Marco Luchetta, Dario D’Angelo e Alessandro Ota non erano certo degli sprovveduti. Giornalisti RAI della sede di Trieste, quei luoghi li conoscevano bene, così come conoscevano bene quella guerra: non era la prima volta che si trovavano a darne notizia direttamente sul campo, laddove le cose succedevano. In Bosnia, nel gennaio del 1994, c’erano tornati al seguito di un convoglio della Croce Rossa scortato dai Caschi blu dell’ONU: passando da Spalato, in Croazia, erano arrivati in Bosnia via Medjugorje, poi a Mostar, la loro destinazione finale. Era qui, infatti, che avrebbero dovuto girare un reportage sui bambini vittime della guerra.
Il tributo di sangue dei bambini
Un tema quanto mai dirompente nella Bosnia di quegli anni: furono almeno 1500 i bambini uccisi durante il conflitto, migliaia quelli feriti o rimasti orfani. Un tributo di sangue altissimo che spinse qualcuno a proporli al Nobel per la Pace, non senza una certa dose di ipocrisia ad onor del vero.
Un tema che, proprio nei giorni immediatamente precedenti l’arrivo dei giornalisti a Mostar, era tornato di strettissima attualità: a Sarajevo, il 22 gennaio, quattro granate erano cadute sul quartiere operaio di Alipasino Polje, vicinissimo alle postazioni degli assedianti serbi, uccidendo sei bambini intenti a giocare con gli slittini. Le immagini del sangue versato sulla neve caduta di fresco fecero il giro del mondo, riaccendendo i riflettori su quel conflitto. Passa un solo giorno e, il 23, tocca ad altri quattro bambini allungare la lista: questa volta sono croati, uccisi proprio a Mostar.
La morte dei giornalisti
Luchetta, D’Angelo e Ota sono a Mostar proprio all’indomani di quei fatti e proprio per raccontare lo scempio che si perpetra da inizio guerra sui bambini. Ed è per questo motivo che, la mattina del 28 gennaio del 1994, si trovavano nel cortile interno di un rifugio posto nel settore orientale della città, quello a maggioranza musulmana. E’ qui che una granata li sorprende e li dilania.
L’inchiesta che segue porta ad un nulla di fatto, come desolante consuetudine della guerra in Bosnia. Resta la constatazione che quella granata cadde, tra le molte, in violazione al cessate il fuoco in vigore in quei giorni e, soprattutto, la considerazione che per giungere in quel luogo a bordo di un blindato spagnolo i giornalisti avevano attraversato numerosi posti di blocco: la loro presenza e la loro posizione, dunque, era ben nota e, con ogni probabilità, non del tutto gradita alle truppe croato-bosniache che, da mesi, assediavano la città e che, poco tempo prima, avevano abbattuto il ponte sulla Neretva. Il destino dei tre giornalisti italiani li accomuna, tragicamente, alle decine di reporter che persero la vita nel raccontare le guerre jugoslave, almeno 140, più di quelli caduti nel corso della guerra in Vietnam.
L’associazione e la commemorazione
Quando la granata esplode, gli inviati RAI stanno parlando con un bambino, Zlatko Omanovic: il loro corpo fa da scudo. Lucchetta, D’Angelo e Ota muoiono sul colpo, Zlatko si salva, come per miracolo. Oggi ha trent’anni e vive in Svezia: Zlatko è stato il primo bambino aiutato dalla “Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin Onlus”. Questo perché, per dare un senso a tutta questa vicenda, nelle settimane successive l’evento, i familiari delle vittime fondano una Onlus con lo scopo di dare cura e accoglienza ai bambini coinvolti dalle guerre. Alle famiglie dei tre giornalisti caduti a Mostar, si unisce quella di Miran Hrovatin, anch’egli triestino, anch’egli giornalista, ucciso a marzo dello stesso anno a Mogadiscio nel corso dell’attentato in cui perse la vita anche Ilaria Alpi.
Si chiude, così, idealmente un cerchio: si parte da Zlatko e si continua con una associazione, che proprio di bambini si occupa. Sono stati 700 quelli accuditi in questi anni, nelle tre strutture aperte dalla fondazione, l’ultima pochi anni fa, nel 2010. Un’attività inesauribile che si è estesa negli ultimi anni anche “alle famiglie locali per far fronte alle nuove sacche di povertà che colpiscono anche il nostro paese”. Un’opera meritoria che è valsa alla fondazione il conferimento, nel novembre scorso, del Premio Antonio Feltrinelli per “un impresa eccezionale di alto valore morale e umanitario”. Alla memoria di Marco Luchetta e dei suoi colleghi è inoltre dedicato un premio giornalistico internazionale, organizzato in collaborazione con la RAI e con il patronato della Presidenza della Repubblica.
A distanza di 25 anni dai fatti, il sacrificio dei tre giornalisti RAI è stato ricordato sia in Italia che in Bosnia Erzegovina. Mentre a Trieste si è tenuta una commemorazione presso il Consiglio comunale, a Mostar, nell’ambito di una cerimonia ufficiale alla presenza dell’ambasciatore italiano, Nicola Minasi, una corona di fiori è stata lasciata al civico 82 di via Maresciallo Tito, dove tutto ebbe inizio e dove, oggi, una targa coi loro nomi li ricorda.
Credo che quella orrenda guerra dovrebbe essere raccontata di nuovo, per non dimenticare.