Da BELGRADO – Un anno e mezzo fa, all’indomani delle elezioni presidenziali vinte da Aleksandar Vucic, titolavamo “La pietosa situazione dei mezzi di informazione”. Il riferimento era soprattutto ai principali quotidiani serbi che alla vigilia del voto uscirono all’unisono con la stessa prima pagina riportante un logo e un nome: Aleksandar Vucic. Alla faccia del silenzio elettorale. Ma cosa ha portato, in questo anno e mezzo, la situazione da pietosa a vergognosa?
In questo articolo non vi parleremo delle solite classifiche che pur mettono la libertà di stampa serba in una posizione sempre peggiore all’anno precedente, né menzioneremo l’ennesimo report di un’organizzazione internazionale che raccomanda al governo di Belgrado di fare di più per garantire la libertà dei media. Vi descriviamo piuttosto la situazione di un paese plasmato dalla disinformazione quotidiana e dal controllo assoluto dei media.
L’ultimo caso
A tener banco, nelle ultime settimane, è il caso di Barbara Zivotic, giovane impiegata di Studio B – emittente privata della capitale serba. Il suo collegamento in diretta dopo la protesta di piazza dello scorso 8 dicembre è un capolavoro di menzogna, faziosità e propaganda di regime. Tutto quello che un inviato sul posto non dovrebbe fare.
La manifestazione in questione è la protesta “contro le camicie insanguinate”, organizzata dalla coalizione dell’opposizione “Alleanza per la Serbia”. Il riferimento è all’attacco brutale ai danni di Borko Stefanovic, leader di Sinistra Serba – partito che partecipa alla coalizione – avvenuto lo scorso 23 novembre nella città di Krusevac. Insieme a un altro compagno di partito, Stefanovic è stato colpito alla testa a colpi di spranga da persone non ancora identificate. La sua camicia interamente ricoperta di sangue è stata definita da lui stesso come la bandiera della Serbia, alludendo al clima di intimidazione in cui vivono oggi i partiti d’opposizione.
Alle marce di protesta di sabato 8 e sabato 15 dicembre hanno partecipato decine di migliaia di cittadini, che hanno sfidato anche le intense nevicate cadute sulla capitale serba. Il corteo si è svolto entrambe le volte in modo pacifico e civile. Ma non per Barbara Zivotic: “Alla manifestazione hanno partecipato pochissime persone […], ovviamente ci sono stati incidenti e inviti al linciaggio, alla violenza, al disordine e al colpo di stato […], la manifestazione è quindi abbastanza ipocrita”. L’inviata di Studio B ha poi individuato in Dragan Djilas, principale leader dell’opposizione, il finanziatore della protesta.
Il collegamento di Zivotic ha scatenato l’indignazione e, sui social, qualcuno ha offeso e addirittura minacciato la stessa Barbara. Non si sa, tuttavia, se queste offese provengano da persone direttamente riconducibili all’opposizione o, al contrario, da alcuni dei circa 3.500 profili falsi (i cosiddetti “bot”) che su internet assecondano i voleri del presidente Vucic e del suo Partito Progressista Serbo. Fatto sta che Studio B è passato dall’essere carnefice di una violenza, quella ai danni della verità e del servizio d’informazione, a vittima.
La direttrice dell’emittente, Ivana Vucicevic, ha prima preso le difese della giovane inviata, per poi passare all’attacco diretto contro quei colleghi che denunciavano lo scandalo. Ne è conseguito che Aleksandar Vucic abbia messo sotto la sua ala protettrice sia “la piccola Barbara”, definita molto paternalisticamente anche “deliziosa fanciulla”, che Vucicevic, omaggiandola pubblicamente per aver dato “una lezione a tutti”.
Chi non ha ricevuto alcun supporto pubblico, invece, è Milan Jovanovic. Giornalista settantenne che scrive per il portale “Žig info” a cui lo scorso 12 dicembre è stata bruciata la casa. Jovanovic è riuscito a salvarsi ma denuncia che si tratti di un tentato omicidio per le sue inchieste su un giro di corruzione locale. Da tempo temeva per la sua sicurezza e si era appellato direttamente al presidente in cerca di aiuto. Jovanovic è inoltre una persona malata e a questo link è possibile effettuare donazioni per aiutarlo a ricomprare le apparecchiature mediche andate bruciate nel rogo che gli ha portato via la casa.
Verso il controllo totale
D’altronde cosa aspettarsi in un paese governato da chi era ministro dell’Informazione quando nel 1999 venne assassinato il giornalista Slavko Curuvija?
L’apparato di disinformazione di cui si avvale il Partito Progressista Serbo del presidente Vucic è un ingranaggio ben oliato. Oltre a una rete di tabloid che per meno di venti centesimi di euro ogni giorno diffondono omaggi al leader, annunci di guerra inesistenti, linciaggi mediatici contro l’opposizione e una serie di notizie false ricche di volgarità e incastrate tra un paio di tette e uno scandalo da reality show, lo stato controlla anche le televisioni nazionali, dove il presidente si reca spesso ospite e dove il concetto di contradditorio o di duello televisivo sono espressioni sconosciute. Nello scorso mese, infatti, attraverso un intricato giro di affari che passa per una società off-shore con sede a Cipro e intestata al fratello di un funzionario del Partito Progressista Serbo, la Telekom Serbia – azienda pubblica del settore delle telecomunicazioni – ha acquisito anche le emittenti Tv private “Prva” e “O2”.
Inutile dire che le principali vittime di un’informazione monopolizzata sono la verità e il bisogno che i cittadini di un paese che ambisce a un sistema democratico hanno di essa. A rimetterci saranno anche i tanti colleghi che saranno costretti al licenziamento o alla censura. A nuocere ancora di più, però, è la consapevolezza che si tratti di quelle emittenti che, grazie al lavoro di stimati professionisti, contribuirono a contrastare il regime e la propaganda di Milosevic. Proprio come Studio B, nella quale in passato hanno lavorato giornalisti del calibro di Dusko Radovic, Olja Beckovic o Zoran Kesic. Ora invece è una Tv privata, finanziata dai belgradesi, affinché questa menta loro. In fin dei conti, anche Barbara Zivotic, con la sua ingenuità, è una vittima di questo sistema. Immolata a vittima sacrificale, affinché venga offesa – con insulti misogini, condannati solo quando conviene – e venga mostrata la lesa maestà del regime, che difendendo la giovane cronista può quindi schierarsi dalla parte della libertà di stampa. Insomma, oltre il danno la beffa.
Sabato pomeriggio ci sarà un’altra protesta dell’opposizione. Uno dei motti del movimento è “Dai che ci contiamo!”, facendo propria anche la richiesta di un’informazione che si basi sulla verità. Ma nel frattempo, il presidente ha detto che potrebbero essere anche in cinque milioni a sfilare per la capitale, che tanto lui non accoglierà mai nessuna delle loro richieste. Non stupirà quindi che i giornali e le TV continueranno a raccontare menzogne.
Foto: Corax
Non è che in Italia vada meglio… In questo caso al contrario (Per carità non che il governo italiano sia il massimo in questo momento, ma un minimo di obiettività sarebbe cosa gradita). Ma la questione vera è: “Come mai i cittadini si abbeverano ancora a questa informazione?” Sempre colpa del potere? La gente un minimo di discernimento non ce l’ha?
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