In una sentenza dello scorso 10 gennaio, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato l’Azerbaigian a pagare quasi 17 mila euro a Khadija Ismayilova, una giornalista nota a livello internazionale per le sue indagini sulle attività finanziarie illecite della famiglia del presidente Ilham Aliyev.
La decisione del tribunale di Strasburgo è legata a una campagna ricattatoria – kompromat, nel gergo dello spazio post-sovietico – di cui Ismayilova è stata vittima negli anni passati.
Nel marzo del 2012, la giornalista ricevette per posta una busta contenente quelle che sembravano essere istantanee di un filmato registrato con una videocamera nascosta posizionata nella sua camera da letto che la ritraevano in un momento di intimità con il suo fidanzato. Una lettera allegata alle immagini parlava di “pubblica umiliazione”, qualora la donna non avesse interrotto il suo lavoro investigativo. Il rifiuto pubblico della Ismayilova di cedere al ricatto, portò alla pubblicazione del video in internet.
In base alla sentenza della CEDU, “non è stato possibile dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dello stato per la violazione della privacy”. I giudici hanno considerato le istituzioni azere colpevoli per le modalità con cui si sono svolte le indagini volte ad individuare gli autori della campagna ricattatoria. In particolare, hanno sottolineano i danni ulteriori che l’investigazione, senza produrre risultati tangibili, ha causato all’Ismayilova, a causa della divulgazione al pubblico dei nomi e degli indirizzi dei suoi famigliari e amici, incluso quelli del ragazzo che compariva nel video.
Giornalisti perseguitati
Il documento include anche un paragrafo in cui si descrive la situazione della stampa in Azerbaigian. Si parla di “persecuzione” e di “un clima di impunità per i responsabili degli attacchi contro i giornalisti” che limitano la libertà di espressione definita dall’articolo 10 della Carta Europea dei Diritti Dell’Uomo.
Il gergo giuridico è freddo, ma presenta un’idea di quanto avviene in un paese quasi in fondo alla classifica dell’indice della libertà di stampa mondiale di Reporter Senza Frontiere.
La Ismayilova negli anni è stata vittima di una persecuzione giudiziaria che ben esemplifica quanto succede sulle rive del Caspio agli oppositori del regime del clan Aliyev. A fine 2014, la giornalista ha ricevuto una condanna a due mesi di custodia cautelare con l’accusa di istigazione al suicidio ricevuta da un suo ex collega (successivamente ritirata). Pochi mesi dopo, nel luglio 2015, è stato avviato un processo nel quale la donna ha dovuto rispondere ad accuse di diffamazione, corruzione, frode fiscale, traffici illegali e abuso di potere. Il processo, svoltosi a porte chiuse, ha portato alla condanna, per cui la donna è rimasta in stato di detenzione fino al maggio del 2016.
Prigionieri politici
Afgan Mukhtarli, Akram Aylisli, Rasul Jafarov, Leyla e Arif Yunus sono alcuni dei nomi finiti nelle maglie della giustizia azera a causa del loro lavoro giornalistico o delle loro idee politiche, di cui East Journal ha testimoniato nel corso degli anni.
In questi giorni, la Ismayilova, con alcuni colleghi, hanno indetto uno sciopero della fame per richiedere il rilascio di cinque prigionieri politici. Tra questi il più noto è Mehman Huseynov, un blogger condannato per diffamazione a due anni di prigione, dopo aver criticato la nomina di Mehriban Aliyeva – la moglie di Ilham Aliyev – alla carica di vicepresidente.
Dichiarando: “non ho altro da sacrificare se non la mia salute”, Khadija ha richiesto al governo di Aliyev di rinunciare all’idea di utilizzare l’arma della prigionia politica per mettere a tacere i dissidenti.
Queste notizie ricevono poco spazio sulla stampa italiana, scriverne è quanto di meglio possiamo fare per esprimere la nostra vicinanza e il nostro supporto a queste voci fuori dal coro.
–
Immagine: Foreign Policy