SERBIA: Paesi non allineati, a volte ritornano

di Vittorio Filippi

Josip Broz Tito

Un po’ in sordina si è svolta a Belgrado la Conferenza del cinquantenario del Movimento dei paesi non allineati (NAM, nell’acronimo inglese). Il Movimento, nato proprio a Belgrado nel 1961 con 25 membri per opera di Tito, Nasser (Egitto) e Nehru (India), rappresentò per la Jugoslavia al tempo stesso un segno impensato di grandeur internazionale quanto un originale contributo alla sua ricerca di una “terza via”.

Infatti il varo del Movimento fece emergere nel mondo allora dominato dalla netta bipolarità della guerra fredda (di lì a poco si sarebbe sviluppata la ferita della guerra del Vietnam) una inaspettata leadership jugoslava che rinvigorì  l’eccezionale popolarità del suo presidente (già nel 1955 la rivista americana Time aveva dedicato la copertina a Tito). Poco importa che ciò comportasse anche notevoli sacrifici finanziari, dato che agli Stati membri in via di sviluppo Belgrado offrì generosamente crediti a buon mercato. E poco importa anche che la leadership jugoslava iniziasse a scricchiolare già negli ultimi anni di vita di Tito, quando venne scavalcata dai cubani filosovietici.

L’idea di un blocco di paesi che non si identificavano né con gli Stati Uniti né con l’Unione Sovietica voleva anche sottolineare l’ideologia terzomondista (e quindi antimperialista ed anticolonialista) di un paese alla affannosa ricerca di posizioni ideologiche innovative. Infatti la stessa ricerca di una “terza via” avvenne anche sul piano interno con l’idea dell’autogestione operaia e del mercato socialista, una strada appunto diversa sia dall’impostazione dottrinaria leninista sovietica che dal capitalismo del libero mercato occidentale.

Da allora è passato esattamente mezzo secolo, una enormità per un “secolo breve” qual’è stato il Novecento e per la sua eredità attuale. Oggi il Movimento dei non allineati esiste ancora ma pressoché tutte le carte sono state scompigliate. Il mondo non è più bipolare ma confusamente multipolare. La guerra fredda è stata sostituita da guerre commerciali che non usano gli arsenali atomici ma che muovono aggressivamente prodotti e capitali finanziari. Alcuni dei paesi membri della prima ora, come Brasile e India, fanno oggi parte del cartello emergente dei BRIC, per non parlare della corsa travolgente della Cina post maoista. Soprattutto non ci sono più la Jugoslavia ed il titoismo: quando nel 1989 il Movimento ritornò con il suo meeting periodico a Belgrado la Jugoslavia era già in stato preagonico. Oggi l’aver radunato a Belgrado ben 105 capi di Stato dei 118 paesi del Movimento significa solamente – a parte il ricordo amaro di un paese che si è disintegrato nella violenza – la ricerca da parte della Serbia di sbocchi commerciali e di alleanze economiche e politiche assolutamente necessarie per un paese impantanato nella crisi ed avvelenato dall’impasse paludosa del Kosovo. Per quest’ultimo la Serbia ha fatto un po’ di lobbying su quei paesi – soprattutto africani – ancora incerti sul riconoscimento dell’ex provincia ribelle. Dall’altro l’industria serba (presente all’evento con le sue 15 maggiori imprese) ha attivato del sano marketing per tentare di infilarsi come player produttivo in alcune aree dell’Africa, del vicino Oriente e dell’America latina.

Tutto qui, si può concludere. Certo, siamo del tutto lontani dallo spirito della Belgrado di cinquant’anni fa. L’ideologia terzomondista è stata sostituita dal business e dalle preoccupazioni interne (leggi Kosovo e crisi economica). E se la liturgia utilizzata (come l’albero piantato dal segretario egiziano del Movimento nel Parco dell’Amicizia) riecheggia l’antica grandeur di titoista memoria, la realtà è ben più prosaica per non dire modesta. La stessa Serbia che ha ospitato il tutto non fa nemmeno parte del Movimento dei non allineati: certamente l’Europa la affascina di più. Anche se non è detto che Bruxelles sia oggi particolarmente affascinata da Belgrado.

Chi è Vittorio Filippi

Sociologo, docente Università Ca’Foscari e Università di Verona, si occupa di ricerca sociale, soprattutto nel campo della famiglia, della demografia, dei consumi. Collabora nel campo delle ricerche territoriali con la SWG di Trieste, è consulente di Unindustria Treviso e di Confcommercio. Insegna sociologia all’Università di Venezia e di Verona ed all’ISRE di Mestre. E’ autore di pubblicazioni e saggi sulla sociologia della famiglia e dei consumi.

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Un commento

  1. perchè bruxelles non vorrebbe belgrado?

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