Il governo del Kosovo ha annunciato la volontà di mantenere i dazi al 100% per i prodotti dalla Serbia e dalla Bosnia Erzegovina. La decisione sta provocando forti malumori nella comunità internazionale, e, di conseguenza, sta dividendo la politica kosovara.
I dazi
La decisione del governo kosovaro di adottare i dazi nasce in rappresaglia ai tentativi di Belgrado di impedire l’ingresso del Kosovo come Stato membro nelle organizzazioni internazionali, oltre che al rifiuto di Sarajevo di riconoscere l’indipendenza del paese. Una prima misura protezionistica da parte di Pristina è stata adottata lo scorso 6 novembre con l’imposizione dei dazi al 10% che, a seguito della campagna della Serbia contro l’adesione di Pristina nell’Interpol, sono stati portati al 100% due settimane dopo.
Secondo un recente sondaggio che ha coinvolto 194 imprese del Kosovo i dazi sarebbero un beneficio per almeno metà dei rispondenti. A quantificare invece il danno economico provocato dai dazi è il ministro serbo del commercio, del turismo e delle comunicazioni Rasim Ljajić, secondo cui le esportazioni serbe in Kosovo sarebbero calate di 90 milioni di euro negli ultimi tre mesi. Anche il presidente serbo Aleksandar Vučić si è espresso apertamente contro le misure. Per Vučić i dazi sui prodotti della Serbia rappresentano “un ostacolo insormontabile per il proseguimento del dialogo e della normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado.”
Gli attori internazionali
La decisione di Pristina, difatti, sta avendo forti ricadute sul piano internazionale. In un’intervista rilasciata alla rete KTV l’ambasciatore americano in Kosovo Philip Kosnett ha rimarcato la posizione contraria di Washington sui dazi. Nonostante Kosnett abbia sottolineato che gli USA non avanzeranno alcun ultimatum all’indirizzo del governo kosovaro, una posizione di netto contrasto è stata espressa dal vice assistente del segretario di stato USA Matthew Palmer, che in una lettera alle maggiori cariche istituzionali del Kosovo ha annunciato misure concrete.
La prima misura in tal senso è stata la cancellazione della visita a Pristina del comandante della Guardia Nazionale dello stato dell’Iowa. Un gesto dal forte valore simbolico, dato che la visita era prevista per il 16-18 febbraio, giorni in cui si tengono le celebrazioni dell’undicesimo anniversario dalla dichiarazione d’indipendenza del paese. È interessante evidenziare che per la prima volta nella storia del Kosovo ci sia un contrasto così netto con gli Stati Uniti. Infatti, fino alle polemiche sui dazi, Washington aveva sempre supportato Pristina, persino in occasione di misure controverse come la creazione dell’esercito kosovaro.
Anche l’Unione Europea, tramite l’Alto Rappresentante per gli affari esteri Federica Mogherini, ha espresso le sue preoccupazioni per l’atteggiamento protezionistico di Pristina. In un tweet la Mogherini ha sottolineato la necessità che i dazi vengano ritirati e che si riavvi al più presto il dialogo tra Kosovo e Serbia.
Le divergenze interne
Le critiche internazionali hanno avuto un’evidente ricaduta sulla politica interna kosovara. Il premier Ramush Haradinaj ha precisato che i dazi resteranno in vigore fino al momento in cui la Serbia non riconoscerà l’indipendenza del Kosovo. Una scelta, però, non condivisa da tutte le forze politiche del paese e dietro cui si può percepire un’aperta lotta di potere tra il primo ministro e il presidente della Repubblica Hashim Thaçi. Quest’ultimo in un’intervista rilasciata alla RFE/RL ha avvertito i suoi connazionali che “nessuna agenda sarà anteposta agli interessi di cooperazione strategica che il Kosovo intrattiene con gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali.” Quella sui dazi non è l’unica contrapposizione tra i due politici, che anche sul tema dello scambio di territori tra Serbia e Kosovo si trovano su posizioni antitetiche.
La posizione di Thaçi è condivisa anche dal presidente del parlamento Kadri Veseli. In una lettera indirizzata ai partner di coalizione, Veseli ha chiesto infatti la sospensione delle misure protezionistiche per 120 giorni. In questo arco di tempo, spiega Veseli, Belgrado e Sarajevo dovranno abbandonare le ostilità verso Pristina riconoscendo tutti i beni, le licenze, i bolli e i documenti rilasciati dal Kosovo, pena la reintroduzione dei dazi.
I contrasti interni al governo mettono a rischio la tenuta generale dell’esecutivo. Questo scenario favorisce pertanto l’adozione da parte di Haradinaj della linea dura sui dazi, nella speranza di raccogliere consensi in vista di future elezioni.
Lo stallo attuale
Le misure protezionistiche di Pristina sono una regressione nel processo di normalizzazione con Belgrado. La questione dei dazi rappresenta, tuttavia, solo uno dei tanti fattori che ostacolano il dialogo tra i due paesi. A tal riguardo, la bocciatura della domanda d’adesione del Kosovo all’Interpol, le dimissioni dei quattro sindaci dei comuni a maggioranza serba del Kosovo settentrionale e gli arresti a Mitrovica Nord connessi alle indagini sull’omicidio del leader serbo-kosovaro Oliver Ivanović, sono elementi ulteriori e necessari per comprendere la paralisi nel dialogo tra i due stati balcanici. Una riflessione sembra essere pertanto lampante: fino a che sussisterà l’attuale gioco di reciproche accuse tra Kosovo e Serbia ogni tentativo di mediazione e dialogo sarà di fatto impossibile.
Foto: Koha Jonë