Il 17 dicembre 1970 una feroce repressione militare ordinata dal governo polacco di Władysław Gomułka piega nel sangue gli scioperi dei lavoratori dei cantieri navali di Gdynia, decretando la fine della stagione riformista avviata dopo i fatti di Poznan dell’ottobre 1956.
La mattanza consegna però al proletariato polacco una storica vittoria politica. A seguito degli incidenti, Gomułka e il gruppo dirigente del Partito Operaio Unificato Polacco (POUP) rassegnano le dimissioni. Le pressioni della classe operaia riescono quindi nell’impresa di far cadere un governo nell’area di influenza sovietica, un obiettivo mai raggiunto fino a quel momento da nessun altro movimento di contestazione popolare nato ad Est della cortina di ferro.
La repressione militare
Le manifestazioni iniziano il 12 dicembre a seguito di un aumento dei prezzi dei beni di consumo primario e coinvolgono diverse città della costa del Baltico: Danzica, Szczecin, Gdynia e Elbląg. La decisione presa dal governo grava drammaticamente sulle spalle dei lavoratori polacchi e danneggia irrimediabilmente il consenso popolare nei confronti di Gomułka. Secondo le testimonianze raccolte dalla giornalista del Tygodnick Powszechny, Malgorzata Niezabitowska, il clima di tensione non si era affatto respirato nella giornata precedente la tragedia (16 dicembre), durante la quale i soldati avevano circondato i cantieri di Kommuna Paryska intrattenendo spesso conversazioni amichevoli con gli operai.
Tuttavia, nella giornata successiva il caos e la confusione la fanno da padrona. Il braccio destro di Gomułka, Zenon Kliszko, ordina ai militari di sparare agli operai che entrano in fabbrica, andando in palese contraddizione con le affermazioni del vice primo ministro, Stanisław Kociołek, che lancia invece un appello diretto ai lavoratori per un loro immediato rientro nei cantieri. La tragedia prende forma quando, la mattina del 17 dicembre, davanti ai militari si presenta un’onda di operai appena scesi dal treno per recarsi sul posto di lavoro. Partono così i primi colpi di arma da fuoco, e la tranquillità della giornata precedente viene brutalmente sostituita dalla conta dei morti.
Nel giro di poche ore tutta la città è in strada. Vengono prese d’assalto la stazioni di polizia e le sedi del POUP. Nel tardo pomeriggio si aggiungono alla rivolta della città baltiche anche Białystok, Nysa, Oświęcim, Varsavia e Wrocław. A Szczecin, la sede del partito viene data alle fiamme. Alla fine della giornata, secondo il governo i morti sono 6, mentre le stime delle maestranze ne riportarono più di 40.
Gdynia, mito fondativo di Solidarność
Rispetto alla mobilitazione di Poznan del ’56, quella del ’70 si struttura su scala nazionale e ha un buon livello di organizzazione interna. Le sommosse si allargano in più città e assumono un carattere sindacale e unitario rispetto al passato, coadiuvandosi tra loro. Il grande salto rispetto ai fatti di Poznan sono sicuramente le conquiste ottenute sul piano politico, come già sottolineato, ma un’altra fondamentale differenza si colloca su un piano emotivo: ciò che cambia sono gli stati d’animo della classe operaia verso l’idea di un futuro socialista e il loro sentirsi parte integrante di quel progetto di società.
Fra i protagonisti di quella giornata troviamo Adam Gotner, operaio dei cantieri che ha ispirato il 7 rovesciato dell’opera dello scultore Stanislaw Gierada. Il monumento, eretto davanti ai cantieri di Gdynia a 10 anni dall’accaduto, sarà una delle prime conquiste delle negoziazioni dell’agosto 1980 tra il movimento di Solidarność e il governo polacco. È costituito da quattro numeri che insieme compongono l’anno della strage dei cantieri, il 1970. Di questi numeri, il 7 è piegato come un uomo ferito gravemente ma sostenuto dai compagni.
I fatti accaduti nella città del baltico alimenteranno quindi la mitopoiesi del proletariato polacco, generando rappresentazioni mitiche della rivolta che cementeranno nel tempo l’unità operaia con quella della nazione. Il ricordo di quanto accaduto non diventerà la tomba delle rivendicazioni dei lavoratori ma uno dei miti fondativi dell’identità di Solidarność.