UNGHERIA: Riforma del lavoro e limitazione dei diritti, tutti in piazza

Aderendo all’appello di sindacati e organizzazioni della società civile, migliaia di persone si sono radunate sabato 1 ottobre in piazza Kossuth a Budapest, di fronte al maestoso edificio neogotico del parlamento ungherese, in un clima festante ma allo stesso tempo arrabbiato, per gridare il loro “no” alla riforma del lavoro annunciata dal governo. La misura, che riduce drammaticamente i diritti dei lavoratori, è ufficialmente volta a rendere più competitiva l’economia nazionale, ma tutti sanno che in realtà si tratta di austerity, giacché le categorie in assoluto più colpite sono i dipendenti pubblici.

Il primo ministro Viktor Orbán l’ha definita la “completa riorganizzazione dell’economia”. Un processo iniziato con l’introduzione dell’aliquota unica al 16% (la flat tax) e di tasse stravaganti quanto populiste (quella sul cibo-spazzatura ne è un esempio). Ma la protesta è esplosa dopo che il ministro dell’economia ungherese ha deciso di ricorrere a più ortodosse politiche liberiste, ovvero di mettere mano alla legislazione sul lavoro, cercando di aumentare la competitività a discapito del diritti dei lavoratori, una triste quanto ricorrente ricetta.

Il piano presentato lo scorso marzo prevede l’eliminazione di 300.000 posti di lavoro nel settore pubblico entro il 2014, ingenti tagli a tutti i servizi pubblici, pensioni, servizi sociali, indennità e sussidi. Una forte semplificazione normativa dovrà rendere il mercato del lavoro più flessibile (o precario, a seconda delle letture), modificando gli orari, aumentando il ricorso a contratti a tempo determinato, permettendo il licenziamento senza giusta causa e affossando la contrattazione collettiva, lasciando ampio margine di manovra alla contrattazione privata (va ricordato che in Ungheria non esistono i contratti nazionali). Già dallo scorso anno, inoltre, il diritto di sciopero aveva ricevuto un duro colpo, venendo subordinato ad una preventiva valutazione giudiziaria sulla fondatezza o meno delle rivendicazioni ed escludendo il diritto di sciopero “politico” contro le decisioni del governo.

Nonostante la serie di divieti da parte delle autorità (11 delle 12 iniziative sono state cancellate dal tribunale), i sindacati ungheresi sono riusciti a organizzare una vasta mobilitazione per quello che hanno battezzato come “D-Day”. Molti sono arrivati da altre città con pullman predisposti per l’occasione. Il solito balletto delle cifre spazia dalle 10 alle 50 mila presenze, anche se verosimilmente non sono state superate le 20 mila; numeri comunque non irrilevanti per l’Ungheria dove, come nella maggior parte dei paesi post-comunisti, le grandi manifestazioni politiche sono un evento eccezionale. Il panorama sindacale ungherese soffre inoltre di un’emorragia di iscritti e di una cronica iperframmentazione, con centinaia di sigle diverse, per lo più divise per settore. Alla luce di ciò, assume maggiore rilevanza il fatto che più di 70 sindacati, con la sola eccezione di quelli di destra, siano riusciti a coordinarsi in quello che già chiamano un “Solidarnosc ungherese”.

Come molti hanno notato, però, non si è trattato di una semplice protesta sindacale: il messaggio politico era chiaramente diretto contro Orbán, rappresentato in molti striscioni con le sembianze del leader comunista Rákosi. Nella piazza colorata si sono trovate fianco a fianco tre generazioni diverse, lavoratori dipendenti, pensionati e anche alcuni studenti universitari, che si oppongono alla riforma dell’istruzione che verrà approvata entro breve: oltre ai pesanti tagli all’educazione, la legge prevede una riduzione del 40% delle borse di studio per l’università e l’introduzione dell’obbligo, per gli studenti che ne beneficiano, di non lasciare il paese per un determinato numero di anni dopo la laurea. La rappresentanza studentesca, sebbene minoritaria, è significativa, dal momento che fino ad ora le università hanno costituito il fertile vivaio per i giovani militanti di Fidesz, il partito di Orbán.

Poca la polizia, il cui sindacato d’altronde è fra i maggiori promotori della protesta. La misura infatti ha cancellato il pensionamento anticipato per i membri delle forze dell’ordine e di difesa militare e civile, introducendo persino una norma retroattiva per riportare al lavoro chi già si trova in pensione. I sindacati hanno stilato un manifesto, chiedendo il ritiro di questa manovra, un sistema di tassazione più equo, un effettivo diritto di sciopero e rispetto delle prerogative sindacali nel processo di contrattazione e modifica alle leggi sul lavoro. Il corteo si è poi snodato lungo il celeberrimo Ponte delle Catene, terminando in piazza Ádám Clark con comizi e musica.

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