Tommaso Di Francesco
Breviario jugoslavo. Colloqui con Predrag Matvejevic
Fa specie un titolo così, che riprenda ancora oggi l’aggettivo “jugoslavo”. Perché formalmente la Jugoslavia non esiste più da quindici anni, da quando cioè nel settembre del 2003 venne creata l’effimera Unione statale di Serbia e Montenegro. Anche se era ormai dal 1991 che la Jugoslavia era un simulacro di ciò che fu. Eppure in questo caso l’aggettivo ormai giuridicamente morto ha un senso, per il semplice fatto che Matvejevic si definì sempre jugoslavo. Jugoslavo non tanto per una mera nostalgia che ancora oggi resiste nei Balcani, ma per le sue radici e la sua storia personale: intellettuale e di vita vissuta.
Infatti chi approfondisce il suo percorso di uomo e di scrittore engagé (come si diceva un tempo) entra di fatto nello spirito drammatico degli eventi (perfino troppi, parafrasando Churchill) che hanno velocemente fatto e disfatto la Jugoslavia. Matvejevic, nascendo a Mostar nel 1932, percorre il tunnel del tempo che attraversa la Jugoslavia monarchica, la guerra, la Jugoslavia di Tito, la disintegrazione violenta degli anni novanta, le debolezze e le divisioni dello spazio post-jugoslavo del nuovo secolo.
Matvejevic ebbe sempre due sogni, due visioni: quello della jugoslavità (jugoslavenstvo) come idea romanticamente generosa di convivenza delle diversità e di abbattimento delle frontiere mentali, culturali, oltre che fisiche e statuali. Quella jugoslavità che fu fervente idea messianica tra gli intellettuali croati e serbi agli inizi del Novecento per inverarsi finalmente proprio un secolo fa, con il crollo asburgico. E poi Matvejevic pensò sempre ad una società diversa, ispirata ai valori di quel marxismo umanista che fu faticosamente espresso dal gruppo dei filosofi di Praxis.
La sua delusione è stata di conseguenza doppiamente amara. Gli etnonazionalismi con rara abilità smembrarono il mosaico jugoslavo andando perfino oltre, facendo proseliti che arrivano a balcanizzare oggi anche l’Europa e l’idea di Europa. L’identità – disse Matvejevic – è decaduta nella particolarità, la democrazia è virata in democratura ed il socialismo dal volto umano si è rovesciato in un capitalismo senza volto, quale è quello globalizzato e finanziario attuale. Una delusione pagata anche a livello personale, da vero dissidente, tra minacce ed esili a Parigi e a Roma.
I colloqui qui raccolti da Di Francesco aprono ad un mondo diverso e migliore, quello coerentemente creduto con ostinazione da Matvejevic. Ma aprono anche all’abisso attuale, che presenta una realtà puntigliosamente opposta a quella sognata dallo scrittore jugoslavo: come una utopia divenuta distopia. Per cui quello che successe in Jugoslavia un quarto di secolo fa potrebbe essere stato l’experimentum crucis del mondo che verrà: popoli impauriti ed aggressivi rinserrati e nutriti solo dalla propria particolarità, proprio come temeva Matvejevic.
Una volta Di Francesco mi telefonò mentre mi trovavo a Banja Luka per dirmi che a Srebrenica non era successo niente di quello che raccontava la propaganda anti Milosevic, povera vittima. Chissà se Matvejevic sarebbe stato contento di essere utilizzato da Di Francesco. Chissà, forse il prode collega del quotidiano “comunista” ha cambiato posizione.