di Matteo Zola
In queste settimane di rivolgimenti politici c’è da fare il nome di un altro silurato eccellente, il ministro delle Finanze russo, Aleksei Kudrin. Le sue dimissioni forzate sono da mettere in collegamento con la cacciata di Michail Prokhov da “Giusta Causa”? Kudrin non era l’ultimo arrivato, dopo una lunga gavetta politica alle dipendenze del sindaco di Pietroburgo, Anatoly Sobchak, ha servito da vicino i “pietroburghesi” stando spalla a spalla con Vladimir Putin e diventando uno di loro. Incoronato “ministro delle finanze dell’anno 2010″ dal mensile economico Euromoney, con la sua politica riformatrice cercava di portare la Russia nel World Trade Organization, facendo crescere il Paese a ritmi del 7% annuo. Il biennio 2009/2010 è stato duro per le finanze russe ma già sono tornate a crescere nel 2010/2011 al 4%. La defenestrazione di Kudrin non si può dunque certo imputare a motivi di cattiva gestione economica. La motivazione potrebbe piuttosto essere politica.
Le divergenze con il presidente (ancora per poco) Dimitri Medvedev sono la chiave di lettura più evidente. Kudrin, ora al servizio del premier Putin, non avrebbe digerito di essere prossimo ministro di un Medvedev che caldeggia un aumento della spesa pubblica per finanziare le rifome. Nel corso dell’ultimo G20 a Washington non ha risparmiato critiche all’attuale inquilino del Cremlino che certo non le ha digerite. Pomo della discordia sarebbe anche stata l’intenzione di Kudrin di aiutare i Paesi europei in difficoltà, tramite l’acquisto di obbligazioni del Fondo salvastati (Efsf) al fine di stabilizzare un’area euro che è partner strategico delle Federazione Russa.
Più probabili le motivazioni politiche: Medvedev avrebbe agito in modo risoluto per non diventare subito un’anatra zoppa, non solo in vista delle legislative di dicembre, dove è previsto che guidi Russia Unita come capolista, ma anche in vista della formazione del futuro governo di cui dovrebbe fare il premier, come proposto dallo stesso Putin. Kudrin era troppo scomodo e troppo influente: oltre ad essere l’attuale vicepremier (numero due di Putin, quindi) era il più longevo ministro non solo del governo russo ma anche del G20. Considerato l’architetto della stabilità economico-finanziaria russa, egli forse ambiva al posto di primo ministro assegnato, invece, a Medvedev. Insomma, come per Michail Sokhorov si è punito il dissenso, lo smarcamento e l’ambizione personale: colpe gravissime nel regime putiniano ma ancor più gravi in un così delicato momento di passaggio (o scambio) di poteri tra presidente e premier. Un passaggio che ha fatto drizzare la cresta ai galli che sono cresciuti nel pollaio di Putin e che cercano spazio e autonomia politica.
Le dimissioni di Kudrin sono state un disastro per le borse già tese per la crisi economica in corso. La notizia delle dimissioni dell’influente ministro delle Finanze ha fatto toccare al rublo russo il minimo da due anni e mezzo. Il day after delle borse è stato impietoso: al fixing ufficiale della banca centrale il rublo è sceso da 35 copechi a 32,46 per dollaro e di 78 copechi sull’euro a 43,45. Un mezzo tracollo.
Pare che le dimissioni di Kudrin abbiano sorpreso, e preoccupato, lo stesso Vladislav Surkov tanto che già l’eminenza grigia sembra all’opera per una ridistribuzione di ruoli che tenga unito il gruppo in questi mesi così delicati. Un gruppo unito da vent’anni che insieme ha scalato il potere. Anche Medvdev, infatti, era alle dipendenze del sindaco di Pietroburgo, Anatoly Sobchak. E il “clan dei pietroburghesi” non si sfalderà facilmente. Certo le tensioni interne sono molte, e tutte si possono ricondurre all’arrocco tra premier e presidente andato in scena il 24 settembre scorso.
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