Non è raro che i politici sparino bordate in campagna elettorale, anzi è vizio antico e diffuso ovunque. Ma un conto è mentire sapendo di mentire, un altro è credere alle proprie balle. Tra il governo degli opportunisti e quello degli ignoranti è sempre preferibile il primo, poiché l’ignoranza al potere è assai più pericolosa.
Qualche giorno fa alcuni esponenti di punta di un movimento politico euroscettico hanno dichiarato che il parlamento di Strasburgo va chiuso poiché sarebbe “una marchetta francese“.
I giovani politici protagonisti di tali dichiarazioni forse non sanno che Strasburgo è stata individuata, nel 1949, come sede del Consiglio d’Europa (che non è da confondersi col Consiglio europeo, che è organo dell’UE, mentre il Consiglio d’Europa non lo è) che annovera fra i suoi membri quasi tutti i paesi del vecchio continente, Russia compresa. Nel 1952 è diventata sede dell’Assemblea comune della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) con lo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due materie prime che – è bene ricordarlo ai giovani virgulti politici nostrani – sono risorse contese e fondamentali per l’industria bellica. Giova anche rammentare che il 1952, pallottoliere alla mano (perdonate, lettori, si va incontro alle loro facoltà mentali) è appena sette anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Mica pizza e fichi. Nel 1962 la città è diventata sede del Parlamento europeo.
Ma perché proprio Strasburgo? Perché era in Francia, dicono i giovani politici, e si voleva ossequiare quegli antipatici di francesi. Ma no, ragazzi. Se si fosse voluto omaggiare la Francia si sarebbe scelta Parigi.
Non si tratta di “marchetta” ma di storia, quella che si studia a scuola (e va bene la bassa istruzione dei rampolli di cui sopra, però queste sono proprio le basi): Strasburgo fu scelta in quanto capoluogo di quell’Alsazia contesa, fino al XVII secolo parte del Sacro romano impero, poi conquistata dal re di Francia, ceduta alla Germania dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana del 1870-71, riconquistata dai francesi al termine della Prima guerra mondiale, occupata dalla Wehrmacht nel 1940, oggetto di infinite propagande nazionaliste, di proclami di riconquista, simbolo della divisione e della secolare ostilità franco-tedesca. Quando si è dovuto decidere un luogo dove insediare un organismo che rappresentasse, nei fatti, il superamento di quelle divisioni ecco che si è pensato a Strasburgo.
Dopo settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale è certo lecito ragionare sull’opportunità di spostare tutta l’attività parlamentare europea a Bruxelles, e non è da oggi che se ne discute. Uno studio realizzato nel 2013 dallo stesso parlamento europeo mostra che si potrebbe ottenere un risparmio di 103 milioni di euro all’anno se tutti i lavori del parlamento fossero trasferiti da Strasburgo a Bruxelles. È un importo cospicuo, che corrisponde tuttavia solo al 6 % del bilancio del Parlamento, o all’1 % del bilancio amministrativo dell’UE o, ancora, solo allo 0,1 % del bilancio complessivo dell’Unione. La riduzione delle spese di viaggio nei bilanci della Commissione europea e del Consiglio comporterebbe un ulteriore risparmio pari a 5 milioni di euro.
Quello che sgomenta, dunque, non è la proposta in sé – lo stesso parlamento ne ha discusso – ma le ragioni addotte, ovvero la fantomatica “marchetta francese”. Una falsità, un errore storico, e un goffo tentativo di portare il discorso sui binari del nazionalismo: cattivi francesi, bravi italiani. Opportunismo o ignoranza? E se il nazionalismo risorge nelle sconvenienti retoriche di molte compagini politiche sparse per l’Europa allora, forse, il portato simbolico di Strasburgo non si è ancora esaurito e il parlamento sta bene dov’è.