Addio a Paddy Ashdown, ultimo vicerè di Bosnia

E’ morto sabato 22 dicembre a Londra il diplomatico e politico britannico Paddy Ashdown. Per chi si occupa di Balcani, Ashdown è noto soprattutto come l’ultimo vicerè della Bosnia Erzegovina, il più attivo e influente degli Alti Rappresentanti internazionali che hanno supervisionato il paese dopo la fine del conflitto.

Nato a New Delhi nel 1941 da una famiglia di militari ed amministratori coloniali, Paddy era cresciuto in Nord Irlanda prima di arruolarsi in marina, dove avrebbe servito come sommozzatore in Asia sud-orientale. Specializzatosi come interprete di cinese mandarino ad Hong Kong, entra nei servizi segreti britannici e lavora sotto copertura come diplomatico a Ginevra, partecipando anche ai negoziati degli accordi di Helsinki del 1975. E’ in quegli anni che decide che la vita agiata del diplomatico-spione non fa per lui, e rientra in Inghilterra per lanciarsi in politica con il Partito Liberale. Ci mette otto anni – periodo nel quale resta anche disoccupato e “lavoratore socialmente utile” con i giovani del Dorset – prima di entrare in Parlamento nel 1983. Si batte contro il dispiegamento degli euromissili in Europa e per il boicottaggio del Sudafrica dell’apartheid, si oppone alle privatizzazioni e alle politiche antisindacali thatcheriane, così come ai bombardamenti USA sulla Libia di Gheddafi. Dal 1988 al 1999 è a capo dei Liberal-Democratici a Westminster.

Dal 2002 al 2006 Ashdown è nominato Alto Rappresentante internazionale per la Bosnia ed Erzegovina (OHR). Nella sua nuova posizione all’interno della “palazzina bianca” di Sarajevo, Ashdown non si fa remore ad utilizzare appieno i poteri esecutivi (“poteri di Bonn”) di cui è dotato dall’ONU, imponendo leggi per decreto e rimuovendo politici ostruzionisti. Il suo profilo insieme politico e militare, e la sua volontà di stare vicino e dalla parte del popolo, lo aiutò a calarsi con successo in un ruolo difficile. Ma la sua figura resterà controversa in Bosnia.

Molto amato dai bosgnacchi, che lo considerano l’unico diplomatico internazionale ad aver fatto qualcosa per il paese, è altrettanto detestato dai serbo-bosniaci, che ancora oggi lamentano le “illegittime imposizioni” dell’Alto Rappresentante. Ashdown venne criticato anche da vari osservatori accademici: Gerald Knaus e Felix Martin vergano già nel 2003 un pamphlet, “Travails of the European Raj“, in cui accusano Ashdown di abusare dei propri poteri assoluti col paradossale pretesto di favorire la democratizzazione del paese. David Chandler fa ampio riferimento allo stile neocoloniale di Ashdown quando ricorda come “un politico britannico che non è mai riuscito ad arrivare al potere nel suo paese è ora a capo di un paese straniero”.

Ashdown ha interpretato i propri poteri ponendosi come tribuno del popolo bosniaco nei confronti dei loro stessi rappresentanti politici traditori, sentendosi “servo della Bosnia Erzegovina” prima che rappresentante della comunità internazionale. Posizioni populiste, paradossali per un politico liberale, che trovano fondamento nell’idealismo politico di Ashdown, fattosi reale nell’utopia dell’interventismo umanitario degli anni ’90. E’ durante il suo mandato che vengono rafforzate le istituzioni di sicurezza statali bosniache, unificando i servizi di sicurezza, l’amministrazione della difesa e le forze armate – anche grazie alla spinta dello scandalo Orao. La creazione dei servizi doganali e l’introduzione della tassazione indiretta iniziano inoltre a fornire entrate regolari all’asfittico stato bosniaco. Ma è sulla riforma della polizia che Ashdown si scontra più ferocemente con i serbo-bosniaci: il progetto di Ashdown di una sola forza di polizia per tutta la Bosnia non vedrà mai la luce.

Nel 2004 il massacro di oltre 8.000 uomini e ragazzi bosniaco-musulmani a Srebrenica da parte delle milizie serbo-bosniache a Srebrenica nel luglio 1995 viene riconosciuto come genocidio. Ashdown impone al governo serbo-bosniaco di stabilire una commissione d’inchiesta. Il parlamento dell’entità adotterà tale rapporto nel novembre 2004, assieme alle proprie scuse ufficiali (solo questa estate lo stesso parlamento ha deciso di rinnegare tale rapporto). Nel suo libro di memorie, Swords and Ploughshares, Ashdown ricorda come il presidente serbo Boris Tadic gli avesse detto che avere un rapporto su Srebrenica scritto da serbi avesse fatto più di ogni altra cosa in Serbia per modificare l’opinione pubblica in Serbia sui criminali di guerra ancora alla macchia. “La Bosnia mi è entrata sottopelle, ed è ancora lì“, affermò Ashdown al Guardian nel 2005. “E’ il posto che non ti puoi lasciare alle spalle. C’era questo senso di colpa, e una rabbia che è diventata ancora più profonda negli anni”.

Di fatto, dopo la sua partenza dalla Bosnia Erzegovina, la sua strategia politica venne presto abbandonata. I successivi alti rappresentanti internazionali fecero un uso molto più discreto dei propri poteri esecutivi, del tutto messi da parte a partire dal 2011. Allo stesso tempo, l’enfasi passò sempre più – e forse troppo in fretta – verso la ownership locale dei politici bosniaci, anche in vista dell’integrazione europea del paese, con il rischio di cadere nell’errore opposto.

Negli ultimi anni Ashdown era rimasto ai margini della politica inglese, pur onorato da un seggio alla Camera dei Lord. Nel 2013 aveva sostenuto le ragioni dell’intervento umanitario in Siria, vergognandosi per il voto contrario del Parlamento. Sostenitore del ruolo del Regno Unito nell’UE, dopo il referendum sulla brexit aveva contribuito a fondare il movimento trans-partitico More United. Il suo ultimo libro, Nein!, uscito solo in ottobre, è dedicato alla resistenza tedesca a Hitler.

Non aveva peraltro abbandonato il suo interesse per la Bosnia e per i Balcani, a partire dagli interventi alla Camera dei Lord sul futuro del coinvolgimento britannico nei Balcani. Nel 2014 Ashdown aveva commentato che “a Bruxelles si rendono conto che non si sono assunti abbastanza responsabilità in Bosnia Erzegovina. Oggi la situazione nel paese è peggiore di quanto non fosse dieci anni fa.” Nel 2018 aveva di nuovo avvertito del rischio di un nuovo conflitto, diffidando dalle sirene dello scambio di territori tra Serbia e Kosovo. Nella sua ultima lettera aperta all’alta rappresentante UE Mogherini, firmata assieme ad altri due  altri colleghi ex-OHR solo poche settimane fa, lamentava l’ingerenza della Croazia, ultimo nuovo membro UE, nella situazione post-elettorale in Bosnia Erzegovina.

Foto: Liberal Democrats, Flickr

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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