Sono giornate di estrema tensione sull’asse Belgrado-Pristina. Dopo la bocciatura della domanda di adesione del Kosovo all’INTERPOL e la decisione del governo kosovaro di imporre dazi sui prodotti serbi, martedì 27 novembre c’è stato un nuovo colpo di scena: i sindaci della quattro municipalità a maggioranza serba del Kosovo settentrionale si sono dimessi. Nel mezzo, a rendere la vicenda ancora più contorta, un’operazione della polizia kosovara a Mitrovica nord e la fuga di un controverso leader dei serbi del Kosovo. Ma andiamo con ordine.
L’INTERPOL e i dazi
L’ennesima miccia che ha riacceso la diatriba tra il Kosovo e la Serbia risale al 20 novembre scorso, quando l’assemblea generale dell’Organizzazione internazionale della polizia criminale (INTERPOL) ha bocciato la domanda di adesione del Kosovo. Per Pristina si è trattato di una sconfitta diplomatica bruciante, mentre Belgrado, impegnata in un’azione diplomatica volta ad impedire l’ingresso della sua ex-provincia nelle organizzazioni internazionali, ha esultato per l’esito del voto dell’assemblea.
La risposta del Kosovo, questa volta, è stata radicale: il governo di Ramush Haradinaj ha deciso di imporre una tariffa del 100% sui prodotti serbi (e bosniaci) che entrano in Kosovo. La misura è stata applaudita da quasi tutto lo spettro politico kosovaro, mai così unito su una decisione del governo; al contrario, la comunità internazionale, sia dalle parti di Bruxelles che da quelle di Washington, ha reagito negativamente, richiamando il Kosovo al rispetto degli accordi commerciali, in primis il Central European Free Trade Agreement (CEFTA). L’unico governo a schierarsi con Pristina è stato quello albanese, guidato da Edi Rama. In occasione di un incontro congiunto tra il governo kosovaro e il governo albanese, tenutosi il 26 novembre a Peja/Peć, Rama ha difeso la decisione dell’omologo Haradinaj, ritenendola una giusta reazione politica al comportamento scorretto della Serbia. Il premier dell’Albania ha inoltre dichiarato che per il Kosovo è tempo di passare a un regime di “dazi dello 0% verso sud e del 100% verso nord”. Una dichiarazione che ha scaldato gli animi dei tabloid serbi, che accusano Tirana e Pristina di tramare per costruire una “Grande Albania”.
Gli arresti
In piena polemica dazi, però, è emerso un altro elemento di frizione tra le due parti. All’alba del 23 novembre, le forze speciali kosovare hanno compiuto un’operazione di polizia nel lato nord di Mitrovica, quello abitato a larga maggioranza da serbi. L’operazione ha portato all’arresto di quattro persone (tra cui due poliziotti), connesse, secondo l’indagine, all’omicidio del leader serbo-kosovaro Oliver Ivanović, freddato a colpi di pistola lo scorso gennaio. Ivanović era considerato uno dei leader serbi maggiormente dialoganti con Pristina, ed era una delle poche voci critiche rispetto alla leadership politica dei serbi del Kosovo, monopolizzata dalla Lista Serba, partito controllato da Belgrado e parte del governo kosovaro con tre ministri.
La fuga
All’arresto è invece scampato Milan Radoičić, personaggio noto e decisamente controverso. Radoičić è difatti il vice-presidente della Lista Serba, un uomo che ha stretti contatti sia con il presidente della Serbia Aleksandar Vučić che con il primo ministro kosovaro Haradinaj. Su internet, girano sue fotografie in compagnia di entrambi i leader, anche in occasioni ufficiali. Radoičić è considerato da molti il vero uomo forte del Kosovo settentrionale, esercitando un controllo sulla comunità serba locale che, a ben vedere, non è solo politico: Radoičić ha dalla sua, difatti, una condanna per falsificazione dei documenti personali, risalente al 2010, e diversi processi a carico, legati ai suoi affari compiuti a cavallo dei due paesi.
Proprio Radoičić era stato identificato da Ivanović, in un’intervista rilasciata pochi mesi prima di morire, come il vero detentore del potere nella regione. Un fatto che aveva inevitabilmente alimentato i sospetti di un suo coinvolgimento nell’omicidio, che avrebbe avuto l’obiettivo di eliminare una voce scomoda, contraria all’intreccio politico-criminale sempre più stretto tra il governo a Belgrado e i rappresentanti della comunità serba in Kosovo. La natura controversa della sua figura e dei suoi legami pare ulteriormente confermata dal fatto che Radoičić, ricercato in Kosovo, è riuscito a fuggire indisturbato in Serbia, da dove ha dichiarato di essere vittima di una persecuzione orchestrata dalle autorità kosovare, che lo vorrebbero morto. Una tesi sostenuta dallo stesso presidente Vučić, che si dice convinto della sua innocenza rispetto all’omicidio Ivanović
Le dimissioni
La somma delle vicende ha messo la leadership dei serbi del Kosovo in stato di allarme. In risposta all’imposizione dei dazi, che inevitabilmente hanno ridotto l’afflusso di prodotti soprattutto nelle zone del Kosovo abitate dai serbi, e all’operazione di polizia, vissuta come un’azione contro i diritti di tutta la comunità serba, i sindaci dei quattro comuni del nord Kosovo hanno annunciato lo scorso 27 novembre le proprie dimissioni e il blocco di qualunque comunicazione con il governo di Pristina. Un governo, ricordiamo, di cui il loro stesso partito, proprio la Lista Serba, continua a fare parte. Le dimissioni sono state accompagnate da manifestazioni di protesta svoltesi a Mitrovica nord.
La mossa delle dimissioni non è che un ulteriore tassello di una vicenda intricatissima, sicuramente non l’ultimo. Le mosse degli attori in campo, però, sembrano sempre più rispondere a logiche poco trasparenti appartenenti a livelli ben più alti e profondi: non solo l’eterna diatriba tra il Kosovo e la Serbia, protagonisti di un continuo tira e molla, altalena di di avvicinamenti e rotture, ma anche inquietanti trame criminali, pericolosamente intrecciate al potere politico.
Foto: Balkan Insight