet (“liberi tutti”) è stata lanciata per chiedere la scarcerazione di tutti i prigionieri politici nel paese.
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Immagine: Eurasianet
Che il Parlamento Europeo avanzi risoluzioni contro i metodi antidemocratici del governo azero fa almeno sorridere…ricordando che lo stesso Parlamento Europeo e le sue altre istituzioni avevo riconosciuto, solo poco tempo fa, il tentativo di golpe di stato contro il governo legittimo di Maduro.
Grazie.